Ordinanza interlocutoria della Cassazione n. 8325/2020: giusto far prevalere l’interesse del minore o dell’ordine pubblico?

Ordinanza interlocutoria della Cassazione n. 8325/2020: giusto far prevalere l’interesse del minore o dell’ordine pubblico?

La Corte di Cassazione, I sezione Civile, con l’ordinanza interlocutoria n. 8325/2020, depositata il 29 aprile 2020, sospendendo il giudizio, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’artt. 12, comma 6, L. 40/2004, dell’art. 18 DPR 396/2000, e dell’art. 64 comma 1 L. 218/95, per come interpretati dalla Sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 12193/2019, laddove esclude la possibilità del riconoscimento, ai fini dell’efficacia in Italia, di provvedimenti giurisdizionali stranieri, che accertino il diritto del genitore di intenzione ad essere inserito nell’atto di nascita del figlio della persona con cui si è legati da matrimonio celebrato all’estero, nato con la modalità della maternità surrogata, per contrarietà all’ordine pubblico nazionale fissato in linea generale dal legislatore.

Secondo la Sezione rimettente, infatti, non può ritenersi più adeguata l’interpretazione giurisprudenziale fornita dalla Sezioni Unite nella surrichiamata pronuncia poiché essa risulta essere in contrasto con il parere consultivo reso dalla Grande Camera della Corte di Strasburgo in materia – in base al Protocollo n. 16 allegato alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo- secondo cui un divieto generale ed assoluto di riconoscimento del legame di filiazione con il genitore intenzionale sarebbe lesivo dell’identità del minore e del suo diritto alla continuità dello status filiationis in quanto comprometterebbe il radicamento del minore nel contesto familiare in cui è nato.

Ebbene attraverso l’ordinanza interlocutoria, la I sezione Civile della Cassazione ripropone questioni giuridiche di massima rilevanza che, nonostante il recente intervento delle Sezioni Unite, rappresentano argomenti di fervente interesse giuridico nazionale e sovranazionale per i quali deve ancora fornirsi un orientamento uniforme, che tenga conto dei principi fondamentali della Costituzione, nonché di quelli internazionali sanciti nella CEDU, nella Convenzione di New York del 1989 e della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea.

Per comprendere la portata dirompente dell’ordinanza, rispetto al diritto vivente formatosi in materia attraverso l’operato interpretativo del Giudice di legittimità, è doveroso riproporre brevemente l’assetto normativo che regola la materia della fecondazione assistita, modificato nel tempo grazie al lavoro fatto dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale.

Nel nostro paese la normativa sulla procreazione medicalmente assistita è il frutto di una “gestazione” lunga e travagliata che ha visto la luce con la L. n. 40/2004 la quale è tuttora al centro di accesi dibattiti in giurisprudenza, ben lontani da soluzioni di compromesso.

Nello specifico è agevole riassumere la disciplina normativa citata attraverso i suoi principi cardine, quali quello: 1. della sussidiarietà dell’intervento, possibile solo qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità o infertilità (art. 1 comma 2 della citata legge); 2. del consenso informato, accompagnato da una possibilità di revoca sino al momento della fecondazione dell’ovulo (art. 6, comma 3); 3. del divieto di fecondazione eterologa (art. 4, comma 2); 4. dei limiti dell’applicazione delle tecniche sugli embrioni (art. 14); 5. del divieto della tecnica di procreazione medicalmente assistita denominata “maternità surrogata” (art. 12 comma 6).

La ratio della L. 40/2004, quindi, era quella di regolare la materia della procreazione medicalmente assistita prevedendo che la stessa fosse consentita come strumento per favorire una soluzione ai problemi di coppie eterosessuali, coniugate o conviventi, derivanti da infertilità e sterilità, in assenza di altri possibili rimedi da esperire, vietando tuttavia qualsiasi tecnica di “surrogazione di maternità” o altre tecniche di P.M.A. di tipo eterologo (art. 4 comma 3).

