Nuovi orizzonti nel risarcimento del danno da ritardo nell’adozione del provvedimento amministrativo
Nota a T.A.R Sardegna, sez. II, sentenza 9 luglio 2019, n. 622
Sommario: 1. Il danno da ritardo alla luce della sentenza del T.A.R. Sardegna n. 622/2019 – 2. Il danno da ritardo nell’evoluzione normativa e giurisprudenziale
1. Il danno da ritardo alla luce della sentenza del T.A.R. Sardegna n. 622/2019
Il ricorrente, in proprio e in qualità di legale rappresentante della società J. L. S.r.l, presentava ricorso chiedendo la condanna del Comune di Sassari al risarcimento dei danni, ai sensi dell’art. 30, comma 3, c.p.a., per il ritardo con il quale, a suo dire, aveva pronunciato la decadenza della concessione demaniale marittima rilasciata dalla Regione Sardegna alla società I. S.r.l.
Nell’atto introduttivo il ricorrente riferiva di aver chiesto al Comune di Sassari, con nota del 14 febbraio 2012, di dichiarare l’intervenuta scadenza della concessione demaniale rilasciata a favore della società I. S.r.l., avente ad oggetto parte di arenile limitrofa alla proprietà dello stesso ricorrente e, successivamente, della società J. L. S.r.l., di cui egli era legale rappresentante, ritenendo inapplicabile la proroga legislativa del termine di durata della concessione. Inoltre, chiedeva di procedere allo sgombero dell’area demaniale, con conseguente interruzione dell’attività su di essa svolta dalla società I., consistente nel noleggio di attrezzature balneari.
Il Comune dichiarava la decadenza dalla concessione demaniale marittima con la determinazione dirigenziale del 2 agosto 2012.
Secondo il ricorrente, il ritardo nella conclusione del procedimento volto a dichiarare la decadenza dalla concessione – e la conseguente violazione del termine procedimentale entro il quale il provvedimento avrebbe dovuto essere adottato – aveva consentito alla società I. s.r.l. di operare illecitamente per tutta la durata della stagione balneare 2012, così percependo ricavi per l’attività svolta e sviando la potenziale clientela della società J.L. s.r.l., che sul terreno confinante con l’area oggetto della concessione demaniale svolgeva attività di noleggio di articoli da mare.
Pertanto il ricorrente invocava l’applicabilità alla fattispecie sopra delineata dell’art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241 del 1990.
Il T.A.R. Sardegna, seconda sezione, con sentenza del 9 luglio 2019, n. 622 si è occupato della seguente questione: se potesse essere riconosciuto il diritto al risarcimento del danno da ritardo, così come delineato dall’art. 2 – bis, comma 1, della L. 241/1990, ovvero se, date le questioni sottoposte all’esame dell’Amministrazione e l’attività dalla stessa compiuta, non si dovesse escludere la responsabilità del soggetto pubblico.
L’interesse della sentenza in commento emerge con particolare evidenza poiché prospetta la possibilità di ritenere insussistente, forse in maniera automatica, la responsabilità della Pubblica Amministrazione per il ritardo nell’adozione del provvedimento laddove si verifichi una delle situazioni individuate, quali l’incertezza normativa, il contrasto giurisprudenziale ovvero, infine la complessità della situazione di fatto.
Invero, la pronuncia de qua fornisce un’interpretazione innovativa in relazione ai casi in cui si può ritenere sussistente la responsabilità della Pubblica Amministrazione e sembra accordare una tutela risarcitoria limitata rispetto a quanto verrà in seguito illustrato.
Nel caso di specie, come si è detto, il ricorrente invocava l’applicabilità dell’ art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241/1990 e chiedeva la condanna del comune di Sassari al risarcimento dei danni, ai sensi dell’art. 30, comma 3, c.p.a., per il ritardo con il quale aveva pronunciato la decadenza della concessione demaniale marittima rilasciata dalla Regione Sardegna alla società I. s.r.l.
Il TAR Sardegna, dopo aver ricostruito, così come emergeva dalla documentazione prodotta in giudizio, la successione temporale dei diversi atti del procedimento, ha evidenziato che nell’ambito dello stesso si prospettavano essenzialmente due questioni.
