Nuove prospettive nella tutela dei legittimari: tra azione di riduzione e di simulazione
Nella materia successoria la donazione, pur costituendo un tipico atto inter vivos, acquista un rilievo preminente; non a caso presenta notevoli affinità con la disciplina del testamento: essa brilla dunque, in questo contesto, di luce propria. Invero, l’atto donativo è un negozio a cui sono applicabili le norme sul contratto in generale, eppure incontra dei limiti normativi ben precisi, in particolare allorché interferisca con gli interessi e la posizione giuridica di una ben precisa categoria di soggetti involti nel fenomeno successorio: i legittimari, destinatari di peculiari diritti successori, giacché la legge riserva ad essi una quota di eredità. D’altronde, questo assunto vale sia nell’ipotesi dell’eredità devoluta in assenza di testamento, cioè nella successione legittima (ex artt. 565 e ss.), sia nella successione ab intestato, ovvero quando il fenomeno successorio è regolato dalle disposizioni contenute nella scheda testamentaria (ex artt. 587 e ss.).
In entrambi i casi, infatti, dall’atto donativo può derivare un vulnus per i legittimari: una lesione che può essere tutelata mediante lo speciale strumento processuale apprestato dall’ordinamento, ossia, l’azione di riduzione. Con essa, i legittimari ottengono la riduzione delle disposizioni pregiudizievoli stabilite a favore degli altri successibili, così da reintegrare la quota loro riservata, definita appunto “legittima” o quota di riserva.
In realtà, gli strumenti di tutela processuale riconosciuti dal sistema legislativo in questo peculiare ambito sono, per la precisione, di tre tipi. La prima è, appunto, quella cui si è fatto prima cenno, e cioè l’azione di riduzione cd. “ordinaria”, disciplinata dagli artt. 553 e ss. del c.c.. Le altre due azioni sono a questa connesse, assumendo, rispetto a essa, un rilievo strumentale: costituiscono, in altri termini, il mezzo attraverso cui realizzare lo scopo di reintegrare la quota di riserva che, a seconda dei casi, o è stata semplicemente lesa, cioè non integralmente rispettata, o addirittura è stata preterita, ossia non riconosciuta affatto. Le due azioni di reintegrazione sono costituite da: un’azione diretta contro i beneficiari delle disposizioni ridotte, ex art. 561 c.c.; e da un’azione contro i terzi acquirenti, aventi causa dai donatari soggetti a riduzione. Talché, i legittimari possono agire anche nel caso in cui i beneficiari, contro i quali è stata pronunziata la riduzione, abbiano alienato a terzi i beni. In tal caso l’azione per ottenere la restituzione deve essere preceduta dalla preventiva escussione dei beni dei beneficiari; sicché, solo in caso di esito infruttuoso, si potrà poi agire nei confronti dei terzi, peraltro secondo l’ordine di data delle alienazioni, cominciando dall’ultima. Dunque, l’azione di riduzione si pone sempre come antecedente logico e giuridico: essa costituisce, in altre parole, la condizione di procedibilità per poi azionare, ai fini della reintegrazione della quota di riserva, il diritto così accertato. La pronuncia conseguente all’azione di cui all’art. 553 c.c. ha, infatti, effetti costitutivi nei confronti dei legittimari lesi o preteriti. Trattasi invero di un’azione di accertamento costitutivo: mediante tale strumento processuale, difatti, l’atto lesivo della quota di riserva è reso inefficace in tutto o in parte nei confronti del legittimario; in termini del tutto assimilabili a quanto previsto per l’azione revocatoria. Di fatti, il legittimario ottiene un accertamento giudiziale che consente, quale presupposto processuale necessario e sufficiente, la reintegra in concreto dei beni illegittimamente fuoriusciti dalla massa ereditaria, a danno della quota che gli doveva essere riservata, siccome non imputabile alla parte che il de cuis poteva liberamente disporre.
