Opzione, prelazione e contratto preliminare

Opzione, prelazione e contratto preliminare

Il patto di opzione, il patto di prelazione ed il contratto preliminare (specie quando è unilaterale), pur essendo figure giuridiche che all’occhio dell’esperto giurista si presentano con caratteristiche ben delimitate e precise, appartengono alla comune categoria dei vincoli prenegoziali cosicché l’uso di una terminologia impropria in sede di stipula può con una certa facilità causare notevoli difficoltà di interpretazione.

Il contratto costituisce, all’interno del sistema civilistico, il principale strumento di circolazione della ricchezza. Attraverso il contratto, infatti, i diversi contraenti acquistano beni o diritti altrui. L’art. 41 Cost. stabilisce che ogni soggetto possiede un’ampia libertà di autonomia contrattuale e negoziale, che gli consente di determinare liberamente il contenuto degli atti negoziali nonché, entro limiti più ristretti, gli effetti dell’atto di autonomia divisato dalle parti.

Rimane fermo, tuttavia, il rispetto di taluni principi di carattere inderogabile posti a tutela di beni ed interessi primari. La violazione di determinati beni di valore supremo è di solito punita da parte del legislatore con la nullità dei contratti che ledono questi interessi.

Ebbene, l’art.1322 c.c. stabilisce che l’iniziativa economica privata è tout court libera, e può muoversi liberamente se il contratto che le parti vogliono creare non corrisponde a nessuno di quelli tipici che l’ordinamento già disciplina. In caso di atti tipici, invece, le parti non possono che modellare il contenuto contrattuale entro il tipo legale di riferimento.

Questa libertà nondimeno è limitata. La medesima Costituzione prevede infatti che in taluni casi le parti sono costrette a rispettare taluni vincoli che comprimono l’efficacia del contratto. In particolare, alcuni di questi vincoli sono di origine legale, con ciò volendo riferirsi a tutti quegli atti di origine comunitaria, regolamentare o normativa che impongono alle parti contraenti di salvaguardare certuni diritti collettivi o fondamentali posti a tutela della persona.

Inoltre, possono essere apposti al contratto altri vincoli, di origine convenzionale o pattizia, che le stesse parti stabiliscono in via preventiva al fine di perseguire altri beni ed interessi fondamentali.

La meritevolezza di cui all’art.1322 c.c., quale limite intrinseco al sindacato giudiziale esplicabile sugli atti che sono espressione di autonomia negoziale, ammette dunque la liceità di questi vincoli purché essi abbiano una causa che persegue finalità degne di particolare protezione. Per questa via, il contratto rappresenta la massima espressione della libertà personale in quanto permette ad ogni contraente di decidere nel modo che ritiene per lui più conveniente quali beni alienare e dismettere, per acquisirne altri che meglio soddisfino un suo interesse.

Nel fare ciò, il legislatore stabilisce che costui tenga un contegno ispirato, sin dalla fase pre-contrattuale, ai principi di buona fede e correttezza, disciplinata dagli arti. 1337-1338 c.c.

In origine si riteneva che la buona fede fosse soltanto una regola di comportamento estranea al contenuto contrattuale, per cui essa non era vincolante per i paciscenti e dava la stura ad una semplice responsabilità extracontrattuale.

Nell’evoluzione degli studi e della prassi moderna, invece, si è affermato che l’art.1337 c.c. è divenuto attuazione degli art.2 e 13 Cost., per cui la buona fede costituisce una regola di validità genetica del contratto stipulato.

In sostanza, il legislatore vuole che ogni contraente tuteli l’affidamento dell’altro in relazione a beni e diritti negoziati, specie se certi beni devono possedere una serie di caratteristiche funzionali, la cui mancanza frustra la stessa funzione del contratto.

A titolo esemplificativo, possono menzionarsi gli obblighi d’informazione, di custodia o di trasparenza che gravano su taluni soggetti, specie se costoro sono qualificati o dotati di particolari cognizioni tecniche.