La prima era una questione di diritto particolarmente complessa in quanto riguardava il profilo dei rapporti tra il diritto europeo e il diritto interno (risolta dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sez. V, 14 luglio 2016, cause riunite C-458/14 e C-67/15); la seconda, invece, era una questione di fatto che aveva richiesto lo svolgimento di una complessa attività istruttoria dal momento che l’Amministrazione aveva voluto procedere alla verifica dei pagamenti dei canoni concessori.
Alla luce di tale ricostruzione il TAR ha statuito che “La complessità delle questioni esaminate nel corso del procedimento giustifica, pertanto, il modesto superamento del termine procedimentale fissato per l’adozione del provvedimento finale e non consente di affermare la sussistenza di un coefficiente di colpa dell’amministrazione”.
Il TAR Sardegna ha, in particolare, ritenuto che, affinché possa ritenersi integrata la responsabilità della pubblica amministrazione, occorre verificare “se il comportamento dell’apparato amministrativo abbia travalicato i canoni della correttezza e della buona amministrazione, ovvero sia trasmodato in negligenza, omissioni o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili” e di conseguenza ha ritenuto che “la responsabilità deve essere negata quando la violazione dei termini procedimentali sia dipesa dalla sussistenza di contrasti giurisprudenziali o dall’incertezza del quadro normativo di riferimento o dalla complessità della situazione di fatto”.
Alla luce di quanto sopra esposto si profilano almeno due questioni che, per il momento, non sembrano destinate a trovare una risposta.
In primo luogo, non si comprende se il Collegio abbia voluto meramente esemplificare alcune ipotesi in cui la responsabilità dell’Amministrazione deve essere negata, oppure, se abbia cercato di stilare un vero e proprio “catalogo” di casi in cui tale responsabilità non può mai sussistere.
In secondo luogo, se da un lato può risultare abbastanza chiaro ciò a cui si fa riferimento quando si parla della “sussistenza di contrasti giurisprudenziali” o di “incertezza del quadro normativo di riferimento”, ben più difficile è comprendere quando si possa ritenere che la situazione di fatto sia complessa al punto tale da escludere la responsabilità dell’Amministrazione procedente.
Infine, sembrerebbe che il verificarsi di una delle tre situazioni sopra delineate escluda automaticamente la sussistenza della colpa in capo alla Pubblica Amministrazione, di talché si sarebbe portati a concludere che, in tali ipotesi, anche in ragione di elementari canoni di prossimità della prova, l’onere della prova gravi sull’Amministrazione stessa e non sul privato, così come vuole la teoria che riconosce natura extracontrattuale al danno da ritardo.
2. Il danno da ritardo nell’evoluzione normativa e giurisprudenziale
“Il danno da ritardo”, come noto, “è una fattispecie risarcitoria configurabile a seguito della mancata o ritardata adozione di un provvedimento favorevole al privato cittadino richiedente, preceduto dall’annullamento in sede giurisdizionale di un provvedimento di segno negativo, ovvero, anche in assenza di quest’ultimo o, infine, per il fatto in sé dell’omissione o del ritardo, a prescindere dal contenuto del provvedimento finale”.
Se, da un lato, risulta agevole fornirne una definizione, dall’altro appare molto più complesso fornirne un inquadramento e giungere ad individuare i presupposti per il risarcimento; la soluzione dipende soprattutto dal significato che si vuole attribuire al fattore tempo.
Infatti, il tempo e il decorso dello stesso hanno avuto, da sempre, notevole rilevanza giuridica, dal momento che il fenomeno temporale può determinare, di per sé, conseguenze rilevanti sul piano della costituzione, della modifica o dell’estinzione di situazioni giuridiche soggettive. Nel diritto amministrativo tuttavia, a differenza che nell’ambito civile e in quello penale, il tempo, aveva assunto un ruolo secondario, quale necessario intercalare tra le istanze dei privati e l’azione della Pubblica Amministrazione.
Nel corso degli anni il legislatore ha cercato di conferire maggiore importanza all’assetto temporale anche nel procedimento amministrativo, creando istituti capaci di incidere su tale dimensione. Significativa manifestazione di questa tendenza è stata l’introduzione, nella L. 241/1990, dell’art. 2, che ha previsto l’obbligo in capo alla Pubblica Amministrazione di concludere il procedimento attraverso un provvedimento espresso che si manifesti necessariamente entro un lasso di tempo determinato.