Le limitazioni normative all’applicabilità delle tecniche di fecondazione assistita solo a determinati soggetti e solo a determinate condizioni, però, hanno fatto da subito emergere alcune questioni di incostituzionalità della legge n. 40.

La giurisprudenza costituzionale ha, infatti, condotto ad una progressiva eliminazione di alcuni divieti posti dalla L. 40/04.

In particolare la Corte Costituzionale, con la Sentenza n. 162/2014 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 4 comma 3 della L. 40/04 nella parte in cui stabiliva il divieto del ricorso a tecniche di P.M.A. di tipo eterologo qualora sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili, considerando tale limitazione normativa una compressione illegittima della libertà di autodeterminarsi della coppia riconducibile agli artt. 2, 3 e 31 della Costituzione (1).

Successivamente, la Consulta ha altresì dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 13 comma 3 lett. b) della L. 40/04 nella parte in cui contemplava come ipotesi di reato la condotta di selezione di embrioni anche nei casi in cui questa fosse esclusivamente finalizzata ad evitare l’impianto, nell’utero della donna, di embrioni affetti da malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui all’art. 6, comma 1, lett. b) L. 194/1978 e accertate da apposite strutture sanitarie pubbliche (2).

La stessa Corte Costituzionale, infine, con Sentenza del 5 giugno 2015 n. 96 ha dichiarato illegittimi gli artt. 1, 2 e 4 della L. 40/04 nella parte in cui limitavano l’accesso alla fecondazione assistita alle coppie eterosessuali sterili, precludendola così a quelle fertili ma portatrici di malattie genetiche, ampliando così la platea di soggetti autorizzati a ricorrere a tale tecnica di procreazione.

Più di recente, inoltre, il Giudice delle Leggi è stato chiamato a pronunciarsi su un’ulteriore questione di legittimità costituzionale riguardante gli artt. 5 e 12 della legge n. 40/2004 nella parte in cui essi, limitando l’utilizzazione dello strumento della fecondazione assistita alle sole coppie eterosessuali e prevedendo una sanzione amministrativa pecuniaria elevatissima (da 200.000 a 400.000 euro), per chiunque applichi tecniche di P.M.A., tra l’altro, a coppie “composte da soggetti dello stesso sesso”, contrastano innanzitutto con l’art. 2 Cost., violando il fondamentale diritto alla genitorialità dell’individuo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali- ove si svolge la sua personalità- e comportando una irragionevole disparità di trattamento basata sia sull’orientamento sessuale che sulle condizioni economiche dei richiedenti e ponendosi in contrasto con gli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), norme interposte rispetto alla disposizione costituzionale di cui all’art. 117 comma 1, i quali sanciscono il diritto al rispetto della vita familiare e il divieto di discriminazione.

Ebbene la Corte Costituzionale, con la Sentenza n. 221 del 2019, si è pronunciata sulle esposte questioni di legittimità dichiarandole infondate per una serie di motivi.

In primo luogo il Giudice delle leggi ha ritenuto che consentire alle coppie omosessuali di accedere alla PMA significherebbe sconfessare, sul piano della tenuta costituzionale, le idee guida sottese al sistema delineato dal legislatore con la Legge n. 40/2004.

Nella pronuncia citata il Giudice delle leggi ha, poi, precisato che escludere l’accesso alla PMA a coppie formate da due donne non sia fonte di discriminazione basata sull’orientamento sessuale, evidenziando che l’infertilità “fisiologica” della coppia omosessuale femminile non è affatto equiparabile a quella, assoluta e irreversibile, propria della coppia eterosessuale affetta da patologie riproduttive.

La Consulta ha ritenuto parimenti insussistente l’asserita violazione dell’art. 2 Cost.

Malgrado l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, sia indubbiamente ascrivibile alle formazioni sociali, nel cui ambito la norma costituzionale riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, la Corte ha infatti evidenziato che la Costituzione “non pone una nozione di famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli” e che la libertà e volontarietà dell’atto che consente di diventare genitori non può esplicarsi senza limiti.

