Omessa dichiarazione fiscale e competenza territoriale del giudice penale: si applica il principio di effettività

Omessa dichiarazione fiscale e competenza territoriale del giudice penale: si applica il principio di effettività

Sommario: 1. La fattispecie di omessa dichiarazione e i criteri di competenza territoriale dell’art. 18 d.lgs. n. 74/2000 – 2. La vicenda processuale – 3. La decisione della Suprema Corte: il principio di effettività e la sua applicazione in materia penale

Con la sentenza n. 27606/2020 (udienza del 14.09.2020, Presidente: Di Nicola, Relatore: Socci), la III Sezione penale della Cassazione è tornata a pronunciarsi in materia di reati tributari, in particolare con riferimento alla fattispecie di omessa dichiarazione di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74/2000 e alle problematiche connesse all’individuazione del giudice territorialmente competente.

Con il provvedimento in esame i giudici di Piazza Cavour forniscono ulteriori chiarimenti circa i canoni normativi di riferimento per l’individuazione del domicilio fiscale del contribuente e, conseguentemente, del giudice competente ex art. 18 d.lgs. n. 74/2000.

La S.C. osserva, in particolare, che ai fini degli obiettivi dell’ordinamento penale, non dissimili da quelli perseguiti dal legislatore tributario, di prevenzione e repressione di condotte elusive da parte del contribuente-indagato, debba attribuirsi al concetto di domicilio fiscale una valenza “sostanziale” in ossequio al principio di effettività già tipizzato nell’ordinamento tributario e civile, ai sensi del quale è necessario individuare come domicilio fiscale – anche ai fini dell’applicazione della norma penale – il luogo della “effettiva” esistenza della organizzazione societaria.

1. La fattispecie di omessa dichiarazione e i criteri di competenza territoriale dell’art. 18 d.lgs. n. 74/2000

Prima di procedere all’analisi del provvedimento in commento, è opportuno premettere brevi cenni sulla fattispecie penale di omessa dichiarazione e relative norme inerenti alla individuazione del giudice competente.

La disposizione dell’art. 5 del d.lgs. n. 74/2000 (omessa dichiarazione) stabilisce quanto segue:

1. E’ punito con la reclusione da due a cinque anni chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila. 1-bis. E’ punito con la reclusione da due a cinque anni chiunque non presenta, essendovi obbligato, la dichiarazione di sostituto d’imposta, quando l’ammontare delle ritenute non versate è superiore ad euro cinquantamila. 2. Ai fini della disposizione prevista dai commi 1 e 1-bis non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto”.

La fattispecie è stata oggetto di recente riforma attraverso la l. 19 dicembre 2019, n. 157 che ha convertito in legge, con modificazioni, il d.l. 26 ottobre 2019, n. 124. La novella ha apportato importanti modifiche alla materia dei reati tributari e in particolare, con riguardo al delitto di omessa dichiarazione, il legislatore ha previsto un aggravamento sanzionatorio del minimo edittale di pena, raddoppiato da 1a 2 anni, e del massimo edittale, che viene elevato a 5 anni (originariamente l’aumento previsto nel testo del decreto-legge era pari ad anni 6)[1].

La norma in oggetto sanziona la condotta del contribuente (e del sostituto d’imposta) che non presenta, pur essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, qualora l’ammontare dell’imposta evasa (o delle ritenute non versate) sia superiore alla soglia di punibilità di euro 50.000. Il delitto si configura, pertanto, come reato omissivo proprio che si perfeziona nel momento dell’inutile scadere del termine previsto per la presentazione della dichiarazione fiscale senza che il contribuente abbia adempiuto all’obbligo di presentare detta dichiarazione, non rilevando in alcun modo la produzione di un effettivo danno economico per l’amministrazione finanziaria (Cass. pen., Sez. III, n. 20856/2017).

Ai fini del computo del termine per la presentazione della dichiarazione, il comma 2 dell’art. 5 concede al contribuente un termine dilatorio di 90 giorni per l’adempimento, entro il quale la dichiarazione tardiva non si considera omessa.

Per quanto concerne l’elemento soggettivo, il delitto è punito a titolo di dolo specifico di evasione (Cass. pen., Sez. III, n. 36474/2019), che si sostanzia nel fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, nel presupposto della consapevolezza e volontà di porre in essere il fatto tipico, ossia di omettere di presentare la dichiarazione predetta entro i termini di legge.

