Omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali e responsabilità del rappresentante legale

Omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali e responsabilità del rappresentante legale

Quesito: il rappresentante legale della società XYZ S.R.L. (in liquidazione), riceve dall’INPS l’accertamento della violazione prevista dall’art. 2, c. 1-bis, del decreto legge 12 settembre 1983, n. 463 (omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali), con contestuale comunicazione della sanzione amministrativa in misura ridotta come previsto dall’art. 16, L. 24 novembre 1981, n. 689. In prima battuta ci si chiede se il legale rappresentante sia tenuto o meno ad adempiere personalmente al versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali accertate dall’INPS; secondariamente, se sia applicabile la sanzione amministrativa intimata dall’INPS.

La soluzione del parere in esame non può non tener conto della normativa e della giurisprudenza di riferimento.

Relativamente al primo quesito, la disciplina prevista dal codice civile riferita alla S.r.l. stabilisce all’art. 2475-bis c.c. che gli amministratori hanno la rappresentanza generale della società.

Sebbene l’art. 2462, c. 1 c.c. sancisca che per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo patrimonio, l’art. 2476 c.c. differenzia dall’articolo precedente la responsabilità degli amministratori, i quali sono solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dell’atto costitutivo per l’amministrazione della società. La responsabilità solidale e personale degli amministratori è presente al comma 2 dell’art. 2486 c.c. in caso di danni arrecati alla società, ai soci, ai creditori sociali ed ai terzi, per atti od omissioni compiuti in violazione del limitato potere gestorio, che viene in essere al verificarsi di una causa di scioglimento. A compendio di quanto sin qui asserito, l’art. 2488 c.c. estende l’applicabilità delle disposizioni sulle decisioni dei soci, sulle assemblee e sugli organi amministrativi e di controllo, anche durante la liquidazione.

In base al combinato disposto degli articoli 2647 e 2486 c.c., sembrerebbe sussistere la possibilità per l’INPS di rivalersi sul patrimonio personale del legale rappresentante, il che, però, non trova inizialmente conferma nella giurisprudenza della Suprema Corte.

Cassazione civile, sez. trib., 26/06/2015, n. 13259 ritiene, innanzitutto, che la responsabilità penale del socio scatta solamente dopo la chiusura della società. In secondo luogo, detta responsabilità non può estendersi al patrimonio personale, ma deve essere circoscritta a quanto il socio ha realmente ricevuto con il bilancio di liquidazione. Inoltre, il creditore che intende agire nei confronti del socio, è tenuto a dimostrare, in base all’art. 2697 c.c., il presupposto della responsabilità di quest’ultimo e cioè che, in concreto, a fronte del bilancio finale di liquidazione, vi sia stata la distribuzione dell’attivo risultante dal bilancio medesimo e che un quota di tale attivo sia stata da questi riscossa.

Dello stesso tenore Cassazione civile, sez. trib., 16/05/2012, n. 7676 la quale afferma che il socio di una società di capitali, estinta per cancellazione dal registro delle imprese, succede a questa nel processo a norma dell’art. 110 c.p.c., che prefigura un successore universale ogni qualvolta viene meno una parte, solo se abbia riscosso somme in base al bilancio finale di liquidazione, secondo quanto dispone l’art. 2495, c. 2, c.c.: tale vicenda, infatti, non costituisce soltanto il limite di responsabilità del socio quanto al debito sociale, ma anche la condizione per la di lui successione nel processo già instaurato contro la società, posto che egli non è successore di questa in quanto tale, ma lo diventa nella specifica ipotesi, disciplinata dalla legge, di riscossione della quota. La prova di tale circostanza è a carico delle altre parti ed integra la stessa condizione dell’interesse ad agire, che richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica, ma anche la prospettazione della possibilità di ottenere un risultato utile, non essendo il processo utilizzabile in previsione di esigenze soltanto astratte.

Negli stessi termini si esprime Cassazione civile, sez. trib., 16/05/2012, n. 7679, la quale sottolinea ancora una volta il limite della responsabilità del socio nella misura della quota di spettanza in base al bilancio finale di liquidazione.

