Occhio alle e-mail che inviamo perché la diffamazione è sempre in agguato
La sentenza in commento (Cass. pen. n.12186/2022) offre spunti davvero interessanti perché riferiti a situazioni più che ricorsive all’interno delle realtà condominiali. Chi non ha mai avuto l’impulso irrefrenabile di inviare una bella e-mail all’amministratore scrivendo tutto quello che pensa (male) dello stesso? Ebbene, nel caso scrutinato il condomino Tizio non invia la e-mail direttamente all’amministratore ma ad un (solo) condomino che poi le inoltra all’amministratore (persona offesa) senza che, così come comprovato dalle testimonianze rese, altri condomini ne avessero potuto leggere il contenuto. Le conseguenze, come vedremo, sono comunque pesanti per il condomino che ha inviato la e-mail.
Il reato che gli viene contestato è quello di cui all’art. 595 c.p. Diffamazione (aggravata) realizzatasi attraverso e-mail inviate da un condomino ad altro condomino e ritenute lesive della reputazione dell’amministratore dello stabile. La Cassazione conferma la condanna intervenuta sia in primo che secondo grado. Gli episodi diffamatori sono diversi (nel senso che sono diverse le e-mail inviate).
Interessanti i tempi affrontati. Primo tra tutti l’elemento oggettivo del reato di diffamazione. Invero nel caso in esame prima facie non si paleserebbe una diffusione della comunicazione a più persone avendo l’imputato inviato le e-mail ad un solo condomino. Invero la sentenza della Cassazione rileva come l’utilizzo della posta elettronica non esclude la sussistenza del requisito della “comunicazione con più persone” nella ipotesi di diretta ed esclusiva destinazione del messaggio diffamatorio ad una sola persona determinata quando l’accesso alla casella mail sia consentito almeno ad altro soggetto, a fini di consultazione, estrazione di copia e di stampa, e tale accesso plurimo sia noto al mittente o, quantomeno, prevedibile secondo l’ordinaria diligenza, salva l’esplicita indicazione di riservatezza. Nel caso di specie era inevitabile, spiega la Corte, che il destinatario delle mail commentasse le e-mail ricevute dall’imputato con gli altri condomini trattandosi di questioni che riguardavano il condominio. In ogni caso l’eventualità che fra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona a cui si rivolgono le espressioni offensive non consente di mutare il titolo del reato nella diversa ipotesi di ingiuria ove non ricorra contestualità nel recepimento del messaggio.
Quanto all’elemento soggettivo della diffamazione (l’animus diffamandi) sempre la Corte rileva come le e-mail insinuassero il dubbio circa la correttezza della condotta di amministratore e, alludendo alla personale conoscenza di un possibile nuovo amministratore ritenuto “valido” con cui rimpiazzare quello in carica, si alludeva implicitamente all’inidoneità dello stesso a ricoprire la carica intaccandone la stima e reputazione acquisita nel contesto di riferimento rappresentato dall’opinione degli altri condomini.
Si duole il condomino incriminato e ricorrente in Cassazione che non sia stato riconosciuto quale esimente il diritto di critica. Diritto che ha due presupposti quali la verità del fatto storico posto a fondamento della elaborazione critica e la c.d. continenza (l’uso di modalità espressive proporzionate e funzionali all’opinione dissenziente manifestata).
Sotto il profilo della continenza è stato osservato che le espressioni in commento risulterebbero pretestuosamente denigratorie e sovrabbondanti rispetto al fine di manifestare un dissenso nei confronti della correttezza dei conteggi operati dall’amministratore (il riferimento è alla e-mail dove l’imputato aveva evidenziato l’inesattezza dei conteggi fatti dall’amministratore definendoli non solo “sbagliati”, ma anche “fasulli”. Non si tratterebbe solo di parole “forti” considerato che gli stessi termini sono stati messi in evidenzia mediante l’uso del carattere maiuscolo così facendone risaltare il significato nella lettura della missiva e, dunque, al fine di insinuare consapevolmente la mala fede dell’amministratore. Trasparirebbe l’intento del condomino di esporre le circostanze non al mero fine di segnalare l’asserita commissione di errori nei conteggi ma proprio allo scopo di screditare l’amministratore in maniera del tutto sovrabbondante rispetto all’esigenza di denunciare tali ritenuti errori. Nell’affermare reiteratamente – e strumentalmente – la falsità dei conteggi, sino a palesare, per ciò stesso, la necessità di cambiare amministratore di condominio, si intravede chiaramente l’uso da parte del condomino ricorrente di argomenti lesivi della reputazione della parte offesa perché gravemente infamanti la sua professionalità.
Sotto il profilo della ragionevole e giustificabile convinzione della veridicità dei fatti denunciati considerati tutti gli elementi acquisiti, quali i verbali delle assemblee condominiali e le plurime spiegazioni fornite al ricorrente (condomino imputato) da parte dell’amministratore in ordine ai versamenti da lei effettuati ed ai consuntivi di riferimento, riferiti ai precedenti anni rispetto alle mail oggetto di imputazione, non sono emersi elementi idonei a far ritenere veridica, neppure putativamente, la prospettazione del fatto narrato dal condomino.
Non invocabile la c.d. exceptio veritatis di cui all’art. 596 c.p., comma 3, n. 2) in quanto nei confronti della persona la cui reputazione è stata offesa (l’amministratore) non figura pendente o concluso un procedimento penale. La Corte precisa peraltro che al giudizio civile di opposizione a decreto ingiuntivo (tra imputato e condominio) non è attribuibile, neppure indirettamente, quella consistenza di accertamento storico del fatto idoneo a fondare una valutazione dello stesso in termini di responsabilità penale del diffamato.
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