Patteggiamento e costituzione di parte civile: profili di (in)ammissibilità e liquidazione delle spese
Nella speciale udienza fissata nel corso delle indagini preliminari in seguito alla richiesta di applicazione della pena, ai sensi dell’art. 447 c.p.p., non è consentita la costituzione di parte civile, di talché deve ritenersi illegittima la sentenza di patteggiamento, emessa in tale fase procedimentale, che condanni l’imputato al pagamento delle spese da quest’ultima sostenute.
Tale è la regula iuris affermata dalla recentissima Cass. pen., Sez. III, sent. 29.1.2018, n. 4138 che, facendo buon governo di autorevoli precedenti giurisprudenziali affermatisi in subiecta materia, ha annullato parzialmente e senza rinvio la sentenza pronunciata dal G.I.P. di Catania.
In particolare, i Giudici di legittimità, condividendo il motivo di impugnazione avverso il capo di condanna alla spese, hanno, anzitutto, rammentato la ratio dell’art. 444, co. 2, secondo periodo, c.p.p. che -secondo l’insegnamento della nota Corte cost. n. 443 del 1990- ha natura indennitaria e risponde a esigenze di equità[1].
La previsione del potere di condanna alle spese di costituzione sostenute dalla parte civile è, infatti, volta ad evitare che quest’ultima subisca ingiustamente il costo dell’azione civile nel processo penale definito con sentenza di patteggiamento, esito rimesso alla scelta di altri soggetti processuali (l’imputato e il P.M. nonché il giudice, chiamato a controllare -tra l’altro- la congruità dell’accordo)[2].
In seguito, il Collegio, ponendosi in linea con l’orientamento dominante, ha stabilito che «nell’udienza fissata a seguito della richiesta di applicazione della pena presentata nel corso delle indagini preliminari non è consentita la costituzione di parte civile», sancendone l’inammissibilità e, per l’effetto, cassando il capo di condanna dell’impugnata sentenza logicamente e giuridicamente subordinato all’efficacia della costituzione medesima (conformi, e plurimis, Cass. pen., Sezioni Unite, sent. 27.11.2008, n. 47803, imp. D’Avino, e Cass. pen., Sez. II, sent. 18.6.2009, n. 36033).
Molteplici sono le argomentazioni giuridiche che -sebbene non espresse dalla Suprema Corte- corroborano la bontà della decisione in commento.
In primo luogo, ai sensi dell’art. 79, co. 1, c.p.p. la costituzione di parte civile può avvenire solo «per l’udienza preliminare e successivamente»; né la facoltà di presentare tale atto fuori udienza pare elemento determinante per sostenerne l’ammissibilità nella fase procedimentale delle indagini preliminari.
É ben possibile, dunque, che il soggetto danneggiato dal reato si costituisca parte civile in un momento antecedente alla celebrazione dell’udienza preliminare, ivi dovendone il giudice procedente verificare l’ammissibilità; trattasi, nondimeno, di una facoltà il cui esercizio sembra riferirsi esclusivamente al processo, e non già al procedimento[3].
Secondariamente, nessun avviso alla persona offesa è previsto per l’udienza ex art. 447 c.p.p., donde può legittimamente ritenersi che alla stessa sia precluso costituirsi parte civile in tale sede, impregiudicato il diritto di chiedere ed ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali dinanzi al giudice civile competente.
A tale ultimo riguardo, giova, anzi, rammentare che la sentenza di patteggiamento, pur non avendo efficacia di giudicato nei giudizi extrapenali (non essendo, cioè, equiparabile ad una condanna a fini risarcitori), «costituisce un indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito, il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale vi abbia prestato fede» (così Cass. civ., Sez. trib., sent. 24.5.2017, n. 13034; nello stesso senso, tra le altre, Cass. civ., sez. I, sent. 31.03.2015, n. 6582, Cass. civ., Sez. lav., sent. 21.1.2015, n. 1024).
Corretta appare, in definitiva, l’esclusione della costituzione di parte civile per la speciale udienza fissata per la definizione del procedimento con sentenza di patteggiamento con conseguente annullamento delle eventuali statuizioni di condanna, ivi contenute, al pagamento delle spese.
