Occultamento e distruzione di documenti contabili: le condotte sanzionate e i termini di prescrizione
Il reato previsto all’art. 10 del d.lgs. 74/2000 rubricato “occultamento o distruzione di documenti contabili” prevede che: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da tre a sette anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l’evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari”
Le condotte penalmente rilevanti.
Il delitto in esame presuppone l’istituzione -da parte dell’imprenditore- della documentazione contabile, non contemplando, al contrario, la condotta di omessa tenuta delle scritture contabili, sanzionata amministrativamente dall’art. 9, comma 1, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471.
Stante la normativa in esame, le condotte penalmente rilevanti possono consistere, dunque, sia nella distruzione, sia anche nell’occultamento delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari dell’impresa.
Il “tempus commissi delicti” ed i termini di prescrizione del reato.
Le condotte appena indicate sono alternative, e all’una conseguono effetti distinti rispetto all’altra in riferimento al momento consumativo del reato.
Invero, mentre la distruzione dei documenti contabili realizza un’ipotesi di reato istantaneo, che si consuma con la soppressione della documentazione contabile, l’occultamento – consistente nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione da parte degli organi verificatori – costituisce un reato permanente che si protrae sino al momento dell’accertamento fiscale, momento dal quale soltanto inizia a decorre il termine di prescrizione.
La recente giurisprudenza di merito
Di particolare interesse, sul tema, una recente sentenza resa dalla II sezione penale della Corte d’Appello di Milano, n. 2937/2020.
Nello caso in trattato dalla Corte l’appellante impugnava la sentenza di condanna resa nei propri confronti dal Tribunale di primo grado ritenendo insufficiente la motivazione adotta dal Giudice di prime cure, sia in relazione alla prova dell’avvenuta istituzione delle scritture contabili oggetto di giudizio, sia -anche- in ordine all’accertamento dell’eventuale successiva condotta di occultamento delle stesse scritture.
L’appellante sottolineava, in particolare, la circostanza per la quale delle verifiche effettuate dalla Guardia di Finanza, e dai rilievi istruttori, non fosse stato possibile stabilire -con certezza- se il mancato rinvenimento delle fatture (e scritture contabili) fosse dovuto ad un’omissione originaria, imputabile all’imprenditore e consistita nella mancata tenuta delle scritture contabili (e dei documenti collegati) o, piuttosto, ad una sopravvenuta attività di occultamento o di eliminazione operata dallo stesso imputato.
A parere della difesa il mancato rinvenimento della documentazione in argomento determinava l’oggettiva impossibilità di provare la circostanza per la quale l’imprenditore avesse o meno istituito, occultato o distrutto la documentazione stessa.
La decisione della Corte d’Appello
La Corte d’Appello di Milano respingeva l’atto di gravame ritenendo raggiunta la piena prova dell’avvenuto occultamento (e non distruzione o mancata istituzione) dei documenti in argomento, ciò anche in assenza del ritrovamento dei documenti stessi.
Di particolare interesse è l’iter logico-giuridico che ha condotto il Collegio giudicante a ritenere l’imprenditore responsabile del reato permanente di occultamento (e non di distruzione) delle fatture oggetto di contestazione in assenza del Loro ritrovamento. La Corte giustificata tale proprio convincimento nei termini che seguono: “Nel caso de-quo la formulazione dell’imputazione, nell’indicare alternativamente le condotte di occultamento o di distruzione delle fatture, debba essere interpretata nel senso che la contestazione concernesse prioritariamente proprio l’attività di occultamento e solo in via subordinata, non essendo stati rinvenuti i documenti in questione, ne ipotizzava l’avvenuta distruzione, come prudenziale previsione di chiusura (…)”
E ancora “Sarebbe stato onere dell’appellante, laddove avesse inteso giovarsi di tale alternativa previsione (distruzione anziché’occultamento) dare dimostrazione della circostanza per la quale la documentazione contabile era stata non semplicemente occultata ma addirittura distrutta, nonché della collocazione temporale di tale distruzione, al fine di avvalersi dell’eventuale maturazione della prescrizione in conseguenza della qualificazione della condotta come distruttiva”.
A parere dei Giudici milanesi, dunque, il mancato ritrovamento dei documenti oggetto di contestazione legittimava la previsione alternativa, da parte del P.M., delle condotte di “occultamento” e “distruzione”.
Profili di criticità
La conclusioni assunte dalla Corte d’Appello e riportate al precedente paragrafo meritano, certamente, un vaglio critico.
Il mancato rinvenimento della documentazione contabile,contrariamente a quanto affermato, non consentirebbe, in realtà, di ritenere occultata tale documentazione, risultando illogica la deduzione della realizzazione della condotta commissiva di occultamento in assenza di riscontro effettivo. Deduzione che peraltro si riverbera anche sulla determinazione del momento consumativo del reato, incidente sulla eventuale prescrizione dello stesso.
Non condivisibile è poi, a parere dello scrivente, l’assunto secondo il quale sia “onere dell’imputato” fornire prova dell’avvenuta distruzione dei documenti contabili (“al fine di potersi giovare di tale previsione”), nel caso non sia fornita -dagli organi d’accusa- alcuna prova contraria.
Non è dato comprendere, in particolare, la ragion per la quale, in assenza di alcuna prova positiva, considerata una situazione di assoluta incertezza (per la quale non sia stato in alcun modo possibile attribuire con sicurezza all’imputato il fatto criminoso specifico dell’occultamento) il Giudicante non abbia privilegiato la tutela del reo, ritenendolo responsabile -al più- del reato di distruzione delle fatture attive.
Recidiva e prescrizione
Di particolare interesse, infine, il principio esposto nella citata pronuncia dalla Corte milanese in riferimento all’inidoneità della mera contestazione della recidiva ad incidere sui termini prescrizionali del reato. La Corte, infatti, non riteneva condivisibile la valutazione del Tribunale di Sondrio che considerava influente ai fini del computo del termine prescrizionale la mera contestazione della recidiva reiterata di cui all’art. 99 co.4, prima parte c.p. quale circostanza aggravante ad effetto speciale, idonea a determinare l’effetto interruttivo nella misura di due terzi del tempo necessario a prescrivere.
La Corte stabiliva, in particolare che: “lo stesso giudice ha espressamente escluso la recidiva contestata, non ritenendola in concreto espressione di una maggiore colpevolezza o pericolosità sociale dell’imputato, per cui la predetta circostanza deve ritenersi ininfluente anche ai fini del computo del tempo necessario a prescrivere il reato (Cass. 16.11.2017 n.54043), atteso che mentre prima della sentenza di merito la più severa disciplina dei tempi di estinzione del reato ex art. 157 co.2 cp opera sulla base della mera contestazione della recidiva, da considerare appunto quale circostanza aggravante ad effetto speciale, una volta intervenuta la decisione che non abbia ravvisato una relazione qualificata fra i precedenti dell’imputato e il fatto a lui addebitato, la circostanza perde il suo rilievo ai fini del computo del tempo necessario a prescrivere il reato.”
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Nicola Ambrosetti
Docente a-046.
Collaboratore Studio Legale Arduini-Baruffi, Sondrio (SO)
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