Proprio dall’importanza che si intende attribuire al fattore tempo nello svolgimento dell’azione amministrativa dipende la risposta al quesito “se sia risarcibile il mero danno da ritardo, cioè se sia risarcibile oggettivamente il danno subito dal privato in conseguenza dell’inerzia protratta dall’amministrazione oltre un termine predeterminato dalla legge, ovvero se il danno sia risarcibile ove sussista la spettanza del bene della vita, laddove il privato abbia titolo al rilascio del provvedimento richiesto”.
Invero, l’art. 2 dispone che il procedimento amministrativo deve concludersi con l’adozione di un provvedimento espresso ed il successivo art. 2-bis dispone, al comma 1, che l’Amministrazione ed i soggetti ad essa equiparati sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.
D’altra parte si deve evidenziare che il comma 1-bis dell’art. 2-bis prevede che “Fatto salvo quanto previsto dal comma 1 e ad esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato e dei concorsi pubblici, in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento ad istanza di parte, per il quale sussiste l’obbligo di pronunziarsi, l’istante ha diritto di ottenere un indennizzo per il mero ritardo… In tal caso le somme corrisposte o da corrispondere a titolo di indennizzo sono detratte dal risarcimento”.
In un primo momento, il contenuto di tale disposizione aveva favorito il sorgere di un orientamento volto a riconoscere, in numerose ipotesi, il risarcimento del danno da “mero ritardo”, ma a seguito dell’entrata in vigore della disciplina dell’indennizzo da ritardo (art. 28 d.l. 69/2013, conv. nella l. 98/2013) è stata confermata la tesi secondo cui “il risarcimento non è dovuto come conseguenza del mero superamento dei termini, ponendosi l’inosservanza del termine come presupposto causale del danno ingiusto eventualmente cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine” (Cons. Stato, sez. IV, 22 maggio 2014, n. 2638).
A conforto di quanto sopra riportato depone una recentissima pronuncia del Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. IV, 2 gennaio 2019, n.20).
Alla luce del fatto che si è dovuto fare riferimento all’istituto dell’indennizzo da mero ritardo si ritiene opportuno chiarirne la portata e precisare in che termini esso sia collegato all’istituto del risarcimento del danno da ritardo.
L’art. 28 della l. 98/2013 stabilisce che in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento amministrativo, la P.A. procedente, corrisponde all’interessato, a titolo di indennizzo per il mero ritardo, una somma pari a 30 euro per ogni giorno di ritardo con decorrenza dalla data di scadenza del termine del procedimento, complessivamente non superiore a 2000 euro.
Il profilo che risulta qui di interesse risiede nel fatto che le somme corrisposte o da corrispondere a titolo di indennizzo devono essere detratte dal risarcimento.
Chiarito il collegamento tra i due istituti è possibile tornare ad occuparsi del risarcimento del danno da ritardo .
Premesso tutto quanto sopra è chiaro che al fine di ottenere il risarcimento del danno è necessario dimostrare la sussistenza di tutti gli elementi tipici per la configurazione della responsabilità dal punto di vista oggettivo, ivi compresa la verifica della spettanza del bene della vita che il privato vuole acquisire alla sua sfera giuridica attraverso l’esercizio del potere e l’emanazione del conseguente provvedimento amministrativo.
In riferimento alla responsabilità della Pubblica Amministrazione tanto la giurisprudenza, quanto la dottrina, hanno elaborato soluzioni contrastanti, talvolta ritenendola di natura extracontrattuale, altre volte di natura contrattuale o precontrattuale. Sono state, così, elaborate corrispondenti teorie qui di seguito brevemente ripercorse per giungere ad esaminare le differenze che emergono, nell’interpretazione del risarcimento del danno, alla luce dalla recente pronuncia T.A.R. Sardegna n. 622/2019.
Una prima teoria (successivamente avallata dall’indirizzo dominante nella giurisprudenza amministrativa) vede il suo fondamento nella sentenza n. 500/1999 della Cassazione a Sezioni Unite che ha qualificato la responsabilità in esame come responsabilità extracontrattuale, comportando, di conseguenza, il riconoscimento della funzione precettiva dell’art. 2043 c.c.
Tale tipo di responsabilità si riferisce a tutte le situazioni in cui non sussiste un rapporto particolare tra danneggiante e danneggiato e richiede la sussistenza dell’elemento soggettivo, dolo o colpa, in capo alla Pubblica Amministrazione.
