Nullo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo irrogato durante l’emergenza Covid- 19
È nullo per violazione dell’art. 46 del Decreto legge n 18/2020 (c.d. “Decreto Cura Italia”), convertito in legge n. 27/2020, il licenziamento intimato dal datore di lavoro durante l’emergenza epidemiologica da COVID-19.
Tanto ha affermato il Tribunale civile di Roma che, con sentenza dell’8 ottobre 2021, ha accolto il ricorso di un giovane lavoratore licenziato il 26 marzo 2021, riconoscendo la più ampia tutela reintegratoria.
Come noto, l’art. 46 del Decreto legge n 18/2020 (c.d. “Decreto Cura Italia”), convertito in legge n. 27/2020, ha vietato, a decorrere dal 17 marzo 2020 per cinque mesi (successivamente prorogati dal “d.l. Agosto” n. 104/2020), l’irrogazione di licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, determinati cioè da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa. Il ricorso promosso da giovani avvocati campani a difesa di un coetaneo licenziato da una società erogante servizi di catering, aveva ad oggetto un licenziamento intimato il 26 marzo 2020 proprio per asserito giustificato motivo oggettivo.
In attesa delle prime applicazioni giurisprudenziali dell’art. 46 del D.L. Cura Italia, il ricorrente deduceva che, pur in assenza di una dichiarazione espressa di nullità di licenziamenti economici comminati in caso di sua violazione, la mancanza di sanzione non avrebbe dovuto assumere alcun rilievo ai fini della possibilità di qualificare nullo il recesso, posto che l’art. 1418 c.c., comma 1, esprime un principio generale valido nelle ipotesi in cui alla violazione di precetti imperativi non segua una previsione di nullità.
D’altronde, la nullità, quale sanzione dei licenziamenti economici intimati durante questo arco temporale, riflette la ratio di evitare che i lavoratori possano perdere il posto di lavoro a causa di una flessione del mercato dovuta al COVID-19.
Ebbene, in accoglimento alle doglianze sollevate dal ricorrente, il Giudice del Lavoro capitolino ha affermato, con una pronuncia destinata a fare da apripista rispetto a fattispecie analoghe, che il licenziamento è nullo per violazione di legge, perché contrario all’art. 46 del d.l. 18/2020 (“Misure di potenziamento del Servizio Sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica COVID-19”). A mente della citata disposizione: “A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto [N.D.R. 17 marzo 2020] l’avvio delle procedure di cui agli articoli 4, 5 e 24, della legge 23 luglio 1991, n. 223 e’ precluso per ((cinque mesi)) …. Sino alla scadenza del suddetto termine, il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non puo’ recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3, della legge 15 luglio 1966, n. 604”.
La pronuncia, dalla portata fortemente innovativa conferma un primissimo orientamento espresso dal Tribunale di Mantova, secondo cui dal “carattere imperativo e di ordine pubblico della disciplina del blocco dei licenziamenti consegue la nullità dei licenziamenti adottati in contrasto con la regola, con una sanzione ripristinatoria ex art. 18, 1°comma, l.300/1970 e ex art. 2 d.lgs. 23/2015, derivando la nullità dall’art. 1418 c.c.”.
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