Occupazione illegittima: risarcimento per la perdita della proprietà
La pretesa risarcitoria a fronte dell’occupazione illegittima del fondo da parte dell’amministrazione, colpevole di non aver emanato un apposito atto di acquisizione, è accolta sulla base di una serie di motivazioni: 1) la condotta illecita dell’amministrazione configura un illecito permanente ai sensi dell’articolo 2043 c.c., non incidente sul diritto di proprietà; 2) l’illecito permanente cessa soltanto con la restituzione del fondo, oppure a seguito di un accordo transattivo, oppure con la rinunzia abdicativa da parte del proprietario, implicita nella richiesta di risarcimento del danno per equivalente monetario [1].
Secondo la costante giurisprudenza [2], il risarcimento per la perdita della proprietà va ragguagliato al valore venale effettivo del bene. A tale valore devono essere aggiunte e riconosciute anche le potenzialità economiche di terreni, non coincidenti con il loro sfruttamento agricolo, e non trasfuse negli strumenti urbanistici mediante attribuzione di un indice fondiario, ma comunque compatibili con la tipizzazione da questi impressa e inoltre non in contrasto con vincoli inderogabili di legge o da questa discendenti.
Deve darsi continuità alla regola che consente al proprietario dei terreni espropriati od occupati illegittimamente di offrire la concreta prova di tali potenzialità, avuto riguardo alle obiettive ed intrinseche caratteristiche e attitudini del fondo, ivi compresa la sua ubicazione più o meno interna o esterna a centri abitati, la presenza di opere urbanizzative e di altre Infrastrutture [3].
La domanda proposta dal privato ha carattere meramente abdicativo e non traslativo, non determinando un automatico passaggio di proprietà del bene.
L’acquisto della proprietà del fondo da parte dell’Amministrazione dovrà invece avvenire sulla base di quanto disposto dall’art. 42-bis del Testo Unico Espropri, ed in particolare del suo comma 4, secondo il quale il provvedimento di acquisizione deve recare l’indicazione delle circostanze che l’hanno condotta all’indebita utilizzazione dell’area e la data dalla quale ha avuto inizio.
Il provvedimento deve essere motivato con riferimento alle ragioni di interesse pubblico, attuali ed eccezionali, che ne hanno giustificato l’emanazione, valutate comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l’assenza di ragionevoli alternative alla sua adozione.
L’atto contiene altresì la liquidazione dell’indennizzo e la disposizione del pagamento entro trenta giorni, deve essere notificato al proprietario e comporta il passaggio del diritto di proprietà sotto condizione sospensiva del pagamento delle somme dovute.
Il provvedimento è quindi soggetto a trascrizione presso la conservatoria dei registri immobiliari a cura dell’amministrazione procedente ed è trasmesso in copia all’ufficio competente.
L’acquisto della proprietà del fondo da parte dell’amministrazione ai sensi dell’art. 42-bis del Testo Unico Espropri è stato, come noto, dichiarato compatibile con i principi costituzionali nazionali (con gli articoli 3, 24, 42, 97, 111, 113 e 117) e con quelli della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, secondo quanto previsto dalla sentenza della Corte Costituzionale del 30 aprile 2015, n. 71 [4].
Note bibliografiche
[1] L’illecito può altresì cessare per una compiuta usucapione, oppure a seguito di un provvedimento emanato ai sensi dell’art. 42-bis Testo Unico Espropri.
[2] Corte di Cassazione, Sezione I, numero 2336/1998; Sezione I, numero 9683/2000; Sezione I, numero 14783/2007; Sezione I, numero 21386/2011; Sezione I, numero 7174/2013; Sezione I, numero 18434/2013; Sezione I, numero 6296/2014 e Consiglio di Stato, Sezione IV numero 76/2013; Sezione IV, numero 4871/2013; Sezione IV, numero 5095/2013; Sezione IV, numero 5820/2013; Sezione IV, numero 306/2014; Sezione IV, numero 2470/2014; Sezione IV, numero 2482/2014; Sezione V, numero 5067/2014.
[3] Consiglio di Stato, Sezione IV, numero 1073/2018 e F. Caringella, il sistema del diritto amministrativo, V, Dike Giuridica Editrice, Roma, 2019, pp. 159, 160.
[4] La Corte Costituzionale ha infatti affermato che “Da una parte, la norma censurata delinea pur sempre una procedura espropriativa, che in quanto tale non può non presentare alcune caratteristiche essenziali. Ma non si deve trascurare, dall’altra parte, che si tratta di una procedura “eccezionale”, che ha necessariamente da confrontarsi con la situazione fattuale chiamata a risolvere, in cui la previa dichiarazione di pubblica utilità dell’opera sarebbe distonica rispetto ad un’opera pubblica già realizzata. La norma censurata presuppone evidentemente una già avvenuta modifica dell’immobile, utilizzato per scopi di pubblica utilità: da questo punto di vista, non è congrua la pretesa che l’adozione del provvedimento di acquisizione consegua all’esito di un procedimento scandito in fasi logicamente e temporalmente distinte, esattamente come nella procedura espropriativa condotta nelle forme ordinarie.
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Avv. Tullio Facciolini
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