Ordine di esecuzione, nullità e risoluzione
Prosegue in giurisprudenza il dibattito relativo alla qualificazione giuridica degli ordini di esecuzione, nell’ambito di un servizio di investimento. La Cassazione, con sentenza n. 10713/2017 ha introdotto un nuovo profilo all’interno della discussione che riguarda la configurazione in senso contrattuale o meno degli ordini inviati all’intermediario dal singolo cliente. La questione non è scevra di conseguenze giuridiche, posto che l’ordine di esecuzione, solo se qualificato come contratto, può essere oggetto di azioni, come la nullità o la risoluzione, che, altrimenti devono riguardare l’intero contratto-quadro.
Prima di analizzare compiutamente la recentissima pronuncia della Suprema Corte, occorre fare un passo indietro e comprendere meglio l’orientamento della giurisprudenza di legittimità sull’ordine di esecuzione.
Con sentenza n. 26159/2014, la Cassazione ha aderito a quell’orientamento emerso nella giurisprudenza di merito, sostenuto, tra gli altri, dai Tribunali di Firenze e Parma, secondo cui il vincolo contrattuale intercorrente tra le parti è pacificamente individuabile appunto nel contratto-quadro e non nell’ordine di acquisto che ha, effettivamente, solo natura puramente esecutiva del mandato sotteso al contratto-quadro medesimo.
L’individuazione del contratto-quadro quale unica fonte di natura negoziale del rapporto deve fungere, secondo la Suprema Corte, da criterio-guida nella interpretazione della volontà della parte, convogliando la domanda attorea di risoluzione sull’unico ‘oggetto giuridico’ con essa compatibile, vale a dire il contratto-quadro.
Un ulteriore elemento dirimente in tal senso può essere ricavato, secondo la Cassazione, dai fatti costitutivi su cui si basa la pronuncia di risoluzione, i quali sono “del tutto pertinenti proprio e soltanto alla risoluzione del contratto-quadro; essendo quest’ultima stata richiesta per l’inadempimento da parte dell’intermediario degli obblighi informativi in capo ad esso derivanti (oltre che direttamente dalla legge e dai regolamenti attuativi Consob) proprio dal regolamento negoziale che si individua ed esaurisce nel contratto-quadro”.
L’orientamento appena citato, soprattutto nelle pronunce di merito, è fondato sulla qualificazione del contratto quadro alla stregua di mandato per la negoziazione di strumenti finanziari, laddove i singoli ordini di acquisto vengono configurati come negozi di attuazione del rapporto di mandato.
Va, infatti, rilevato che la dottrina maggioritaria non esclude l’applicabilità della disciplina del mandato ai servizi di investimento, se non altro per colmare le lacune della disciplina speciale e per agevolarne l’interpretazione. La stessa Cassazione, nella pronuncia n. 26159/2014, ritiene l’ordine di acquisto dotato solo di natura puramente esecutiva del “mandato sotteso al contratto-quadro medesimo”.
Con la sentenza n. 10713/2017, la Suprema Corte compie un ulteriore passo in avanti nella definizione della natura giuridica dell’ordine di esecuzione, stemperando il carattere assoluto della precedente decisione, dalla quale sembrava trasparire una generale esclusione della possibilità di configurare un’istruzione vincolante come contratto. La Corte fa riferimento, in particolare, al servizio di gestione portafogli, che, nell’ambito della disciplina dei servizi di investimento, è quello che riceve la regolamentazione più analitica e pervasiva, tanto da far pensare che sia un vero e proprio contratto tipizzato, non sovrapponibile, ma semplicemente affine al mandato.
Passando subito al dunque, la Cassazione formula il seguente principio di diritto: «non rientra nella nozione normativa di “istruzione vincolante”, di cui all’art. 24 TUF, l’ordine di investimento che venga a alterare le caratteristiche della gestione per contratto in essere; un ordine di simile genere integra, per contro, contratto sostitutivo di aspetti fondamentali e caratterizzanti di quello in essere».
A ben vedere, la Corte, lungi dal discostarsi dal principio espresso nella precedente sentenza del 2014, interviene su un altro piano, ovvero delinea i confini della nozione di ordine di esecuzione, limitandone la portata ermeneutica. La ratio di tale operazione sta proprio nella principale funzione della normativa di riferimento del TUF e del Regolamento Consob n. 11522/1998, ovvero la protezione del cliente.
Tale esigenza porta, quindi, a distinguere tra ordini di esecuzione che si inseriscono nell’alveo tracciato dal contratto-quadro e ordini che, invece, producono come effetto una linea di gestione radicalmente diversa. Se, quindi, nella prima ipotesi l’ordine resta tale e non può ex se essere oggetto di domande di risoluzione o di nullità, nel secondo caso, invece, tale automatismo non opera e occorre, a parere della Corte, attuare una procedimentalizzazione dell’attività.