Inoltre, alla luce dei principi che regolano l’onere della prova, affinché possa essere accolta la domanda di risarcimento del danno extracontrattuale incombe al ricorrente dimostrare la sussistenza di tutti gli elementi tipici della fattispecie di responsabilità: il fatto illecito, l’evento dannoso, il nesso di causalità e l’elemento soggettivo.
Giova ricordare che parte minoritaria della giurisprudenza ha ammesso, in un’ottica di alleggerimento dell’onere probatorio del danneggiato, la possibilità per l’attore di provare la colpa mediante presunzione (Cons. Stato, sez. IV, 10 agosto 2004, n. 5500).
In contrapposizione alla teoria sopra illustrata si sono poste alcune voci della dottrina e parte minoritaria della giurisprudenza (ex multis: Cass. Civ., sez. I, 11642/2012) che, partendo dal presupposto che, nei confronti del privato coinvolto dall’azione, l’Amministrazione non può considerarsi come il “terzo qualunque”, hanno elaborato la teoria della “responsabilità da contatto sociale”. Tale teoria presuppone l’instaurazione di un “contatto” tra privato e Amministrazione conseguente all’avvio del procedimento e comporta, a carico del soggetto pubblico, l’insorgere di obblighi di protezione, la cui fonte viene individuata nell’art. 1173 c.c. che rinvia “ad ogni atto o fatto idoneo secondo l’ordinamento giuridico”. La violazione dei predetti obblighi configura una responsabilità di natura contrattuale e non più extracontrattuale, dal momento che l’avvio di un procedimento d’ufficio o su istanza di parte determina una relazione giuridica che lega i soggetti coinvolti e che impone il rispetto dei principi di correttezza e buona fede.
Quest’ultima opzione ermeneutica, rimasta assolutamente minoritaria, comporterebbe un alleggerimento dell’onere della prova in capo al danneggiato, il quale non dovrebbe provare la colpa del danneggiante, essendo invero l’Amministrazione a dover dimostrare che l’inadempimento è dovuto a causa a sé non imputabile.
Un’ulteriore teoria che merita di essere ricordata trova il suo fondamento in Cons. Stato, Ad. Plen. n. 7/2005, alla luce della quale per ottenere il ristoro patrimoniale a seguito del ritardo nell’adozione del provvedimento da parte della Pubblica Amministrazione sarebbe necessario dimostrare il pregiudizio derivante dalla mancata concessione del bene della vita cui comunque si avrebbe titolo.
Tale orientamento è stato confermato anche dalla successiva giurisprudenza (c.f.r. Cons. Stato, ad. plen., 23 marzo 2011, n. 3), che ha riconosciuto una dimensione sostanziale all’interesse legittimo, affermando che va “inteso come la posizione di vantaggio riservata ad un soggetto in relazione ad un bene della vita interessato dall’esercizio del potere pubblicistico”.
Proprio tale definizione – ed il principio che ne deriva – ha reso possibile il risarcimento del danno derivante dal ritardo nell’adozione di un provvedimento che avrebbe assegnato il bene della vita e, pertanto, ha ridimensionato la pretesa del risarcimento del danno in sé considerato, quanto meno in riferimento agli interessi pretensivi.
Esposti i diversi orientamenti che sono stati elaborati, stante il tenore letterale degli artt. 2 e 2 bis della L. 241/1990 pare essere confermata la teoria che configura la responsabilità della Pubblica Amministrazione come una responsabilità di tipo extracontrattuale.
Giova a tal riguardo evidenziare che, secondo l’indirizzo dominante, il modello aquiliano di cui all’art. 2043 c.c. rappresenta il punto di riferimento fondamentale per la responsabilità civile dell’amministrazione in relazione ai danni cagionati dall’illegittima attività amministrativa (ex multis: Cons. Stato, sez. V, 18 giugno 2018, n. 3730).
In conclusione, una volta accolta la tesi della natura extracontrattuale della responsabilità della Pubblica Amministrazione, può affermarsi che, ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria, il ricorrente – alla luce dei noti principi che governano il riparto dell’onere probatorio – dovrà dimostrare la sussistenza sia dei presupposti di carattere oggettivo (elementi tipici per la sussistenza della responsabilità) sia, soprattutto, di quelli di carattere soggettivo, ovvero il dolo o la colpa dell’Amministrazione.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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