L’art. 18 del d.lgs. n. 74/2000 individua i particolari criteri territoriali per l’individuazione del giudice competente a decidere delle fattispecie penali contenute nel medesimo decreto. Tali parametri normativi costituiscono deroga espressa agli ordinari criteri di cui agli artt. 8 e ss. cod. proc. pen., in ragione delle peculiarità delle condotte tipizzate nelle diverse fattispecie penali-tributarie che più avanti verranno illustrate[2]. Di seguito il testo dell’articolo:

1. Salvo quanto previsto dai commi 2 e 3, se la competenza per territorio per i delitti previsti dal presente decreto non può essere determinata a norma dell’articolo 8 del codice di procedura penale, è competente il giudice del luogo di accertamento del reato. 2. Per i delitti previsti dal capo I del titolo II il reato si considera consumato nel luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale. Se il domicilio fiscale è all’estero è competente il giudice del luogo di accertamento del reato. 3. Nel caso previsto dal comma 2 dell’articolo 8, se le fatture o gli altri documenti per operazioni inesistenti sono stati emessi o rilasciati in luoghi rientranti in diversi circondari, è competente il giudice di uno di tali luoghi in cui ha sede l’ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dall’articolo 335 del codice di procedura penale”.

La norma suddetta, pertanto, salvo il richiamo agli ordinari criteri di cui all’art. 8 cod. proc. pen. operato al primo comma e, in subordine, al criterio del luogo di accertamento del reato, fissa come parametro sussidiario di riferimento per l’individuazione del giudice competente per i delitti di cui al capo I del titolo II del decreto (tra cui, il delitto di omessa dichiarazione) quello del domicilio fiscale del contribuente, rinviando così alla normativa tributaria di riferimento per l’individuazione dello stesso[3].

2. La vicenda processuale

La sentenza in commento trae origine dal ricorso proposto avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale del riesame di Avellino con cui veniva rigettata l’istanza di riesame proposta dal ricorrente contro il provvedimento di sequestro preventivo disposto dal Giudice per le indagini preliminari della medesima città, relativamente al reato di omessa dichiarazione di cui all’art. 5 d. Igs. n. 74/2000.

Il proposto alla misura cautelare articolava una serie di motivi, tra cui la violazione di legge riferita agli artt. 18 e 5 del d. Igs. 74 del 2000, in relazione all’art. 27 del cod. proc. pen.

Deduceva il ricorrente che il Tribunale delle libertà, pur dando atto delle risultanze della visura camerale disattendeva l’eccezione di incompetenza territoriale, osservando che presso il luogo della sede indicato in visura sussisteva il mero recapito dell’ufficio del consulente fiscale della società amministrata dall’indagato.

Come rilevato nel ricorso, l’art. 18 del d. Igs. 74 del 2000 prevede la consumazione del reato di omessa dichiarazione nel luogo del domicilio fiscale del contribuente. Nel caso di specie il Tribunale del riesame di Avellino avrebbe dovuto trasmettere gli atti, ex art. 27 cod. proc. pen., al Tribunale di Lagonegro, ritenuto competente per territorio in considerazione delle risultanze della visura catastale agli atti del procedimento.

3. La decisione della Suprema Corte: il principio di effettività e la sua applicazione in materia penale

Il ricorso viene giudicato inammissibile e i motivi dedotti generici e manifestamente infondati, non ricorrendo nel caso di specie alcuna violazione di legge né, tantomeno, l’apparenza della motivazione fornita dal riesame con riguardo alla individuazione del domicilio fiscale e del giudice competente.

Osserva infatti la S.C. che, in punto di competenza territoriale, il giudice del riesame motivava correttamente facendo riferimento al “centro effettivo di direzione e di attività amministrativa dell’impresa, facendo riferimento ai criteri indicati dall’art. 162 d.P.R. n. 917 del 1986 sulla stabile organizzazione“, quale criterio di individuazione del giudice territorialmente competente, tenuto conto che, nel caso in oggetto, la P.G. accertava che l’impresa dell’indagato aveva trasferito (solo a partire dal 2017) la propria sede legale in diverso Comune dove, tuttavia, esisteva un mero recapito titolato come ufficio del consulente fiscale della società, mentre l’impresa dell’indagato continuava ad esercitare attività nel precedente Comune, nel quale peraltro avveniva l’accesso ispettivo in presenza dell’amministratore.

La motivazione della S.C. si sofferma, pertanto, sulla interpretazione della norma di cui all’art. 18 del d. lgs. n. 74/2000 in tema di competenza territoriale, rifacendosi all’orientamento di legittimità consolidato: ““In tema di reati tributari, la competenza territoriale per i delitti in materia di dichiarazione riguardanti le imposte relative alle persone giuridiche, si determina con riferimento al luogo in cui queste ultime hanno il domicilio fiscale, e che, di regola, coincide con quello della sede legale, ma che, qualora questa risulta avere carattere meramente fittizio, corrisponde al luogo in cui si trova la sede effettiva dell’ente” (Sez. 3, n. 20504 del 19/02/2014 – dep. 19/05/2014, Cederna e altri, Rv. 25978301; nello stesso senso vedi anche Sez. 3, n. 23784 del 16/12/2016 – dep. 15/05/2017, Mosetter, Rv. 26998301)”.