Il contratto preliminare è il contratto con il quale le parti si obbligano a concludere, in futuro, un ulteriore contratto già interamente delineato nei suoi elementi essenziali. L’istituto non era menzionato dal codice del 1865 e fu compito della dottrina darne la nozione e ricavarne la normativa dal sistema. Il nuovo Codice civile prevede espressamente il contratto preliminare negli artt. 1351 (relativo alla forma), 2652, comma II, (relativo alla trascrizione delle domande giudiziali), 2645 bis (che disciplina la trascrizione di tale contratto) e, implicitamente, nell’art. 2932 (che disciplina l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto).

Il contratto preliminare unilaterale coincide con il patto di opzione ovvero consiste in un’opzione volta alla conclusione di un preliminare bilaterale o in un contratto preliminare relativo alla concessione di un’opzione. La figura è nata per l’utilità pratica che hanno le parti di fissare, con efficacia vincolante, un momento dei loro rapporti nel quale affiora una precisa volontà di contrarre. Le ragioni possono essere varie. Innanzitutto, in caso d’impossibilità, materiale o giuridica, di concludere il contratto definitivo (si pensi all’oggetto del contratto attualmente inesistente o, comunque, attualmente sottratto alla disponibilità delle parti).

Può, inoltre, accadere che i contraenti non abbiano interesse a concludere subito il contratto definitivo, ma abbiano interesse a vincolarsi al futuro contratto. Si pensi al preliminare di un contratto (ad esempio, di mutuo: art. 1882 c.c.) la cui utilità è data dalla possibilità delle parti di vincolarsi senza la consegna della cosa, necessaria per la perfezione del contratto reale definitivo.

Il contratto preliminare è, in primo luogo, un contratto autonomo, in quanto è del tutto distinto dal corrispondente contratto definitivo che costituisce il suo adempimento, ancorché (eventualmente) con obbligazioni di una sola parte. Esso è, in ogni caso, un contratto, la cui prestazione consiste in un “fare”, vale a dire nel consentire alla conclusione del nuovo contratto, laddove il definitivo può avere, anzi normalmente ha, come prestazione un dare (si pensi al preliminare di vendita, rispetto al definitivo).

Il preliminare è, poi, un contratto tipico con causa propria, la quale consiste, in ogni caso, nella funzione di vincolare le parti a concludere il futuro contratto, eventualmente monitorando le sopravvenienze. Si rileva, così, un’ulteriore autonomia del contratto preliminare  dal contratto definitivo, che può essere di varia natura (vendita, permuta, società, etc.). Esso  è, infine, un contratto perfetto in quanto, pur appartenendo ad una fase della formazione progressiva del contratto, esso non rappresenta semplicemente un momento del contratto definitivo, considerata la sua autonomia.

La principale distinzione dottrinale è fra contratto preliminare bilaterale ed unilaterale: nella prima ipotesi, l’obbligo di stipulare il futuro contratto è assunto da entrambi i contraenti; nella seconda ipotesi, invece, l’obbligo di stipulare il definitivo è assunto da una soltanto delle parti. Nella prassi l’opzione è spesso ordinata alla conclusione di un contratto preliminare di vendita, anziché alla vendita definitiva, ma resta netta la distinzione tra i due contratti sul piano strutturale e funzionale, pur all’interno di una comune funzione preparatoria del contratto finale, che si realizza attraverso modalità tecniche differenti.

Il contratto preliminare si distingue dall’opzione perché il suo principale effetto è di obbligare le parti, o la parte, alla stipulazione di un futuro contratto; mentre l’opzione attribuisce all’opzionario il diritto potestativo di concludere direttamente il contatto tramite una semplice dichiarazione di volontà nel limite di tempo stabilito o assegnato.

