Opera caduta in pubblico dominio: all’imputato l’onere della prova

Opera caduta in pubblico dominio: all’imputato l’onere della prova

Il Supremo Collegio (Cass. Pen. sez. III, n. 2000 del 20.01.2020, ud. 15.11.2019, Presidente Di Nicola, Relatore Scarcella) torna sul delicato e affascinante tema della tutela penale dell’opera letteraria e scientifica. Secondo i Supremi giudici, che con l’occasione richiamano la rilevanza di alcuni principi fondamentali del moderno processo penale, la caduta dell’opera in pubblico dominio per il decorso del termine di 70 anni dalla morte dell’autore costituisce un elemento negativo del fatto reato: pertanto, il relativo onere probatorio spetta all’imputato che intende avvalersene.
Sommario. 1. La vicenda giudiziaria – 2. La tutela penale dell’opera letteraria e scientifica: una breve analisi – 3. Segue. Eccezioni e limitazioni: i limiti di carattere quantitativo – 4. Segue. I limiti di carattere temporale – 5. La pronuncia della Suprema Corte: la caduta dell’opera in pubblico dominio come elemento negativo del fatto- 6. L’architrave della pronuncia: una riflessione sui principi generali – 7. La massima.

 

1. La vicenda giudiziaria

La vicenda giudiziaria da cui trae origine la pronuncia della Suprema Corte è la seguente.

Durante un accesso della Guardia di Finanza nei locali della copisteria gestita dall’imputato, i militari rinvenivano e sequestravano 148 copie di testi scientifici, costituenti riproduzioni di manuali di medicina pubblicati da plurime case editrici.

Tali copie, munite di rilegatura, riproducevano per intero il testo originale ed erano presenti anche nel disco rigido del computer in uso all’imputato, in formato pdf. All’interno del p.c. i militari rinvenivano pure un file excel contenente l’elenco dei titoli delle opere scientifiche tra cui quelle presenti in copia rilegata.

Con sentenza del 25.11.2015, il Tribunale di Monza condannava l’imputato alla pena di mesi 4 di reclusione ed € 1.800,00 di multa, riconosceva il concorso delle attenuanti generiche e sostituiva la pena detentiva con quella pecuniaria, ammettendo il beneficio della sospensione condizionale. Secondo i Giudici di primo grado, l’imputato si era reso colpevole del reato previsto e punito dall’art. 171-ter, lett. b) della legge n. 633 del 1941, per aver abusivamente riprodotto a fini di lucro svariate opere scientifiche di cui deteneva svariati esemplari già stampati e copie in formato digitale.

Il 27.02.2019 la Corte d’Appello di Milano confermava la sentenza di prime cure.

Avverso la pronuncia del Collegio Meneghino l’imputato proponeva ricorso per cassazione deducendo, nell’unico motivo, il vizio di mancanza di motivazione.

Segnatamente l’imputato lamentava l’assenza di una presa di posizione dei giudici d’appello circa le contestazioni difensive relative, da un lato, all’assenza del marchio SIAE nelle copie rilegate; dall’altro, alla caduta dell’opera in pubblico dominio.

Secondo la prospettazione del ricorrente i giudici di merito avrebbero dovuto esprimersi sulla delineata assenza di tali elementi negativi della fattispecie di reato.

2. La tutela penale dell’opera letteraria e scientifica: una breve analisi

La sentenza in commento ha il pregio di offrire, anche attraverso un linguaggio molto lineare e limpido, una sintetica panoramica della tutela penale dell’opera scientifica e letteraria nel nostro ordinamento penale.

Tale tutela è affidata in primis dalla l. n. 633/1941.

L’art. 171-ter, co. 1, lett. b) della legge, inserito nel capo dedicato alla tutela penale del diritto d’autore, punisce chiunque, per fini di lucro, abusivamente riproduce, trasmette o diffonde in pubblico, con qualsiasi procedimento, opere o parti di opere letterarie, drammatiche, scientifiche o didattiche, musicali o drammatico-musicali, ovvero multimediali.

Oggetto della tutela penale è l’opera letteraria, scientifica o dell’ingegno. Come recentemente specificato da Cass. Pen. sez. III, 24.10.2016, n. 44587, si tratta del prodotto dell’attività intellettuale che abbia acquistato concretezza di espressione, avendo superato la fase dell’elaborazione interna e avendo acquisito una forma percepibile all’esterno (“chorpus mechanicum”), di modo che sia riconoscibile in essa il carattere della creatività.