Di regola, pertanto, la donazione finisce per incidere sulla reale consistenza del patrimonio dell’ereditando, quale risulterà una volta che la successione si sia aperta: l’atto donativo può dunque, come anticipato, sottrarre alla massa ereditaria determinati beni, così finendo per intaccare quella quota che doveva essere riservata ai legittimari. Eppure, tale esito infausto può essere perseguito anche attraverso altri strumenti, capaci di realizzare, nondimeno, un effetto distorsivo della vicenda successoria. Trattasi di atti dispositivi compiuti in vita dal de cuis, rispetto ai quali l’ordinamento prevede forme di tutela processuale ugualmente efficaci, ancorché di natura generale, cioè non dettate per la specifica materia successoria, tuttavia calibrate in ragione dell’effettiva lesione procurata ai diritti dei legittimari. È il caso dell’azione di simulazione, esperibile allorché la donazione sia stata realizzata sotto le mentite spoglie di un’alienazione. Solitamente, infatti, al fine di evitare l’esperibilità dell’azione di riduzione, il disponente simula un’alienazione con un soggetto che intende indebitamente privilegiare. In tal caso, infatti, il legittimario non può utilizzare lo strumento della riduzione, giacché quest’ultimo è volto a rendere inefficace solo la disposizione testamentaria pregiudizievole o la donazione lesiva della quota di legittima. Eppure, l’ordinamento riconosce il diritto a ottenere dal Giudice l’accertamento dell’effettivo intento delle parti, in particolare quello perseguito con il contratto dissimulato; sì da far emergere in tal caso l’effetto donativo, piuttosto che quello insito nel contratto di alienazione simulato. In tal modo, l’azione tesa ad accertare l’effettivo intento negoziale perseguito dalle parti si pone su un piano strumentale rispetto all’azione di riduzione: cosicché il legittimario, per poter utilizzare lo strumento processuale rappresentato dall’azione di simulazione, deve soddisfare le condizioni processuali poste per l’azione di riduzione medesima.
Sicché, occorre soffermarsi sulle condizioni necessarie all’esperibilità dell’azione ex art. 553 c.c.. Si potrà, così, stabilire il corretto rapporto intercorrente fra le due azioni: azione di riduzione da un lato, e azione di simulazione dall’altro.
La giurisprudenza invero, in quest’ottica, enuncia quattro fondamentali predicati.
In primo luogo, l’azione di riduzione si pone in posizione succedanea rispetto all’azione di nullità e di annullamento. Cosicché, se l’effetto lesivo della quota di riserva deriva da un atto dispositivo nullo o annullabile, il legittimario, prima ancora di poter utilizzare l’istituto della riduzione, dovrà agire al fine di ottenere l’invalidità dell’atto stesso. Il che si verifica nel caso tipico del testamento olografo di cui si contesta l’autenticità. Ebbene, in tale ipotesi, si dovrà più correttamente agire in via principale con l’azione volta a ottenere la caducazione della disposizione illegittima.
Il secondo presupposto richiesto per poter accedere alla tutela della riduzione è poi il seguente: il legittimario deve aver accettato l’eredità con beneficio di inventario. Si richiede l’accettazione, espressa o tacita, per ragioni di carattere logico, prima ancora che giuridico. Invero, non può infatti delinearsi alcuna lesione di legittima, se il successibile non abbia accettato l’eredità: egli potrebbe, di fatto, anche rinunciare all’eredità, sicché, in tale ipotesi, alcuna concreta lesione può prospettarsi. Il beneficio d’inventario è richiesto, invece, a tutela dei terzi, siccome essi non sono verosimilmente a conoscenza dell’entità del patrimonio del de cuius.
