Omicidio del consenziente e aiuto al suicidio: profili penalistici ed evoluzione giurisprudenziale

Omicidio del consenziente e aiuto al suicidio: profili penalistici ed evoluzione giurisprudenziale

Sommario: 1. Introduzione – 2. Indisponibilità relativa del bene “vita” – 3. L’eutanasia

 

1. Introduzione

Il tema del “fine vita”, della possibilità di scegliere come e in che modo debba avvenire la propria morte, è un argomento che da sempre pone importanti interrogativi in ambito penalistico. L’ordinamento non configura come reato il suicidio, come dimostra il fatto che non venga incriminato il tentativo di togliersi la vita; ma sanziona sia l’omicidio del consenziente all’art. 579 c.p. sia l’aiuto al suicidio di cui all’art. 580 c.p. Tale sistema si fonda sulla indisponibilità del bene “vita” come sancito dall’art. 2 della Costituzione, in forza del quale il titolare del diritto alla vita non può rinunciarvi o disporne liberamente, poiché esso soddisfa anche interessi pubblicistici. Tuttavia tale preclusione assoluta, in determinate situazioni, si traduceva in una lesione del diritto all’autodeterminazione terapeutica anch’essa sancita dalla Costituzione agli artt. 13 e 32 c. 2 Cost.

2. Indisponibilità relativa del bene “vita”

I primi interventi, in tale ambito, sono stati operati dalla giurisprudenza che ha riconosciuto il diritto di perdere la salute e di non curarsi, anche se ciò può portare al decesso. La Corte di Cassazione – con la sent. 21748 del 16 ottobre 2007 – ha in primo luogo sancito il principio del consenso informato del paziente rispetto ai trattamenti sanitari, ricomprendendo al suo interno anche la facoltà di rifiutare le cure, fino all’estrema conseguenza di lasciarsi morire, qualora il trattamento sanitario prospettato dovesse entrare in conflitto con il concetto di dignità umana proprio del paziente.

Contestualmente la Corte precisava però che il rifiuto delle cure non poteva essere qualificato come eutanasia, poiché quest’ultima presuppone un comportamento attivo da parte del medico, in grado di accelerare l’evento-morte.

Questo indirizzo giurisprudenziale è stato accolto e tradotto dalla legge 291/2017. che ha statuito la possibilità per il paziente, che sia stato adeguatamente informato, di rifiutare accertamenti diagnostici e trattamenti sanitari, compresi alimentazione e idratazione artificiale, ponendo in capo agli operatori sanitari il corrispondente obbligo di fermarsi e rispettare la volontà del paziente, anche se essa dovesse determinarne la morte. A tale dovere corrisponde, a sua volta l’esclusione della responsabilità civile e penale dell’operatore sanitario.

La legge dunque ha operato una vera e propria rilettura dell’assetto ordinamentale: il diritto alla vita è, in parte, disponibile, nella misura in cui si riconosce l’opposto diritto a lasciarsi morire.

Il riconoscimento del suddetto diritto ha aperto un ulteriore interrogativo inerente alla legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. che sanziona “chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito”. Ci si domandava infatti se, sancita l’esistenza del diritto a lasciarsi morire, fosse legittimo sanzionare chi decidesse di favorire l’esercizio di tale diritto.

Sul punto è intervenuta la Corte Costituzionale che, con una prima ordinanza, ha escluso l’incostituzionalità dell’art. 580 c.p. nella parte in cui sanziona il mero aiuto materiale alla realizzazione dei propositi suicidari, ribandendo innanzitutto la necessità di conservare tale norma poiché volta a tutelare il soggetto dalle decisioni in suo danno. Tuttavia ha ritenuto necessario configurare tale divieto in forma relativa, riconoscendo che: in presenza di una malattia irreversibile, che determini sofferenze fisiche e psicologiche insopportabili e che renda necessario affidarsi a trattamenti sanitari per mantenere le funzioni vitali, il soggetto in possesso della capacità di agire che non abbia altro modo per porre fine alla propria sofferenza possa avvalersi dell’aiuto prestato da un terzo. L’azione infatti sarebbe funzionale al diritto di autodeterminarsi. In tali circostanze il soggetto che abbia prestato aiuto andrebbe pertanto esente da responsabilità penale.

La Corte non ha però ritenuto opportuno dichiarare incostituzionale la norma, per il timore di lasciare privo di disciplina un settore di grande delicatezza, auspicando invece che di esso si occupasse il legislatore. In assenza di tale intervento, la Corte si è vista obbligata a pronunciarsi nuovamente sull’argomento, con la sentenza 242/2019. Valorizzando il diritto all’autodeterminazione e al rispetto della dignità umana, ha riconosciuto la parziale incostituzionalità dell’art. 580 c.p. nella parte in cui sanziona, di per sé, la condotta di aiuto al suicidio e ha stabilito i criteri alla luce dei quali la condotta appare lecita. In particolare dovranno sussistere le seguenti condizioni: – sussistenza di una malattia con effetti irreversibili; – sofferenze fisiche e psicologiche considerate dal soggetto come insopportabili; – piena capacità di agire; – volontà formatasi liberamente e autonomamente.

A maggior tutela del soggetto che intende porre fine alla propria vita, la Corte ha inoltre ritenuto che debba essere garantito l’accesso alle adeguate cure palliative, come già previsto dalla l. 291/2017.

3. L’eutanasia

Ad oggi dunque l’ordinamento consente di rifiutare trattamenti sanitari salva vita (diritto di lasciarsi morire) mentre rimane preclusa l’eutanasia, che richiede l’intervento attivo del medico nel causare il decesso. Va dato atto del recente tentativo di riformulare l’art. 579 c.p. che sanziona l’omicidio del consenziente per mezzo di referendum, modificandone il testo da “Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui è punito con la reclusione da sei a quindici anni” a “Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con le disposizioni relative all’omicidio se il fatto è commesso: 1) contro una persona minore degli anni diciotto; 2) contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti; 3) contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno». Tale modificazione avrebbe ridotto fortemente l’ambito di applicazione della fattispecie di reato, che sarebbe risultata punibile solo in caso di incapacità del soggetto o di volontà viziata.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 50/2022 ha però escluso l’ammissibilità del suddetto referendum, asserendo che la nuova configurazione dell’art. 579 c.p. avrebbe comportato la totale disponibilità del diritto alla vita, consentendo di porre fine alla propria esistenza non solo in ragione di una malattia ormai irreversibile ma anche in conseguenza di ragioni di natura economica, familiare fino all’estremo della mera “noia di vivere”. Secondo la Corte, una simile estensione si porrebbe in aperto contrasto con il diritto alla vita che, anche se parzialmente disponibile, continua ad essere considerato quale valore fondamentale e che pertanto “la libertà di autodeterminazione non può mai prevalere incondizionatamente sulle ragioni di tutela del medesimo bene, risultando, al contrario, sempre costituzionalmente necessario un bilanciamento che assicuri una sua tutela minima”.

In conclusione, anche alla luce di quanto sopra esposto, appare evidente e quantomai auspicabile, l’intervento del legislatore, l’unico in grado di dettare una disciplina organica, che integri principi costituzionali e nuove esigenze di tutela.


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