Il rapporto contrattuale definitivo necessita per la sua formazione dell’espletamento di una condotta positiva al quale le parti si sono obbligate, o dell’iniziativa giudiziaria della parte non inadempiente volta a surrogare tramite la sentenza costitutiva la mancata manifestazione del consenso altrui (art. 2932 c.c.). L’opzione è invece fattispecie contrattuale dalla quale, secondo l’insegnamento tradizionale della dottrina, non nasce un obbligo di contrarre. Poiché la parte vincolata ha già manifestato previamente ed irrevocabilmente il suo consenso al contratto definitivo di vendita e risulta inefficace qualsiasi manifestazione di volontà contraria da essa proveniente tendente ad infirmare la proposta, il perfezionamento del contratto definitivo è consegnato al mero esercizio discrezionale del diritto potestativo di opzione, mediante un atto unilaterale del beneficiario il quale, avendo con l’accettazione determinato l’effetto traslativo, non avrà necessità di ottenere il trasferimento del bene mediante sentenza se il concedente mostri ripensamenti .

Sebbene più sfumata, la distinzione dall’opzione permane anche nei confronti del contratto preliminare unilaterale, quantunque in entrambe le figure il promissario abbia diritto al contratto ma non è obbligato a contrarre.

Nel preliminare unilaterale il promittente si obbliga a prestare il consenso per la conclusione della vendita (si fissa esclusivamente l’impegno alla stipulazione di un futuro contratto nel quale poi potranno meglio regolare l’intero affare), per cui ad essa si perviene necessariamente attraverso la stipula di un contratto bilaterale se il promittente adempie l’obbligazione su di esso gravante, chi concede l’opzione, versando in una posizione di soggezione correlata al diritto potestativo della controparte, non è tenuto ad analoga attività volitiva (l’oblato non ha un obbligo attuale all’apprestamento del bene), il contratto finale perfezionandosi con la semplice accettazione della parte preferita senza necessità di una nuova dichiarazione del concedente.

La giurisprudenza, come la dottrina, non ha mancato, in qualche sentenza, di riportare l’opzione nell’ambito della categoria dei contratti preliminari unilaterali, ma prevalgono le sentenze che distinguono le due figure

Il contratto preliminare è un contratto con cui le parti si impegnano a stipulare un successivo contratto, detto definitivo. La causa del preliminare, secondo la tesi prevalente, è la stessa del corrispondente contratto definitivo. Occorre rilevare, peraltro, che, secondo un’opinione, va tenuta ferma la validità dei preliminari di vendita di beni per i quali esista un divieto temporaneo di alienazione oppure di quelli che non contengano ancora indicazioni per individuare il bene trasferito con il definitivo. In relazione a questi esempi, è sostenibile che la causa del preliminare sia  l’assunzione del vincolo a contrarre (causa astratta), mentre, dal punto di vista concreto, essa consista nell’obbligo di concludere lo specifico contratto definitivo cui accede.

L’obbligo di concludere successivamente il definitivo non contrasta con la possibilità di dare esecuzione anticipata a talune prestazioni, salva l’impossibilità di anticipare l’effetto traslativo: l’immediato trasferimento della proprietà altera insanabilmente la funzione del preliminare, inducendo a concludere che sussista un vero e proprio contratto definitivo. La giurisprudenza ha costruito il contratto preliminare di vendita a effetti anticipati come consistente nel collegamento contrattuale fra un mutuo e un comodato.

Il contratto d’opzione rende irrevocabile la proposta di un ulteriore contratto, è già concluso e non può essere modificato se non con l’accordo di entrambe le parti. Il contratto-scopo si concluderà se e solo quando la proposta del concedente sarà accettata dall’opzionario.

Prima che il contratto-scopo sia concluso, il proponente è vincolato solo all’irrevocabilità della sua proposta, ha solo l’obbligazione negativa di mantenere un comportamento di astensione perché non sia impedita la conclusione del contratto definitivo

Il contratto finale oggetto del patto di opzione è un contratto a formazione progressiva, perché la successione degli atti costitutivi dell’accordo è scandita dal patto di opzione ma la sua conclusione si ha nel momento in cui vi è convergenza fra proposta e accettazione.