Ebbene il mancato riconoscimento da parte del legislatore e della Corte Costituzionale dell’utilizzo della tecnica della fecondazione assistita eterologa anche per le coppie omosessuali ha di fatto portato allo sviluppo di una casistica sempre più numerosa per cui tali coppie, pur di veder realizzato il proprio desiderio di genitorialità, si vedono costretti a recarsi in Paesi esteri ove le tecniche di P.M.A. sono ammesse anche nei loro confronti.

Per una genitorialità intesa come progetto di coppia, comune e condiviso, le alternative che la legislazione nazionale prospetterebbe, infatti, sono o l’adozione piena di un minore in stato di abbandono o la procreazione assistita di tipo eterologo, che, per le coppie gay, deve necessariamente prevedere anche il ricorso alla gestazione per altri (comunemente denominata maternità surrogata).

Come in precedenza evidenziato, tuttavia, né l’adozione, né le tecniche di procreazione assistita sono accessibili in Italia alle coppie omosessuali, in quanto per la prima la richiesta deve provenire da una coppia unita in matrimonio (art. 6, 1° comma, L. 4 maggio 1983, n. 184), per la seconde da soggetti “maggiorenni di sesso diverso”, coniugati o conviventi, (art. 5, L. 19 febbraio 2004, n. 40). La maternità surrogata, inoltre, indispensabile soprattutto per le coppie omosessuali maschili, incontra un divieto assoluto e generale nella legge sulla fecondazione assistita

Ciò ha condotto ad un immancabilmente proliferarsi di conteziosi che hanno portato la giurisprudenza di merito a delineare un sistema di tutela che, in assenza di normazione specifica, ha fatto pervenire dalle norme preesistenti la risoluzione pratica di situazioni di diritto in capo ai protagonisti, minori compresi, dei nuovi modelli di famiglia.

Tra queste numerose fattispecie oggetto di contenziosi, per quanto di interesse ai fine della presente trattazione, ci si vuole soffermare sulla questione affrontata nell’ordinanza di rimessione di cui in premessa, inerente il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia raffermata la genitorialità di un minore da parte di una coppia omosessuale e la sua compatibilità con l’ordine pubblico, (richiesta dagli artt. 64 e ss. della legge n. 218 del 1995).

Tale argomento, invero, è stato di recente oggetto di una pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione – n. 12193/2019 – le quali hanno cercato di fornire soluzione alla vexata quaestio, che ha visto per molto tempo il contrapporsi di due orientamenti interpretativi opposti nella giurisprudenza di merito, avente ad oggetto la configurabilità di un ostacolo legittimo nell’art. 12 comma 6 L. 40/04, intesa come norma di ordine pubblico, alla registrazione di un provvedimento giudiziale estero che sancisca la genitorialità del genitore “di intenzione” su un minore nato con la tecnica della fecondazione medicalmente assistita, pronunciando il seguente principio di diritto:
«Il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero, mediante il ricorso alla maternità surrogata, ed il genitore d’intenzione, munito della cittadinanza italiana, trova ostacolo nel divieto della surrogazione di maternità previsto dall’art. 12, comma sesto, della legge n. 40 del 2004, qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione; la tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull’interesse del minore, nell’ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione, non esclude peraltro la possibilità di conferire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari, prevista dall’art. 44, comma primo, lett. d), della legge n. 184 del 1983» (3).

Con la surrichiamata pronuncia, dunque, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno rinvenuto nell’art. 12, comma 6 della L. 40/04 un vero ostacolo di ordine pubblico precisando che, in tema di riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero, la compatibilità con l’ordine pubblico, richiesta dagli artt. 64 e ss. della legge n. 218 del 1995, deve essere valutata alla stregua non solo dei principi fondamentali della nostra Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, nonché dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale ed ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente dal quale non può prescindersi nella ricostruzione delle nozione di ordine pubblico quale insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un determinato momento storico.