Il procedimento ermeneutico della Corte prende le mosse dalle determinazioni contenute nella relazione governativa di accompagnamento al d.lgs. n. 74 del 2000. Ivi il legislatore rappresentava di voler superare le problematiche connesse all’individuazione del giudice competente in ordine ai delitti in materia di dichiarazione legate alla circostanza che la trasmissione dei dati fiscali avviene in via telematica attraverso soggetti abilitati. A fronte del pericolo di rimettere al contribuente la scelta del foro di competenza, nell’ipotesi in cui si fosse utilizzato il criterio del luogo di invio della dichiarazione, il legislatore riteneva preferibile considerare i reati in questione consumati nel luogo del domicilio fiscale del contribuente, salva l’applicabilità del criterio suppletivo del luogo dell’accertamento laddove detto domicilio risultasse ubicato all’estero.

Tenuto conto della scelta operata dal legislatore in favore del criterio del domicilio fiscale, occorre, pertanto, operare una corretta interpretazione del concetto. Il giudice di legittimità chiarisce che la disposizione dell’art. 18, comma 2, d.lgs. n. 74 del 2000, coì come formulata, non si limita a rinviare ad altre disposizioni di altro atto normativo.

Invero, la Corte osserva che “la prima conseguenza che occorre trarre, dal punto di vista dell’interpretazione, è che quando la legge penale o processuale penale richiama termini o istituti che traggono origine da altri rami del diritto, senza ricorrere alla tecnica del rinvio, il significato dei termini non va desunto esclusivamente dall’ordinamento richiamato, ma va attribuito tenendo conto delle esigenze proprie dell’ordinamento richiamante”.

In base al suddetto parametro sistematico-teleologico di interpretazione della norma penale, consegue che i risultati dell’interpretazione dei concetti extrapenali non possono porsi in insanabile contrasto con l’ordinamento penale che tali concetti o istituti richiama al fine del perseguimento dei propri scopi.

Invero, prosegue la S.C., sarebbe del tutto contraddittorio con le finalità del legislatore penale sopra illustrate ritenere che ai fini dell’individuazione del giudice competente a giudicare dei reati tributari sia sufficiente il mero dato formale del domicilio indicato dal contribuente.

Per tali ragioni il giudice di legittimità ritiene necessario ricorrere ad una nozione “sostanziale” di domicilio fiscale, facendo applicazione del c.d. principio di effettività di matrice civilistica e processualcivilistica, già riconosciuto in materia tributaria e fallimentare.

La disposizione su cui fa leva la Corte è quella dell’art. 58, comma 3, D.P.R., n. 600 del 1973 ove è previsto che il domicilio fiscale delle persone giuridiche è quello del luogo ove si trova la sede legale o, in mancanza, quella amministrativa e nel caso in cui anche questa manchi il domicilio è nel comune ove vi è una sede secondaria o una stabile organizzazione ovvero, infine, ove viene svolta l’attività prevalente.

Tale principio di effettività trova piena applicazione in sede civile, dove la sede “effettiva” dell’ente viene comunemente identificata con il “luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento, nei rapporti interni e con i terzi, degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente” (in particolare, in tema di fallimento, Cass. pen.,Sez. I, n. 16116/2019.

Le medesime considerazioni, si legge in motivazione, valgono altresì per il settore tributario dove la nozione di sede effettiva ha trovato riconoscimento in tema di IRES ai fini dell’individuazione della residenza fiscale delle società ed enti, in base all’art. 73 – già 87 -, comma 3, del D.P.R. n. 917 del 1986, ai sensi del quale la nozione di sede dell’amministrazione, contrapposta alla sede legale, “è assimilabile alla sede effettiva di matrice civilistica, intesa come il luogo di concreto svolgimento delle attività amministrative, di direzione dell’ente e di convocazione delle assemblee e, quindi, come luogo stabilmente utilizzato per l’accentramento, nei rapporti interni e con i terzi, degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente” (in ispecie, in tema di estero-vestizione, Sez. V, n. 15184/2019).


[1] Per approfondimenti sull’intervento di riforma si rinvia a Corte di Cassazione – Ufficio del Massimario e del Ruolo, Relazione n. 3/20, “La legge 19 dicembre 2019, n. 157 di conversione del decreto legge 26 ottobre 2019, n. 124, “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili”: profili penalistici”, 09.10.2020;  Finocchiaro S., “In vigore la “riforma fiscale”: osservazioni a prima lettura della legge 157/2019 in materia di reati tributari, confisca allargata e responsabilità degli enti”, in www.sistema penale.it del 07.01.2020;
[2] Per approfondimenti si rinvia a Torzi L., “Il giudice territorialmente competente per i reati tributari”, in Riv. Trim. Dir. Trib., n. 2/2015, consultabile in www.rivistatrimestraledirittotributario.com.
[3]  Si vedano gli artt. 58 e 59 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 in materia d’imposta sui redditi, l’art. 40 del D.P.R. n. 633/1972 in materia di IVA.

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