Il patto di opzione include sia la proposta del contratto in itinere sia l’accordo sul contenuto del contratto già definito allo scopo di rendere quella proposta irrevocabile. Ai fini della validità del contratto finale, la capacità del proponente deve esistere al momento del riconoscimento dell’opzione mentre la capacità dell’opzionario al momento dell’accettazione della proposta irrevocabile allora formulata.

Ai sensi dell’art. 1331 c.c. dall’opzione deriva il diritto del beneficiario o opzionario di perfezionare il contratto entro il termine di validità dell’opzione, con la sua sola dichiarazione di accettazione. L’altra parte resta vincolata e non può più interferire con la stipulazione del contratto, che dipende dalla decisione del beneficiario dell’opzione  Nell’opzione gratuita la causa concreta dell’operazione negoziale viene individuata in rapporti non necessariamente di liberalità, da individuarsi caso per caso Nell’opzione non gratuita vi è una somma detta “premio”, il corrispettivo che il soggetto, che può esercitare il diritto di opzione, paga all’altra parte in corrispettivo della posizione di soggezione in cui si trova l’altra parte.

L’esercizio del diritto di opzione da parte del beneficiario determina l’immediato perfezionamento del contratto, del quale si producono tutti i relativi effetti, senza che occorra alcuna ulteriore manifestazione di volontà negoziale.

Nel patto di opzione, perché si possa parlare di conclusione del contratto stipulato in concreto, è necessario che la manifestazione di volontà dell’opzionario di esercitare l’opzione sia conforme in tutto e per tutto allo schema contrattuale stipulato fra le parti. Pertanto, la manifestazione di volontà dell’opzionario di aderire alla proposta non conforme alla stessa – ovvero la manifestazione di volontà tardiva di aderire alla proposta – equivale ad una nuova proposta, che, come tale, è inidonea a vincolare il concedente, salvo sua accettazione (nel caso di specie il Tribunale esclude la conclusione del contratto di compravendita azionaria, oggetto dell’opzione, a causa della non conformità della manifestazione di volontà di esercizio dell’opzione rispetto al contenuto dell’opzione concessa, la quale, implicando un mutamento degli elementi del contratto di “Put Option”, concretizzata una nuova e diversa proposta rispetto a quella oggetto di opzione, non esercitata nel termine previsto).

Il patto d’opzione, disciplinato dall’art. 1331 c.c., ha in comune con il contratto preliminare unilaterale l’assunzione dell’obbligazione da parte di un solo contraente, ma se ne distingue per l’eventuale successivo iter della vicenda negoziale, in quanto, a differenza del preliminare unilaterale, che è un contratto perfetto e autonomo rispetto al contratto definitivo, l’opzione configura un elemento di una fattispecie a formazione successiva, costituita inizialmente da un accordo avente ad oggetto l’irrevocabilità della proposta e poi dall’accettazione del promissario che, saldandosi con la prima, perfeziona il contratto (sempreché venga espressa nella forma prescritta per il contratto stesso, e, quindi, nel caso di trasferimento immobiliare, per iscritto).

Pertanto, anche un patto d’opzione avente ad oggetto il trasferimento della proprietà di beni immobili – perché l’accettazione possa saldarsi con la proposta irrevocabile determinando la conclusione del (secondo) contratto -, in forza della forma scritta ad substantiam prescritta dagli artt. 1350 e 1351 c.c., impone, ai fini della sua validità, se non la completa e dettagliata indicazione di tutti gli elementi del futuro contratto, quantomeno l’accordo delle parti su quelli essenziali. In particolare, nell’opzione di compravendita immobiliare è necessario che dal documento risulti, anche attraverso il riferimento ad elementi esterni, ma idonei a consentirne l’identificazione in modo inequivoco, se non l’indicazione dei numeri del catasto o delle mappe censuarie e dei suoi confini, quanto meno che le parti abbiano inteso fare riferimento ad un bene determinato o, comunque, determinabile, la cui indicazione, pertanto, sia logicamente ricostruibile.