Ebbene nonostante l’intervento delle Sezioni Unite sull’argomento, finalizzato ad uniformare l’interpretazione giurisprudenziale al ricorrere di fattispecie analoghe, la Prima Sezione della Cassazione, con ordinanza interlocutoria n. 8325 del 29.4.2020, ha ritenuto di non poter conformare la propria decisione all’orientamento espresso dalle Sezioni Unite poiché esso risulta in contrasto con l’art. 117 comma 1 Cost. in relazione all’art. 8 della CEDU e agli artt.2,3,7,8,9,10, e 18 della Convenzione di New York del 1989 delle Nazioni Unite nonché dell’art. 24 della Carta dei Diritti fondamentali dell’U.E. (4).

La Prima sezione della Cassazione, infatti, ha rinvenuto l’impossibilità di poter fornire un’interpretazione costituzionalmente conforme delle norme impugnate, attesa la sussistenza di un contrasto tra il diritto vivente ed i principi interpretativi forniti dalla Grande Camera della Corte di Strasburgo con proprio parere, emesso poco tempo dopo il deposito delle pronuncia a Sezioni Unite sullo stesso argomento.

Nello specifico il caso rimesso alla cognizione del richiamato Collegio in Sezione semplice aveva ad oggetto questioni già affrontate e decise dalla Sentenza n.12193/2019 relative alla medesima fattispecie di 2 persone italiane omosessuali, sposate in Canada, con atto di matrimonio trascritto anche nei registri ufficiali in Italia nel 2017, che si erano viste costrette ad utilizzare lo strumento della fecondazione assistita, attraverso l’uso dei gameti di un partener degli ovuli di una donna esterna alla coppia e di un’altra donna che ha portato avanti la gestazione. In questo caso, in particolare, Ufficiale di Stato civile canadese, nell’atto di nascita, aveva riconosciuto come UNICO genitore il partner che aveva donato i gameti.

Per questo la coppia ha adito la corte territoriale per ottenere un provvedimento attraverso cui rettificare l’atto di nascita aggiungendo anche l’altro partner come genitore.

Ottenuto il provvedimento giudiziale di rettifica, la coppia aveva poi richiesero la trascrizione di detto provvedimento del giudice straniero all’Ufficiale di Stato di Verona per la trascrizione dell’atto di nascita rettificato, che però gli è stata negata per contrarietà all’ordine pubblico ai sensi dell’art. 67 della L.218/1995.

Giunti sino in Cassazione, la Prima Sezione della Corte ha sospeso il giudizio ritenendo che ricorressero i presupposti per rimettere alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 6, L. 40/04, dell’art. 18 del DPR 396/2000 e dell’art. 64 comma 1 let. g) della L. 218/95 se interpretati alla luce della Sentenza emessa dalle Sezioni Unite della Cassazione come norme impeditive, in via generale, e senza valutazione dell’interesse superiore del minore, della trascrizione dell’atto di nascita legalmente costituito all’estero di un bambino nato mediante gestazione per altri nella parte in cui esso attesta la filiazione dal genitore intenzionale non biologico.

A guidare il ragionamento sostenuto dal Collegio rimettente, nella richiamata ordinanza, è stato il parere emesso dalla Grande Camera della Corte di Strasburgo reso, in esecuzione del Protocollo n. 16 allegato alla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (non ancora reso esecutivo in Italia), su richiesta preventiva dell’Adunanza Plenaria della Corte di Cassazione Francese ed avente ad oggetto le medesime questioni giuridiche oggetto dell’ordinanza interlocutoria in commento.

Nello specifico le questioni prospettate e risolte dalla Grande Camere erano due: -se uno stato parte della Convenzione, rifiutando di trascrivere nei registri dello stato civile l’atto di nascita di un bambino nato all’estero mediante gestazione per altri, nella parte in cui tale atto designa come madre legale la madre intenzionale, eccede il proprio margine di apprezzamento di cui dispone con riferimento all’art. 8 CEDU e se deve distinguersi a seconda che il bambino sia stato concepito o meno con i gameti della madre intenzionale; – se, in caso di risposta positiva ai primi quesiti, la possibilità per la madre intenzionale di adottare il figlio del suo coniuge, padre biologico, permette di rispettare le prescrizioni dell’art. 8 CEDU costituendo un modo alternativo di instaurazione del rapporto di filiazione nei suoi confronti.
Rispetto a tali interrogativi interpretativi la Grande Camera di Strasburgo ha fornito risposta positiva.