Il bene giuridico protetto dalla norma è il diritto d’autore e i diritti connessi al suo esercizio.

La condotta consiste nell’attività di riproduzione abusiva di opere protette dal diritto d’autore. Tale condotta, peraltro, non deve essere connotata dal carattere della mera occasionalità, dovendo al contrario costituire componente rilevante – anche se non esclusiva o essenziale – dell’attività commerciale esercitata da chi commette l’abuso.

In relazione all’elemento soggettivo, va rammentata la modifica al testo legislativo attuata con l. 248/2000, che ha sostituito il “fine di profitto” con l’attuale “fine di lucro”. La novella non cambia comunque l’impostazione del reato, che resta caratterizzato dal dolo specifico. Infatti, il delitto si perfeziona solo nel caso di uso non personale ed in presenza di profitto, configurandosi in caso contrario il mero illecito amministrativo di cui all’art. 68, co. 6 della l. 633/1941.

3. Segue. Eccezioni e limitazioni. I limiti di carattere quantitativo

Proprio l’art. 68 della l. 633/1941, inserito nel capo denominato “eccezioni e limitazioni”, dispone che è libera la riproduzione di singole opere o brani di opere per uso personale dei lettori, fatta a mano o con mezzi di riproduzione non idonei alla diffusione. La norma consente nei limiti del quindici per cento di ciascun volume o fascicolo di periodico (…) la riproduzione per uso personale di opere dell’ingegno effettuata mediante fotocopia, salvo l’obbligo, per i responsabili dei centri di riproduzione, di corrispondere un compenso ad autori ed editori. Tali limitazioni – precisa la disposizione – non si applicano alle opere fuori dei cataloghi editoriali e rare in quanto di difficile reperibilità sul mercato.

Il co. 6 della norma in esame sanziona con un illecito amministrativo lo spaccio delle copie indicate e, in genere, ogni utilizzazione in concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all’autore.

La riproduzione di opere letterarie o scientifiche è, dunque, vietata solo ove la copia superi il quindici per cento dell’intera opera.

4. Segue. I limiti di carattere temporale

La legge sul diritto di autore delinea un ulteriore requisito – di ordine temporale – all’operatività della sanzione penale.

Infatti, l’art. 25 l. 633/1941 prevede che i diritti di utilizzazione economica dell’opera durano tutta la vita dell’autore e sino al termine del settantesimo anno solare dopo la sua morte.

Tale norma è stata modificata dapprima con d.lgs. lgt. 20.07.1945, n. 440; successivamente con l. 19.12.1956, n. 1421 e con l. 27.12.1961, n. 1337; infine, con l. 06.02.1996, n. 52. Le novelle sono tutte intervenute prorogando la durata dei diritti di utilizzazione economica e delle opere dell’ingegno.

Trascorsi 70 anni dalla morte dell’autore, l’opera si considera dunque “caduta in pubblico dominio”, ovvero non più soggetta al diritto d’autore.

Nel caso delle opere composte dal contributo indistinguibile di più soggetti la durata dei diritti di utilizzazione economica è determinata sulla base della vita del coautore che muore per ultimo.

In relazione all’opera collettiva nel suo complesso, la durata dei diritti patrimoniali è fissata in 70 anni dal momento della prima pubblicazione.

5. La pronuncia della Suprema Corte: la caduta dell’opera in pubblico dominio come elemento negativo del fatto

All’interno dell’articolato sistema sanzionatorio sopra sinteticamente descritto, s’inserisce la pronuncia del Supremo Collegio.

La Corte evidenzia in primo luogo che, nel caso sottoposto al suo esame, l’elemento soggettivo del dolo specifico reato deve considerarsi integrato. Infatti, l’abusiva riproduzione avveniva in un pubblico esercizio, a favore dei clienti: di conseguenza, lo scopo di un guadagno economico era insito nell’operazione commerciale.

La Corte precisa anche, richiamando diverse sentenze di legittimità, che la detenzione su elaboratore elettronico, per fini di profitto e per uso non personale, di opera dell’ingegno abusivamente riprodotta mediante tecnica di scansionamento  per la realizzazione di copie cartacee destinate alla vendita è condotta penalmente rilevante ai sensi del’art. 171-ter, co. 1 lett. b) della l. 633/1941 (cfr. Cass. Pen., sez. III, 26.01.2016, n. 23365).