 Pur rientrando nel novero degli accordi inerenti la formazione del contratto in funzione preparatoria di esso e sebbene presenti identità di disciplina in tema di forma, di non opponibilità ai terzi e di tutela soltanto risarcitoria del prelazionario pretermesso, la prelazione convenzionale si distingue nettamente dall’opzione, ancorché la delimitazione concettuale non possa ritenersi costante tanto che spesso le due figure sono assimilate nella prassi .

Il patto di prelazione, patto che ricorre frequentemente, anche se non contemplato da alcuna norma di portata generale, è un accordo con il quale un soggetto (il promittente), si obbliga nei confronti di un altro soggetto (il prelazionario) a preferire quest’ultimo, a parità di condizioni, rispetto a terzi, nel caso in cui si decida a stipulare un dato contratto.

 Al termine prelazione, nel linguaggio giuridico, non viene attribuito un significato univoco, ricollegandosi ad essa almeno due distinte definizioni. Secondo la prima, il concetto di prelazione afferisce alla disciplina del credito ed indica la posizione di preferenza accordata, direttamente dalla legge (come nei privilegi e nell’ipoteca legale) o tramite una convenzione intervenuta tra le parti (come nei casi del pegno e dell’ipoteca convenzionale), ad un determinato creditore, rispetto agli altri, sul patrimonio del debitore. In base ad una diversa accezione, la prelazione indica il diritto di un soggetto ad essere preferito ad altri, a parità di condizioni, nella conclusione di un determinato contratto.

 La prelazione, pur attribuendo una posizione di vantaggio al soggetto che ne è titolare (preferito o prelazionario), non pregiudica la libertà del soggetto obbligato a preferire, né quanto alla conclusione del futuro ed eventuale contratto, né quanto al contenuto dello stesso, non essendo costui obbligato a contrarre, ma solo a preferire alle condizioni da lui stesso stabilite.

 La parità di condizioni tra un eventuale terzo (che voglia stipulare lo stesso contratto) ed il prelazionario è un elemento essenziale e caratterizzante dell’istituto e comporta sia l’esclusione dei negozi a titolo gratuito (in quanto la scelta del beneficiario è di carattere personale), sia la necessaria fungibilità della controprestazione, nel senso che essa deve poter essere effettuata, oltre che dal terzo, anche dal preferito.

Quando la prelazione è costruita come contratto autonomo, occorre individuare se sussiste o non una causa adeguata. Essa evidentemente sussiste quando sia previsto un corrispettivo a carico del prelazionario; perplessità, invece, si manifestano ove il corrispettivo manchi. Parte della dottrina ritiene che, se c’è spirito di liberalità nel promittente, si ha una donazione obbligatoria ex art. 769 (con conseguente onere di forma a pena di nullità). Altra tesi osserva che è difficile parlare di donazione in quanto manca l’arricchimento del prelazionario: costui acquisisce un vantaggio, ma non può dirsi che il suo patrimonio si sia arricchito. Pertanto, è preferibile inquadrare la fattispecie in un contratto gratuito atipico.

Il patto di prelazione non è espressamente previsto nel nostro ordinamento come figura generale, perché solo in relazione al contratto di somministrazione, precisamente all’art. 1566, si dispone una disciplina analitica dell’istituto.

La sua funzione ed effetto non sono quelli di fondare e regolare la conclusione di un contratto di un certo contenuto, bensì di determinare una situazione preferenziale per l’altra parte in vista del suo interesse, a partecipare al contratto, qualora venga ad esistenza.

Nel contratto di opzione viene convenuta l’irrevocabilità della proposta contrattuale di una delle parti, contenente gli elementi essenziali dell’ulteriore contratto da concludere (c.d. contratto-scopo), in modo da consentirne la conclusione nel momento e per effetto dell’adesione dell’altra parte. Si tratta di due contratti distinti benché funzionalmente collegati.