La terza condizione processuale è la seguente: si richiede che, ai fini della determinazione della quota di riserva, siano stati considerati tutti gli emolumenti e tutti gli atti dispositivi, vieppiù quelli a favore del legittimario che pretende di essere stato danneggiato dalle altre disposizioni patrimoniali. Costituisce premessa logico-giuridica, oltre che presupposto processuale dell’azione di riduzione, la determinazione della “porzione disponibile” mediante la procedura volta a realizzare la cd. riunione fittizia, ex art. 556 c.c.. È questa invero un’operazione contabile con la quale alla massa dei beni che appartenevano al defunto al momento della morte, si detraggono i debiti; si riuniscono quindi fittiziamente i beni di cui il defunto ha disposto a titolo di donazione. Sull’asse così formato, a seguito di tale operazione matematica, si calcola, da un lato, la quota di riserva e, dall’altro, si stabilisce l’entità della porzione disponibile, ossia quella parte del patrimonio ereditario che il de cuius poteva disporre senza timore d’intaccare i diritti dei legittimari.
Ultimo presupposto dell’azione di riduzione è infine offerto dal rispetto del termine di prescrizione. Invero, è questo il profilo che, più degli altri, presenta evidenti implicazione con il regime giuridico-processuale proprio della simulazione. Infatti, tradizionalmente il termine di prescrizione decennale previsto per l’azione di riduzione viene fatto coincidere, rispetto alle donazioni, con il giorno in cui si apre la successione; il che deriva dal carattere solenne che, ad eccezione delle cd. donazioni traslative, connota l’atto donativo. Sicché, da un lato, prima di tale termine, cioè prima dell’apertura della successione, non potrà essere soggetta a riduzione la disposizione di liberalità, ancorché essi risulti – in proiezione – lesiva della quota di riserva; e, dall’altro, si profila un lungo arco temporale che può intercorrere tra la donazione compiuta in vita dal de cuius e l’effettivo termine in cui la donazione stessa risulti riducibile, attraverso lo strumento dell’azione di riduzione. Ne deriva così uno slittamento in avanti, piuttosto lungo, del momento nel quale la donazione stessa si stabilizza, siccome non più suscettibile di riduzione. Eppure, la disciplina legale individua anche un termine “certo”, onde consentire la stabilizzazione degli effetti dispositivi sul bene oggetto di donazione indipendentemente dall’apertura della successione. Tale termine, pari a venti anni dalla trascrizione della donazione, come previsto dall’arto. 561 c.c., è preordinato ad agevolare la circolazione dei beni, e a tutelare nondimeno sia i terzi acquirenti, che i terzi creditori che abbiano costituito ipoteca o altri pesi sul bene donato. Ciononostante, si è registrato un mutamento rilevante nella disciplina legale, conseguente nella specie alla novella del 2005, che ha prodotto anche importanti ricadute sotto il profilo applicativo, soprattutto nei rapporti con l’azione di simulazione.
L’impostazione esegetica tradizionale della giurisprudenza ha, di regola, escluso che, nel caso di donazione dissimulata mediante contratto di alienazione, si abbia un interesse attuale e concreto che giustifichi, da parte del successibile che pretende di essere leso dall’operazione contrattuale, l’esperimento dell’azione di simulazione relativa. Mancherebbe in tal caso, infatti, il presupposto necessario per esperire l’azione di riduzione. In altri termini: siccome l’azione di simulazione deve essere finalisticamente tesa a far emergere l’effettivo intento delle parti, sanzionabile con l’azione di riduzione perché lesivo della legittima, prima dell’apertura della successione non vi sarebbe interesse all’esperimento dell’azione di simulazione, perché non vi sarebbe attualità della lesione del diritto del legittimario. Di conseguenza, proprio per questo motivo, l’azione di simulazione non sarebbe esperibile prima dell’apertura della successione, difettando l’interesse ad agire, come richiesto dallo stesso art. 100 cpc.