Sulla scorta delle soluzioni fornite, il Collegio ha evidenziato come esse si pongano in contrasto con il diritto vivente italiano formatosi a seguito della pronuncia delle Sezioni Unite in primo luogo perché essa risulta in contrasto: – con la Convenzione di New York del 1989, nella parte in cui sancisce il diritto del minore alla registrazione immediata al momento della nascita e ad un nome, ad acquisire una cittadinanza e a conoscere i suoi genitori, ad essere da essi allevato, a vedere preservata da ingerenze illegali la propria identità, nazionalità, il suo nome, e le relazioni familiari per come riconosciutegli dalla legge; – con l’art. 8 della CEDU, sulla scorta del quale deve considerarsi impossibile conciliare l’interesse superiore del minore, da valutare caso per caso, con le conseguenze di un divieto generale ed assoluto di riconoscimento del legame di filiazione con il genitore intenzionale poiché tali conseguenze sarebbero lesive della stessa identità del minore e del diritto alla continuità dello status filiationis.

In base alla sussistenza di tali contrasti, quindi, il margine di apprezzamento riconosciuto a ciascun Stato membro dovrebbe considerarsi notevolmente ridotto, dovendosi offrire sempre al minore la possibilità di veder riconosciuto il legame con il genitore di intenzione.

Tuttavia la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, nel citato parere, ha specificato che va riservato un margine di apprezzamento agli Stati membri per predisporre modalità alternative alla trascrizione dell’atto di nascita e l’adozione da parte del genitore ben potrebbe esserlo purché essa possa considerarsi un mezzo volto a garantire l’effettività del riconoscimento del detto legame e sia esplicabile attraverso una procedura rapida che non esponga il minore ad una situazione di incertezza giuridica protratta nel tempo.

Ebbene anche per tali ragioni, la Sezione rimettente ha evidenziato un inconciliabile profilo di conflitto tra il parere della Grande Camera ed il diritto vivente che, alla stregua della pronuncia delle Sezioni Unite, ritiene invece adeguata alla tutela degli interessi del minore la presenza nel nostro sistema normativo dello strumento dell’”adozione in casi particolari” disciplinato dall’art. 44 lett. D della L. 184/1983, istituto questo inidoneo a quella effettività e celerità di attribuzione dello status filiationis ritenute necessarie per la Corte di Strasburgo.

Ma vi è di più. La Prima Sezione della Cassazione nel motivare le ragioni oggetto della questione di legittimità costituzionale al Giudice delle leggi ha ritenuto sussistere un contrasto tra il diritto vivente ed i principi fondamentali sanciti dalla Costituzione e dalla giurisprudenza costituzionale in materia di diritti inviolabili del minore e diritto di uguaglianza correlato ai rapporti di filiazione.

In particolare i giudici rimettenti hanno ritenuto che con l’interpretazione fornita dalle Sezioni Unite si sia operato un bilanciamento di interessi attraverso cui è stato sacrificato e compresso il diritto del minore in un’ottica che, tuttavia, deve considerarsi incompatibile con il dettato costituzionale.

Ciò in quanto, per la Prima Sezione della Corte di Cassazione, la nozione di ordine pubblico internazionale, anche se intesa come comprensiva della rilevanza di norme interne inderogabili, e di rilevanza penale, nella tradizione giuridica nazionale, non può mai comportare la lesioni di diritti fondamentali dell’individuo, trasfusi nella Costituzione, nella Convenzione Europea del 1950 e nella Carta europea dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che rappresentano un ordine pubblico definito “gerarchicamente superiore”.

Argomentando sul punto, poi, il Collegio rimettente ha sottolineato come i principi fondanti dell’ordinamento costituzionale italiano, la legislazione e la giurisprudenza costituzionale e ordinaria hanno delineato progressivamente la unificazione e l’unicità dello stato di figlio a prescindere dalle condizioni di nascita e dalle modalità con le quali viene ad istituirsi il rapporto di filiazione.

