P.A.: annullamento d’ufficio e limiti temporali

P.A.: annullamento d’ufficio e limiti temporali

Nota a sentenza del CdS, V Sez., n. 3940/2018

In virtù dell’art. 21-nonies l. 241/90, il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o incompetenza (relativa) può essere annullato ex officio, purché non si versi al cospetto di uno dei vizi non invalidanti di cui al comma 2 dell’art. 21-octies e non sussistano ragioni ostative alla caducazione dell’atto sotto il duplice profilo del tempo trascorso dalla data della sua adozione e degli interessi pubblici coinvolti.

La l. 124/2015 ha inserito nel corpo dell’art. 21nonies cit. un nuovo periodo, il quale prevede che il termine per procedere all’annullamento in autotutela non possa essere superiore a 18 mesi dal momento dell’adozione di provvedimenti attributivi od autorizzativi di vantaggi economici che, per loro intrinseca natura, richiedono un più accurato bilanciamento tra interesse alla caducazione, esigenze di certezza del diritto e legittimo affidamento dei terzi.

Confezionata la regola del barrage temporale, il legislatore del 2015 si è però subito preoccupato di disattivare il nuovo meccanismo preclusivo ove venga in rilievo un’accertata mala fides dell’amministrato.

Si pensi, ad esempio, a provvedimenti conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato accertate con sentenza definitiva.

Con la sentenza in commento (relativa ad una gara d’appalto celebratasi secondo modalità ante Codice 2016), il Consiglio di Stato risolve la seguente questione: se la locuzione “condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato” sia riferibile solamente all’accertamento relativo alle “dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci”, ovvero si estenda anche alle “false rappresentazioni dei fatti”.

È opportuno premettere che nel caso in esame l’appellante contestava la legittimità di un provvedimento in autotutela emanato oltre il termine ne ultra quem di diciotto mesi, sostenendo che quest’ultimo potesse essere superato solo in caso di “false rappresentazioni dei fatti” ovvero di “dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci”, conseguenti (entrambe le ipotesi) a “condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato”.

A contrario, secondo i giudici amministrativi, non è necessaria l’esistenza di un reato (requisito riferibile esclusivamente all’ipotesi delle “dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dell’atto di notorietà”), allorquando vi sia una falsa rappresentazione dei fatti cagionata da dolo o colpa grave dell’interessato.

Militano in tal senso distinti argomenti.

In primis, quello legato all’analisi grammaticale, logico-sintattica e semantica della disposizione interpretanda, per il quale il sintagma “per effetto di condotte costituenti reato” è riferibile esclusivamente al predicato nominale “false e mendaci” e, di conseguenza, alle sole “dichiarazioni sostitutive” (di certificazione o di atto di notorietà), e non anche alle “rappresentazioni” di cui al primo inciso, separato dal secondo dalla congiunzione avversativa “o”, che la norma peraltro postula già “false”, prescindendo dalla causa di tale falsità. In secundis, quello finalistico-teleologico, alla luce del quale risulta pacifico che il legislatore abbia inteso negare tutela agli affidamenti frutto di condotte dolose della parte, risultando a tal fine irrilevante la ricorrenza di fatti costituenti reato. Viceversa, si rischierebbe di considerare fonte di implausibile e valorizzato affidamento anche l’erronea, intenzionale o dolosa, rappresentazione dei fatti posti alla base dell’adozione del provvedimento ampliativo.

In definitiva, ad avviso del Consiglio di Stato, l’art. 21 nonies cit. andrà interpretato nel senso che il superamento del termine di diciotto mesi è consentito: a) sia nel caso in cui la falsa attestazione, inerente i presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo, abbia costituito il frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante (indipendentemente dal fatto che siano state all’uopo rese dichiarazioni sostitutive): nel qual caso sarà necessario l’accertamento definitivo in sede penale; b) sia nel caso in cui l’erroneità di detti presupposti risulti comunque non imputabile, neanche a titolo di colpa concorrente, alla P.A., ed imputabile, per contro, esclusivamente al dolo della parte: nel qual caso, non essendo parimenti ragionevole pretendere dall’incolpevole Amministrazione il rispetto di una stringente tempistica nella gestione dell’iniziativa di rimozione, si dovrà esclusivamente far capo al canone di ragionevolezza ex art. 3 Cost. per apprezzare e gestire la confliggente correlazione tra gli opposti interessi in gioco.

Appare coerente, in tal caso, che un soggetto non possa beneficiare, contra factum proprium, ed in spregio al principio espresso dal brocardo latino “nemini suus dolus prodesse debet”, della rigidità del termine imposto all’esercizio dell’autotutela. In altri termini, le PP.AA. non incontrano alcuna preclusione temporale al loro potere di annullamento d’ufficio a fronte di provvedimenti adottati sulla scorta di comportamenti in frode alla legge del privato, con i quali ha indotto l’Amministrazione a porre in essere un atto risultato soltanto successivamente, financo dopo 18 mesi dalla sua adozione, illegittimo. In questi casi, invero, l’affidamento vantato dal privato non presenta affatto i connotati della meritevolezza di tutela in ragione dell’abusività del vantaggio perseguito.


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Vito Fiorentino

Dottore in Giurisprudenza ed abilitato all'esercizio della professione forense (Foro di Palermo). Consulente bancario.

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