Eppure, tale approdo ermeneutico, se appariva consolidato nell’esperienza pretoria fino a qualche anno fa, pare essere mutato proprio per effetto della novella introdotta con la legge 2005, n. 80, cui prima si accennava. Quest’ultima, infatti, ha introdotto nella disciplina legale dell’azione di riduzione un peculiare strumento stragiudiziale, previsto in particolare dall’art. 563 c.c., IV comma. Esso consente di sospendere il termine ventennale di cui al primo comma dell’art. 561 c.c.. In altri termini, con un atto di opposizione che va trascritto e notificato al donatario o al suo avente causa, si sospende il termine ventennale decorrente dalla data della trascrizione della donazione. Tale previsione sovverte dunque le finalità sottese al codice del 1942, volte in particolare ad agevolare la circolazione dei beni giuridici e, per tale verso, a tutelare i soggetti involti nei successivi trasferimenti di essi, nonché degli stessi creditori, che abbiano gravato tali beni da pesi e ipoteche. In altri termini, l’opposizione formale introdotta con la novella del 2005 ha fornito uno straordinario strumento di tutela per i legittimari, la cui posizione giuridica, ora, risulta senz’altro preminente rispetto agli interessi degli altri soggetti coinvolti nella circolazione dei beni incidenti sulla quota di legittima. Tale opposizione rende, di fatti, immediato l’interesse del legittimario a verificare l’intento lesivo perseguito con la donazione. Tant’è che si è posta la seguente questione, ovvero se l’opposizione in esame possa utilizzarsi anche nel caso della donazione dissimulata mediante atto di alienazione.
Invero, per un verso, stando alla previsione codicistica, non sembra configurarsi l’immediata utilizzabilità dello strumento stragiudiziale dell’opposizione nel caso in cui la simulata vendita di un bene risulti foriera di una lesione alla quota di riserva. Dall’altro, si osserva, la previsione di un siffatto strumento, per così dire, di prenotazione alla riduzione, eleva quel che prima era una mera aspettativa di fatto non tutelabile, a interesse giuridico immediatamente suscettibile di essere protetto, anche giudizialmente.
In altri termini, con la novella del 2005, pare essersi prefigurato un interesse ad agire, attuale e concreto; tale per cui, l’azione di simulazione potrà esperirsi ben prima dell’apertura della successione, e cioè indipendentemente da essa; siccome tesa a dimostrare l’effettivo intento lesivo della quota di legittima, che costituisce una lesione direttamente e immediatamente incidente sulla posizione giuridica del legittimario, leso o preterito, proprio in considerazione della possibilità, ora contemplata, di attivarsi mediante lo strumento oppositivo, sopra esaminato.
Alla luce di tali considerazioni, appare pertanto più chiaro il rapporto tra azione di riduzione e azione di simulazione, così come appaiono più definiti gli esiti dell’applicazione giurisprudenziale che, come esaminato, ha senz’altro ricevuto un impulso rinnovatore all’esito della disciplina introdotta con la novella del 2005. Nel quadro normativo così mutato, infatti, la tutela offerta ai legittimari pare aver ricevuto un rinnovato credito, che si prospetta, dunque, preminente rispetto alle esigenze, di tipo generale, sottese al codice civile: in particolare, quelle volte a favorire i traffici commerciali e la circolazione dei beni giuridici, nonché i soggetti coinvolti nelle relative operazioni negoziali.
Tali ultimi rilievi paiono peraltro vieppiù palesi anche alla luce degli orientamenti giurisprudenziali che sembrano affermarsi in ordine alle facoltà processuali concesse all’interno della stessa azione di simulazione. Infatti, si registra una tendenziale apertura, nel solco tracciato dalla nomofilachia, a consentire ai legittimari di accedere alla norma di favore ex art. 1417 c.c.; talché, si consente agli stessi di provare la simulazione per testimoni “senza limiti”, siccome, in questa prospettiva, i legittimari non sarebbero parte del contratto simulato. Al contrario, la loro peculiare condizione giuridica, che si eleva al rango di diritto soggettivo, autonomamente tutelabile, pare renderli tecnicamente “terzi” rispetto alle parti del contratto dissimulato.
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Matteo Sgritta
Dipendente Ente Locale e PA - Area Contratti, Appalti pubblici e Politiche comunitarie