La medesima posizione si evince anche da Cassazione civile, sez. I, 09/11/2012, n. 19453.

Tuttavia, i più recenti orientamenti giurisprudenziali muovono nella direzione secondo cui le conclusioni di cui sopra, peraltro, come osservato da Cass. 7 aprile 2017, n. 9094 (seguita, in termini ampi, da Cass. 16 giugno 2017, n. 15035), non sono in linea con i principi affermati dalle Sezioni Unite, che in Cassazione civile, sez. trib., 19/04/2018, n. 9672 individuano sempre nei soci coloro che sono destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata (ma non definiti all’esito della cancellazione) a prescindere dall’aver questi goduto o meno di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione. Viene meno, dunque, la preclusione temporale e fattiva dell’avvenuto riparto delle quote di spettanza in sede di bilancio di liquidazione.

In conformità a quest’ultimo recente orientamento, in linea con i principi affermarti dalle S.U., sussiste la concreta possibilità che il legale rappresentante possa rispondere personalmente del mancato versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali.

Relativamente al secondo quesito si richiama la normativa codicistica dapprima analizzata.

Posto che l’INPS ha inviato al legale rappresentante l’accertamento della violazione prevista dall’art. 2, c. 1-bis del D.L. 12 settembre 1983, n. 463, convertito dalla L. 11 novembre 1983, n. 638, omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, con tutti i crismi, quali la violazione e i relativi importi contestati, la possibilità di pagamento in misura ridotta di un terzo rispetto al massimo della sanzione prevista, entro 60 giorni successivi alla scadenza del termine di tre mesi dalla notifica della contestazione, le modalità di pagamento della sanzione e l’avviso che il pagamento consente di fruire della causa di non punibilità sopra descritta, come precisa la Cassazione penale, sez. fer., 10/08/2017, n. 39332.

In materia, esiste una giurisprudenza concorde nel ritenere accertata in capo al liquidatore, come nella fattispecie in esame, la responsabilità da omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali. Nello specifico, Cassazione penale, sez. III, 23/6/2010, n. 34619 osserva che l’avere conferito ad altra persona l’incarico di provvedere al versamento delle ritenute previdenziali non esonera da responsabilità il datore di lavoro, incombendo sul medesimo l’obbligo di vigilare che il terzo adempia l’obbligazione. La medesima si trova anche nella più recente Cassazione penale sez. III, 18 luglio 2017, n. 39072, la quale si premura di aggiungere come, in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali, tenuto ad adempiere alla diffida inviata ai sensi dell’art. 2, comma 1-bis, d.l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito dalla legge 11 novembre 1983, n. 638, è colui che era obbligato al versamento al momento dell’insorgenza del debito contributivo, anche se “medio tempore” abbia perduto la rappresentanza o la titolarità dell’impresa, in quanto il predetto adempimento costituisce una causa personale di esclusione della punibilità, sicché vi è tenuto soltanto l’autore del reato.

Dello stesso tenore la massima di Cassazione penale, sez. III, 15/9/2015, 43607: il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali di cui all’art. 2, d.l. 12 settembre 1983, n. 463, conv. in legge 11 novembre 1983, n. 638, in quanto illecito omissivo istantaneo, si consuma alla scadenza del termine entro il quale il datore di lavoro deve versare le ritenute operate sulle retribuzioni corrisposte ai propri dipendenti, momento nel quale deve sussistere l’elemento soggettivo, sicché non può dedursi l’assenza del dolo dalla mancata conoscenza delle diffida ad adempiere, inviata al contravventore a seguito dell’accertamento della violazione per consentirgli di giovarsi della speciale causa di non punibilità ivi prevista mediante il versamento integrale dei contributi entro tre mesi. Infine, meritevole di nota, è la massima di Cassazione penale, sez. III, 14/4/2015, n. 26712: risponde del reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, il legale rappresentante di una società dichiarata fallita in quanto obbligato, ove non dichiarato fallito personalmente, al pagamento delle ritenute con le personali risorse.

Per completezza, si rammenta come il reato in oggetto sia stato depenalizzato dal decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8, attuativo della legge 28 aprile 2014 n. 67 ed entrato in vigore il 6 febbraio 2016.


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