Nella prassi delle vendite immobiliari non sono infrequenti casi di opzione di contratto preliminare, mentre rare sono le fattispecie in cui le parti concludono un contratto preliminare con il quale una di esse si obbliga a stipulare un patto di opzione. Attraverso la sequenza opzione-preliminare si ottiene, a seguito dell’esercizio positivo dell’opzione, una intensificazione del vincolo preparatorio che da unilaterale diventa bilaterale, nascendo dalla promessa il vincolo di stipulare la vendita, coercibile con esecuzione in forma specifica, soggetto al regime pubblicitario, e si attribuisce alla parte interessata un ulteriore periodo di tempo per la stipula del definitivo e quindi per la valutazione dei presupposti dell’affare, alla luce delle sopravvenienze giuridicamente rilevanti eventualmente manifestatesi dopo la conclusione del consenso preliminare.

Il procedimento formativo del contratto deve realizzare, nelle sue fasi, la naturale intensificazione del vincolo tra le parti., il che avviene tanto nell’ipotesi di contratto preliminare avente ad oggetto un’opzione, quanto nell’ipotesi di contratto d’opzione avente ad oggetto un preliminare, bilaterale od unilaterale che sia. Si sostiene, peraltro, che la successione del preliminare unilaterale all’opzione comporta un indebolimento della posizione del concedente favorito, perché sostituisce al diritto potestativo che gli deriva dall’opzione un mero diritto di credito (sia pure assistito dalla forma di tutela garantita dall’art. 2932 c.c.),

L’ipotizzata sequenza ha il suo avvio con l’opzione e, attraverso il preliminare unilaterale, si conclude con la stipula del contratto definitivo. Si articola, cioè, attraverso il collegamento di due contratti preliminari, la cui autonoma individualità emerge sia sotto il profilo delle differenti situazioni soggettive (di diritto potestativo e soggezione, di credito e debito) che conseguono ad essi, sia perché il contratto di opzione è preordinato alla formazione del preliminare mentre questo è preordinato alla formazione del definitivo. Al loro coordinamento consegue, in realtà, un certo ridimensionamento della funzione propria del contratto preliminare, che non è solo di porre l’obbligo di stipulare il contratto definitivo ma anche di determinare il contenuto essenziale dello stesso.

Il patto d’opzione, disciplinato dall’art. 1331 c.c., ha in comune con il contratto preliminare unilaterale l’assunzione dell’obbligazione da parte di un solo contraente, ma se ne distingue per l’eventuale successivo iter della vicenda negoziale, in quanto, a differenza di  detto preliminare unilaterale, autonomo rispetto al contratto definitivo, l’opzione si configura come elemento di una fattispecie a formazione successiva, costituita inizialmente da un accordo avente ad oggetto l’irrevocabilità della proposta e poi dall’accettazione del promissario, che, saldandosi con la prima, perfeziona il contratto.

Il principale profilo distintivo tra prelazione ed opzione consiste nella diversità delle rispettive posizioni che assumono i contraenti: il prelazionario, a differenza del contraente preferito nell’opzione, non è titolare di un potere di decisione in ordine alla formazione del contratto; d’altra parte, il contraente vincolato non è tenuto a contrarre.

Più nel dettaglio, il diritto di opzione, disciplinato dall’art. 1331 c.c., consiste nell’attribuzione ad un soggetto (detto “opzionario”) della facoltà di accettare o meno la proposta formulata dall’altra parte, la quale, pertanto, rimane vincolata alla propria dichiarazione considerata alla stregua di una proposta irrevocabile.

A differenza di quest’ultima, contemplata dall’art. 1329 c.c., il patto di opzione ha natura di accordo contrattuale, mentre la proposta irrevocabile è un negozio giuridico unilaterale.

Nella proposta irrevocabile vi è, quindi, una parte che avanza una proposta ed unilateralmente si impegna a mantenerla ferma per un certo periodo di tempo. Nel contratto di opzione, al contrario, le parti si accordano prevedendo che solo una di esse rimanga vincolata dalla propria dichiarazione mentre l’altra resta libera di accettarla o meno.