La Corte si sofferma quindi ad analizzare il cuore della questione giuridica sottesa alla sua analisi. Nel farlo, i Supremi Giudici evidenziano come l’eccezione relativa al superamento del settantesimo anno dalla morte dell’autore dell’opera, privando di rilevanza penale la condotta dell’agente, costituisca un elemento negativo del fatto.

Pertanto, l’onere di allegare tale elemento negativo, rappresentato dalla caduta in pubblico dominio dell’opera, grava sulla parte che intende beneficiarne, non sussistendo sul punto – secondo la Corte – alcuna inversione dell’onere probatorio.

L’imputato che intenda eccepire la sussistenza di tale elemento negativo del fatto non potrà dunque limitarsi alla mera allegazione delle condizioni della sua esistenza, ma dovrà indicare gli elementi specifici che pongono il giudice in grado di rilevarne l’applicabilità.

6. L’architrave della pronuncia: una riflessione sui principi generali

L’occasione è propizia al Supremo Collegio per effettuare un’utile richiamo ad alcuni fondamentali principi del processo penale.

I Giudici ricordano in primis come «l’oggetto di accertamento del processo penale resta comunque la colpevolezza dell’imputato, non la sua innocenza».

Ne discende che la pubblica accusa – e solo essa – deve provare gli elementi positivi della fattispecie penale: condotta, evento, nesso di causalità; mentre la difesa deve provare gli elementi negativi del fatto – o almeno insinuare nel giudice il dubbio sulla presenza di essi.

In materia di onus probandi, gli Ermellini rammentano che «l’onere della prova formale e quello sostanziale sembrano convergere in un unico concetto di onere della prova, in base al quale sia il Pubblico Ministero sia l’imputato devono provare i fatti che sostengono, altrimenti il giudice non potrà prenderli in considerazione».

Tali valutazioni sono il presupposto per la riflessione dei Giudici di Legittimità, davvero pregnante perché vero architrave del moderno sistema processuale penale, secondo cui «è la colpevolezza dell’imputato il thema probandum del processo, non la sua innocenza»: gli Ermellini continuano il sillogismo affermando che «non è l’assenza delle cause di giustificazione a fondare la responsabilità penale, ma la loro presenza ad escluderla».

In ultima analisi nell’accertamento della responsabilità penale si deve distinguere tra «gli elementi che fondano la responsabilità, che devono essere provati al di là di ogni ragionevole dubbio, e quelli che invece la escludono, come nel caso dell’art. 25 l. 633/1941»: sarà sufficiente in questo caso far emergere un ragionevole dubbio sulla loro presenza per indurre il giudice a pronunciare l’assoluzione.

Così garantendo il rispetto dei principi costituzionali del moderno processo penale.

7. La massima

Offerta una sintetica ricostruzione della tutela penale del diritto d’autore e richiamati alcuni fondamentali principi del diritto processuale penale in tema di prova, i Supremi Giudici, nel rigettare il ricorso, stabiliscono dunque che «in tema di utilizzazione economica dell’opera dell’ingegno, la caduta dell’opera in pubblico dominio, per il decorso del termine di settanta anni dalla morte dell’autore, costituisce un elemento negativo del fatto-reato previsto dall’art. 171-ter della legge n. 633 del 1941 e pertanto il relativo onere della prova grava sull’imputato che intende avvalersene».


Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.

Pierfrancesco Divolo

È laureato in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Padova con una Tesi in Storia del Diritto intitolata: “Detenere senza imputare. Il confino di polizia fascista dalle origini ottocentesche all’impatto con la Costituzione.” Ha svolto la Pratica Forense in uno studio legale di Padova, occupandosi prevalentemente di Diritto penale e Diritto dei consumatori. È abilitato all’esercizio della Professione Forense presso la Corte d’Appello di Venezia dal 14.10.2019. Attualmente esercita la Professione d'Avvocato collaborando con uno studio legale padovano, dove si occupa prevalentemente di Diritto penale e Diritto del lavoro. Coltiva particolare interesse per la Storia e la Filosofia del diritto.

Articoli inerenti