Omessa diagnosi medica: danno da nascita indesiderata

Omessa diagnosi medica: danno da nascita indesiderata

Abstract: All’interno dei danni riconducibili all’ampia sfera della responsabilità medica, vi è il danno da nascita indesiderata, il quale deriva dalla omessa informazione del medico circa la malformazione del feto, fattispecie che impedisce alla madre di abortire.

In particolare, in dottrine e giurisprudenza, si è posta l’attenzione sul tipo di danno da risarcire, sui soggetti cui può riconoscersi il diritto di agire, ed il relativo regime probatorio in ambito processuale.

Sommario: 1. Brevi cenni legislativi e giurisprudenziali – 2. La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 2798/2023 – 3. I danni risarcibili

 

1. Brevi cenni legislativi e giurisprudenziali

La legge n. 194/1978, “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, è volta a tutelare il diritto alla procreazione e riconosce il valore sociale della maternità.

L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i 90 giorni, fattispecie prevista dall’articolo 6 della sopracitata legge, può essere praticata qualora la gravidanza o il parto possano mettere in pericolo la vita della gestante, e qualora siano accertati degli stati patologici del feto, tali da determinare un grave pericolo per la salute fisica o psichica della gestante.  

Nel nostro ordinamento non esiste la configurabilità di un danno in re ipsa,e cioè risarcibile in quanto esistente; infatti, secondo la giurisprudenza prevalente, ai fini del risarcimento del danno da nascita indesiderata, non è sufficiente la prova della omessa diagnosi della patologia da parte del medico e della mancata informazione alla gestante, ma è altresì necessario che la donna provi che qualora fosse stata informata circa la malformazione del feto, avrebbe scelto di non proseguire la gravidanza, interrompendola.

Parte della giurisprudenza ritiene che la sottoposizione ad esami periodici per verificare lo stato di salute del feto, non costituisce prova circa l’eventuale volontà di abortire.

A tale orientamento ha aderito la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza 25767/2015, nella quale si specifica che è onere della madre dimostrare che, qualora fosse stata informata circa la malformazione del feto, avrebbe abortito.

Le Sezioni Unite, riguardo il modo in cui sia possibile dare prova di una intenzione, che è un fatto psichico e non empirico, hanno sostenuto che l’onere probatorio può consistere dando prova di altre circostanze, dalle quali può ragionevolmente dedursi l’esistenza della situazione psichica. Tale prova può essere fornita anche tramite presunzioni semplici.

Con la sentenza n.2150/2022 la Corte di Cassazione ha precisato che la lesione del diritto ad interrompere la gravidanza a causa dell’inadempimento del medico, può sussistere qualora coesistano due condizioni, e cioè: la violazione dell’obbligo di informazione in merito alle malformazioni fetali; l’esistenza di un processo patologico in corso di gravidanza a carico della gestante.

2. La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 2798/2023

La III sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza del 31 gennaio 2023, n. 2798/2023, si è pronunciata sull’omessa diagnosi di una grave malformazione del feto da parte del medico, e la successiva nascita con gravi malformazioni.

La vicenda trae origine dalle richieste di risarcimento fondate sul mancato esercizio del diritto all’interruzione volontaria della gravidanza, che causa la violazione del diritto all’autodeterminazione, e sull’omessa informazione, che causa la violazione del diritto al consenso informato.

Le due consulenze tecniche d’ufficio espletatesi durante il processo ritenevano che l’esame ecografico avrebbe potuto rilevale la malformazione; la prima consulenza riteneva ciò attribuendo all’esame ecografico la sensibilità diagnostica pari al 90%; la seconda consulenza riduceva la percentuale al 50%.

La sentenza della Corte d’Appello aveva rigettato le domande risarcitorie, per vari motivi, tra i quali la mancata prova sul fatto che la donna, qualora fosse stata informata, avrebbe esercitato il diritto di interruzione della gravidanza.

Tra le questioni poste all’attenzione della Corte di Cassazione, particolare rilievo ha avuto la seguente: la domanda di risarcimento del danno da nascita indesiderata comprende al suo interno anche il danno derivante dalla mancata informazione riguardo le malformazioni del feto?

Secondo la Corte di Cassazione, la violazione del dovere di informazione gravante sul medico, può causare due tipi di danni, tra loro diversi, consistenti l’uno nel danno alla salute qualora sia ragionevole ritenere che la madre avrebbe rifiutato di sottoposti all’intervento, l’altro nel danno da lesione del diritto all’autodeterminazione.

Il paziente ha il diritto di conoscere con ragionevole precisione le eventuali conseguenze derivanti dall’intervento medico, al fine di avere dei parametri che permettano di scegliere, con consapevolezza, la strada da intraprendere.

È bene ricordare che l’informazione è corretta se vengono rispettate determinate condizioni, in modo congiunto, e cioè: il diritto di scegliere tra diverse opzioni di trattamento medico; la facoltà di acquisire pareri medici da altre strutture e/o altri specialisti; la possibilità di affrontare le conseguenze dell’intervento; il diritto di interrompere consapevolmente la gravidanza.

Il principio applicato dalla Corte al caso in questione, in conformità alla precedente giurisprudenza, consiste nell’autonomia del danno da lesione dell’autodeterminazione, poiché qualora vi siano ritardi o omissioni nella diagnosi dello stato di salute del feto, i danni risarcibili devono comprendere anche l’impossibilità di scegliere in che modo agire, alla stregua di diverse possibilità, ognuna delle quali avrebbe dei risvolti empirici diversi.

3. I danni risarcibili 

Secondo la Corte di Cassazione i danni risarcibili, nel casode quo, sono: la lesione del diritto di interrompere la gravidanza, a fronte di malformazioni del feto. Diritto che si sostanzia nel generale riconoscimento della capacità di una scelta autonoma e indipendente dell’individuo; l’impossibilità di porre in essere una scelta che sia posta in ragione dell’evento, cioè della nascita del figlio con gravi patologie, non solo in relazione ad eventuali supporti di tipo psico-terapeutico, ma anche in relazione alla organizzazione della vita in funzione delle esigenze del nascituro.

La diligenza del medico riguardo l’adempimento della prestazione deve essere valutata, ex articolo 1176 comma 2 c.c., in quanto ricollegata ad una condotta del debitore qualificato; pertanto non opera il parametro della diligenza generale del buon padre di famiglia.

Tra gli obblighi gravanti sul medico, vi è il dovere di informare la gestante della possibilità di fruire di servizi diagnostici presso un centro medico che abbia dei mezzi idonei (ad esempio un maggiore livello di specializzazione, macchinari più precisi, o tecnologicamente più recenti).

Con riferimento alla prova per presunzioni, bisogna allegare ogni elemento che in modo serio, preciso e concordante possa dimostrare, per mezzo di un ragionamento logico, possa dimostrare la lesione del diritto all’autodeterminazione, che è riconosciuto a livello costituzionale dall’articolo 32.

La prova della eventuale scelta di abortire a fronte di una informazione che palesasse lo stato di salute del feto, è raggiungibile per presunzioni, anche per mezzo di precedenti manifestazioni di pensiero circa la possibilità di abortire date determinate circostanze, in conformità a quanto stabilito dalle Sezioni Unite, con la sentenza n. 25767/2015.


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