L’inadempimento all’opzione determina solo il risarcimento del danno (non è applicabile l’art. 2932 cc relativo alla sentenza che sostituisce gli effetti del contratto), mentre l’inadempimento del preliminare può essere sanzionato ex art. 2932 .

Il patto di prelazione è l’accordo con il quale un soggetto (promittente o concedente) si impegna nei confronti di un altro (prelazionario) a preferirlo rispetto ai terzi, e, a parità di condizioni, qualora in futuro decida di stipulare un determinato contratto.

L’orientamento prevalente è nel senso che non derivi alcun obbligo a contrarre a carico del concedente, il quale rimane libero di decidere in ordine all’an (se concludere o meno il contratto) e al quomodo della contrattazione restando vincolato soltanto nella scelta del contraente a parità di condizioni.

Pertanto, vi è solo l’obbligo di preferire, a parità di condizioni, l’altra parte nella conclusione di una possibile alienazione del bene oggetto del patto, senza però alcun pregiudizio per la libertà di decidere se alienare o meno il bene. Non è invocabile l’art. 2932 c.c. in tema di esecuzione in forma specifica, né è ipotizzabile alcun potere di riscatto a favore del prelazionario il cui diritto sia stato violato, trattandosi di diritto di natura obbligatoria non opponibile ai terzi, salva la sola azione personale risarcitoria nei confronti dell’inadempiente.

A differenza del contratto preliminare unilaterale, che determina l’immediata e definitiva assunzione dell’obbligazione di prestare il consenso per il contratto definitivo, il patto di prelazione relativo alla vendita di un bene genera, a carico del promittente, un’immediata obbligazione negativa di non venderlo ad altri prima che il prelazionario dichiari di non voler esercitare il suo diritto di prelazione o lasci decorrere il termine concessogli, nonché un’obbligazione positiva avente ad oggetto la “denuntiatio” al medesimo della sua proposta a venderlo, nel caso si decida in tal senso e tale obbligazione, nel caso di vendita ad un terzo, sorge e si esteriorizza in uno al suo inadempimento.

 Il  promissario non può chiedere l’adempimento in forma specifica, per incoercibilità seguito della vendita al terzo, ma soltanto il risarcimento del danno. Nel caso di promessa di vendita ad un terzo del medesimo bene, tale obbligazione è incoercibile ex art. 2932 c.c., non configurando un preliminare.

Il patto di prelazione non attribuisce al prelazionario il potere di costituire il rapporto contrattuale mediante una propria manifestazione di volontà, essendo invece necessaria – ove il concedente intenda concludere il contratto – la stipulazione di un nuovo contratto distinto. Vi è solo la previsione di un contratto, nella cui stipula il beneficiario ha diritto di essere preferito ad altri, in quanto tale strumento negoziale trova in definitiva la sua specifica e autonoma giustificazione causale nell’esigenza di attribuire ad una parte il vantaggio di essere preferito ad altri nella stipulazione di un futuro eventuale contratto.

La comunicazione che il promittente deve effettuare al promissario (relativa alle proposte fatte da terzi ovvero a costoro fatte dallo stesso promittente) deve contenere gli elementi essenziali del contratto da concludere, avendo la natura della proposta contrattuale del promittente al promissario.

Quanto esposto consente di intercettare le differenze della prelazione e dell’opzione.

A norma dell’art. 1331 c.c., quando le parti si accordano nel seno che una di loro (concedente) rimanga vincolata alla propria dichiarazione mentre l’altra (opzionario) abbia la facoltà di accettarla o meno, la dichiarazione della prima si considera quale proposta irrevocabile per gli effetti previsti dall’art. 1329 c.c.