Ha poi precisato un eventuale riconoscimento del provvedimento straniero, fondativo del rapporto di filiazione, non può comportare alcun riconoscimento del contratto di “maternità surrogata” – la cui illiceità nell’ordinamento italiano è indiscussa – ma può avere solo l’effetto di riconoscimento dello status e dell’identità del figlio e del diritto fondamentale all’istaurazione di un rapporto familiare con coloro che si sono impegnati ad accoglierlo ed accudirlo.

Necessario, secondo il Collegio rimettente, sarebbe stato inoltre un bilanciamento concreto tra i richiamati diritti del minore e l’interesse dello Stato ad impedire una forma di procreazione che si ritiene lesiva della dignità della donna; evidenziando, però, che nessuna tutela possa derivare alla donna stessa dal mancato riconoscimento del rapporto di filiazione con il genitore intenzionale, mancato riconoscimento che invece andrebbe solo a ledere gravemente il figlio.

Per la Prima Sezione Civile della Cassazione, dunque, l’interpretazione ostativa al richiamato riconoscimento è apparsa in contrasto con gli artt. 2 e 3 della Costituzione, poiché il diniego della trascrizione dell’atto di stato civile, nella parte afferente l’inserimento del padre di intenzione, sovrapponendo il divieto penalistico riguardante la c.d. “maternità surrogata” alla tutela del diritto del minore alla pienezza del suo status, comporta la conseguenza di discriminare i nati nell’attribuzione dello stato di figlio a seconda delle circostanze della nascita e delle modalità di gestazione.

L’interpretazione fornita dalle SS.UU., inoltre, non è stata seguita dalla Sezione remittente poiché quest’ultima ha evidenziato un contrasto della stessa anche con le norme costituzionali che tutelano la vita familiare e la sua stabilità, diritti questi che hanno un forte tutela e riconoscimento anche a livello convenzionale.

Nell’ordinanza interlocutoria viene, infatti, affermato che il disconoscimento del rapporto di filiazione nei confronti di uno dei genitori legalmente riconosciti dall’ordinamento del Paese di nascita e di cittadinanza comporterebbe un’alterazione dei rapporti familiari con ripercussioni nocive per il minore che veda messa in discussione e negata la unicità e l’inscindibilità della sua relazione genitoriale nello spazio e subisca una menomazione ex post della relazione con il genitore intenzionale.

Giungendo alla conclusione della presente trattazione, dunque, non può non rilevarsi la dirompenza della portata dell’ordinanza interlocutoria appena esaminata la quale, rinvenendo la contrarietà del diritto vivente formatosi con la pronuncia delle Sezioni Unite n. 12193/2019 ai principi fondamentali della Costituzione, della CEDU e della Conv. di New York, ha rimesso in gioco questioni giuridiche che oggi potrebbero trovare soluzioni completamente opposte rispetto a quelle fornite in un primo momento.

La parola ora va alla Corte Costituzionale la quale è chiamata a rispondere agli interrogativi che da troppo tempo necessitano di una risposta univoca e chiara, ovvero se ed eventualmente entro quali limiti, sia configurabile un “diritto a procreare”, o un “diritto alla genitorialità” – declinabile anche come diritto a farlo con metodi diversi da quello naturale – e se il desiderio di avere un figlio tramite l’uso delle tecnologie meriti di essere assecondato sempre e comunque, o se invece sia giustificabile la previsione di specifiche condizioni di accesso alle pratiche considerate nel rispetto del contemperamento tra interessi contrapposti.

 

 


1. A. Torrente, P. Schlesinger, Manuale di Diritto Privato, pag. 1309.
2. Cfr Corte Cost. Sent. n. 229 dell’11.11.2015.
3. Cfr Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 12193 dell’8.5.2019.
4. Cfr Corte Costituzionale, Ordinanza interlocutoria n. 8325 del 29.4.2020.

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