[1] Segnatamente, il Giudice delle leggi, dopo aver rilevato che «la limitazione (non la vanificazione) della tutela complessivamente prevista per il danneggiato non può dirsi priva di giustificazioni», afferma testualmente quanto segue: «Lo stesso ostacolo di ordine logico non è, invece, ravvisabile allorché il potere di decisione sottratto al giudice penale dall’art. 444, seconda parte, secondo periodo, concerna un oggetto non così strettamente collegato alla sentenza di condanna per la responsabilità civile da poter essere concepito anche indipendentemente da essa. In un’eventualità del genere, l’art. 24, primo comma, della Costituzione sarebbe da considerare violato se l’esclusione del potere di decisione in capo al giudice penale si traducesse in un non giustificabile pregiudizio per la parte civile. Tipico è in proposito il caso della statuizione relativa alle spese processuali sostenute dalla parte civile.».
[2] Cfr. ibidem: «Infatti, la mancata decisione sull’azione civile esercitata nel processo penale dal soggetto cui il reato ha recato danno non può essere qui ricollegata né ad una determinazione dell’interessato (come, invece, nel caso di non accettazione del giudizio abbreviato), né a qualcosa di addebitabile a lui, ma soltanto ad una scelta tra le parti del rapporto processuale penale favorevolmente valutata dal giudice, sino al paradosso di lasciare a carico della parte civile, impegnatasi dal principio alla fine, anche le spese incontrate per iniziative o attività rivelatesi decisive nell’indurre l’imputato a richiedere o consentire il rito speciale.».
[3] Si cita, in proposito, il precedente giurisprudenziale rappresentato da Cass. pen., Sez. IV, sent. 3.2.2011, n. 4136. In tale frangente, la Suprema Corte, chiamata a decidere -tra l’altro- in ordine alle spese processuali, ha, infatti, osservato che la rifusione degli esborsi sostenuti dalla costituita parte civile può riferirsi anche ad attività compiute nel corso delle indagini preliminari (nella specie, la partecipazione a un incidente probatorio); una simile statuizione condannatoria può, inoltre, effettuarsi con la sentenza che applica la pena su richiesta delle parti, ma solo laddove sia concordata in occasione dell’udienza preliminare. Letta nel suo corretto significato, la pronuncia testé menzionata sancisce, perciò, un’imperfetta separazione tra procedimento e processo con esclusivo riguardo alla liquidazione delle spese in favore della parte civile: la condanna al pagamento delle stesse può, invero, afferire anche a una fase precedente alla costituzione, che pure è ammessa solo dopo la chiusura delle indagini preliminari. Per usare le parole delle Corte: «La conclusione che si può trarre da tale disciplina è che si è in presenza di attività che, pur collocandosi nella fase delle indagini, ha contenuto probatorio; e che tale attività probatoria coinvolge direttamente la persona offesa, che vi ha un definito ruolo attivo, che si manifesta precipuamente, per quel che qui interessa, nel diritto di partecipare agli atti processuali che si compiono. Se così è, ne discende naturalmente che la persona offesa costituitasi parte civile ha diritto alla rifusione pure delle spese processuali afferenti alla menzionata attività probatoria che, se pur collocata cronologicamente nella fase investigativa, in un momento anteriore alla stessa costituzione, partecipa delle finalità tipiche della fase processuale. Una diversa soluzione condurrebbe all’esito, già ritenuto incongruo dalla giurisprudenza sopra richiamata, di chiamare la persona offesa a sopportare il peso economico di attività defensionale connessa ad incidente probatorio rilevante anche ai fini del soddisfacimento della pretesa risarcitoria nel processo penale».
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Marco Vitale
Laureato in giurisprudenza all'Università Commerciale L. Bocconi con pieni voti assoluti e con lode.
Già tirocinante presso gli uffici giudiziari civili e penali (G.I.P.) di Monza, percorso formativo svolto con esito favorevole e positivamente valutato da entrambi i magistrati formatori.
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