Si ritiene che ciò avvenga alla stregua di una fattispecie a formazione successiva, costituita dall’accordo avente ad oggetto l’irrevocabilità della proposta e, successivamente, dall’accettazione definitiva del promissario che, saldandosi con la proposta, perfeziona il contratto; irrevocabilità che dipende – non già dalla volontà o dall’impegno unilaterale del proponente, come avviene nel caso della “proposta irrevocabile” di cui all’art. 1329 c.c. – bensì da una convenzione tra le parti, le cui volontà devono quindi essere espresse ed incontrarsi, ossia vi sono due parti che convengono che una di esse resti vincolata dalla propria dichiarazione, mentre l’altra resta libera di accettarla o meno.

Va precisato che l’opzione si distingue a sua volta dal contratto preliminare, e in particolare dal “contratto preliminare unilaterale”, per una serie di ragioni. Innanzitutto, da quest’ultimo nasce, a carico del promittente, un obbligo a contrarre (ossia di stipulare il contratto definitivo), mentre con l’opzione sorge a favore del beneficiario il diritto– che egli è libero di esercitare o meno – di determinare il perfezionamento del contratto finale, venendo dunque in rilievo piuttosto una combinazione diritto potestativo – soggezione. Il concedente non è tenuto a realizzare alcun comportamento positivo volto a rendere possibile la conclusione del contratto finale, dovendo solo mantenere una condotta di astensione affinché la conclusione del contratto non sia impedita.

Inoltre, mentre col contratto preliminare gli effetti del contratto definitivo si producono solo a seguito di un successivo incontro di dichiarazioni tra le parti, nell’opzione è sufficiente per la conclusione del contratto finale la semplice dichiarazione unilaterale di accettazione dell’oblato : infatti, l’opzione deve contenere tutti gli elementi essenziali del negozio finale alla cui conclusione è preordinata, restandone per converso esclusa la configurabilità in caso di proposta solo parziale, perché, in tal caso, il perfezionarsi del contratto non potrebbe conseguire alla mera accettazione, richiedendo la formazione del consenso sugli ulteriori elementi non già considerati nella proposta stessa.

Resta fermo poi che anche il concedente può incorrere in una responsabilità in contraendo ex art. 1337 c.c. qualora tenga un comportamento, contrario a buona fede, tale da rendere impossibile la conclusione del contratto definitivo (per esempio, distruggendo il bene o alienandolo a terzi). In tal caso, egli sarà tenuto al risarcimento del danno, nei limiti dell’interesse negativo, nonché alla restituzione del premio, in caso di opzione onerosa; per contro, atteso che l’oblato non ha ancora esercitato il suo diritto, non potrebbe operare l’art. 1218 c.c., +

La posizione di soggezione del proponente consente, altresì, di distinguere l’opzione dalla prelazione. Benché entrambe siano accomunate dalla natura negoziale e perseguano il medesimo risultato pratico consistente nella conclusione di uno specifico affare in favore di un soggetto predeterminato, la prelazione vincola il proponente solamente nella scelta del destinatario della proposta, lasciandolo comunque libero di avanzare o meno la propria proposta.

La prelazione, infatti, conferisce al soggetto nel cui interesse viene pattuita il diritto di essere preferito ad altri, a parità di condizioni, nella stipulazione di un determinato negozio giuridico: ai fini dell’esercizio del diritto di prelazione, è necessario che il proponente dichiari di voler stipulare un determinato contratto e le condizioni dello stesso, concedendo al beneficiario un termine che dichiarare il proprio interesse alla stipula del contratto.

A differenza di quanto avviene nell’opzione in cui è sufficiente che l’opzionario accetti la proposta affinché il contratto possa ritenersi immediatamente concluso, nella prelazione a seguito dell’esercizio della facoltà attribuita al beneficiario, le parti dovranno stipulare il contratto. Parimenti, in caso di mancato esercizio del diritto di opzione da parte dell’opzionario non conseguirà alcun contratto, mentre in caso di mancato esercizio del diritto di prelazione il contratto potrà esser liberamente stipulato con altro soggetto.


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Salvatore Magra

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