Secondo la Cassazione, “la nozione di «istruzione vincolante» – che la norma dell’art. 24 assume per facoltizzare il cliente a vincolare l’intermediario «in ordine alle operazioni da compiere» – non può non essere letta all’interno del sistema normativo in cui si trova effettivamente calato. Che non è quello generalissimo – e del tutto astratto – dello schema dell’agire gestorio per conto di un dominus, bensì quello specifico e puntuale dei servizi di investimento, come organizzato dalla normativa del TUF e dei regolamenti approntati dalla Consob”.
Partendo da questo presupposto la Suprema Corte enuncia in modo chiaro la linea di demarcazione tra le due tipologie di ordini di esecuzione: “Per rimanere tali e così rimanere soggette al regime normativo loro proprio, le «istruzioni vincolanti», di cui alla norma dell’art. 24 TUF, debbono in specie rimanere all’interno delle caratteristiche della gestione che, nel concreto, sono state individuate nell’apposito contratto: devono essere conformi, cioè al relativo programma negoziale. Si tratterà, dunque, di ordini specificativi della linea adottata: di vettore tanto positivo (di compiere un determinato acquisto), quanto negativo (di vietare un determinato acquisto), e più o meno ampiamente articolati. Comunque, però, non sovversivi della linea di gestione in essere per contratto”.
La stessa Cassazione, infatti, con sentenza n. 2816/2016 aveva ribadito il principio, già espresso con le pronunce nn. 384 e 18039 del 2012, per cui: “la disposizione dell’art. 23 t.u.f., secondo cui i contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento debbono essere redatti per iscritto a pena di nullità del contratto, deducibile solo dal cliente, attiene al contratto-quadro, che disciplina lo svolgimento successivo del rapporto volto alla prestazione del servizio di negoziazione di strumenti finanziari, e non ai singoli ordini di investimento o disinvestimento che vengano poi impartiti dal cliente all’intermediario, la cui validità non è soggetta a requisiti di forma”.
Con l’ordinanza n. 10447 del 2017, la Cassazione motiva tale orientamento, ritenendo che, se si ammettesse la possibilità di far valere la nullità del contratto-quadro solo per alcuni ordini di esecuzione, si darebbe la stura a quello che la stessa Corte chiama ” uso selettivo della nullità del contratto-quadro”, soluzione che integrerebbe senz’altro, secondo l’ordinanza citata, l’uso abusivo del diritto, nonché una condotta contraria al principio di buona fede nell’esecuzione del contratto, ex art. 1375 c.c.
Nella diversa ipotesi in cui l’indicazione vincolante sovverta il programma delineato dal contratto-quadro, gli ordini si atteggeranno come contratti sostitutivi dei contenuti di base di quello preesistente e tuttavia non rispettosi delle regole imperative stabilite dal vigente sistema dei servizi di investimento e pertanto nulli.
Tali ordini, quindi, essendo dei veri e propri contratti, devono presentare i requisiti di forma e contenuto, previsti dalla normativa in materia, tra cui rileva in particolar modo la necessaria redazione per iscritto, ex art. 23 TUF. La forma, infatti, nei contratti per la prestazione di servizi finanziari, così come negli altri contratti stipulati tra operatori economici professionali e clienti, risponde ad esigenze di ponderazione e certezza del rapporto, con una specificità: declinare tali esigenze in funzione di una delle parti, il cliente, ritenuto particolarmente meritevole di protezione.
Un’istruzione vincolante che si pone nel solco tracciato dal contratto-quadro non necessita di una forma particolare, ovvero di un particolare avvertimento al cliente sulla gravità e novità dell’impegno assunto, proprio perché non si discosta dal contenuto del precedente contratto, con cui già è stato assolto l’onere della forma.
Un ordine che, invece, risulti funzionalmente equivalente all’adozione di una nuova linea di investimento è un atto di ben maggiore significato e portata. Pertanto, necessita del requisito di cui all’art. 23 TUF, per segnalare al cliente la maggiore gravità dell’impegno che sta per assumere, anche se è stato lo stesso investitore a proporlo.
La Cassazione lascia, comunque, aperto uno spiraglio per l’investitore: “Del resto, non è che la previsione di un simile percorso (di necessario ricorso a un nuovo contratto, come coerente con le prescritte regole di forma e contenuto) venga a rendere il cliente «schiavo di sé stesso»: comunque rimanendo ferma, e non sopprimibile, la facoltà di quest’ultimo di recedere («senza penalità») dal rapporto contrattuale in essere”.
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Nicola Cicciarelli
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