Peculiarità e margini applicativi del delitto di impiego di risorse di provenienza illecita

Peculiarità e margini applicativi del delitto di impiego di risorse di provenienza illecita

Numerosi sono i casi in cui la commissione di un delitto è subordinata all’intenzione/aspirazione ed alla probabilità di conseguire un lucro.

Le attività criminose sono spesso suscettibili di creare arricchimenti per il reo, e tali guadagni potranno essere successivamente destinati al godimento immediato, ad operazioni di occultamento o ripulitura ovvero all’investimento in ulteriori attività lecite o illecite1.

In particolare, le organizzazioni criminali hanno assunto un ruolo peculiare per quanto concerne le realizzazioni di consistenti profitti derivanti dalle più svariate attività illecite (si pensi ad es. al traffico di armi e stupefacenti, al racket estorsivo, allo sfruttamento della prostituzione, al gioco d’azzardo ed ai reati di ecomafia).

La materiale disponibilità delle imprese criminali di ingenti capitali ad un prezzo inferiore rispetto a quello di mercato comporta il grave rischio che le stesse si ritrovino ad occupare posizioni di monopolio, cagionando il turbamento della libera concorrenza2. L’associazione mafiosa è capace di produrre illegalmente copiose ricchezze3 che successivamente andranno consumate o impiegate (ergo investite nei più svariati settori leciti o illeciti).

Questo lavoro si prefigge l’obiettivo di analizzare la fattispecie delittuosa avente ad oggetto quelle condotte che sono successive alla fase del riciclaggio e che comportano l’investimento economico dei proventi illeciti, ossia il reato di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita.

L’art. 648-ter c.p. al primo comma prevede che “chiunque fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648-bis, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 5.000 a euro 25.000”.

La fattispecie in esame rientra nella categoria dei reati comuni, potendo essere il fatto tipico commesso da “chiunque” eccetto che dall’autore del reato presupposto. La formulazione letterale subordina l’applicabilità della norma anche ad un’altra condizione, ossia la non punibilità ai sensi degli artt. 648 e 648-bis, suggerendo il carattere residuale della stessa4.

Particolare interesse suscita proprio la clausola di riserva contenuta non solo nella disposizione in oggetto, bensì anche nel disposto di cui all’art. 648-bis (“fuori dai casi di concorso nel reato”). La suddetta clausola andrebbe ricollegata al principio del ne bis in idem sostanziale e farebbe assumere al fatto successivo la qualifica di post factum non punibile (Cass. Pen., sez. V, 10 gennaio 2007, n. 8432), opinione che tuttavia ha fatto registrare diversità di visioni.

La giurisprudenza di legittimità, infatti, in altra occasione ha avuto modo di sostenere la tesi della sola sussidiarietà (Cass. Pen., sez. II, 16 novembre 2009, n. 47375).

La dottrina, pur condividendo in parte il primo approccio giurisprudenziale, ha interpretato l’esclusione della sanzione penale per l’autore del delitto presupposto come una causa soggettiva di esclusione della punibilità.

Le Sezioni Unite della Cassazione hanno ritenuto, invece, l’intero disvalore dei fatti ricompreso nella punibilità del solo delitto presupposto (sentenza n. 25191 del 13 giugno 2014)5.

Poste tali premesse sull’applicabilità della norma de qua, occorre analizzare il significato da assegnare al termine “impiegare”. Se infatti l’interpretazione letterale suggerirebbe il semplice utilizzo a qualunque scopo, dottrina prevalente ha scelto di seguire un’impostazione restrittiva, intendendo l’impiego come un investimento, ossia un utilizzo finalizzato al conseguimento di un profitto, di un utile futuro6.

Per quanto concerne invece il concetto di attività economica o finanziaria, questo va desunto dagli artt. 2082, 2135 e 2195 del cod. civ. e si riferisce non solo all’attività produttiva in senso stretto, ossia quella finalizzata alla creazione di nuovi beni e servizi, bensì anche alle attività di scambio e distribuzione di beni di consumo e ad ogni altra attività inquadrabile nell’elenco delle norme sopra citate, ivi incluso il finanziamento di una somma di denaro (anche se modesta) proveniente da delitto (Cass. Pen., 11 dicembre 2013, n. 5546). Il reato di cui all’art. 648-ter può ritenersi integrato anche se il reimpiego avviene in attività illecite o non svolte professionalmente (Cass. Pen., 5 novembre 2013, n. 9026).

L’elemento soggettivo è il dolo generico, integrato dalla consapevolezza dell’origine delittuosa del denaro, dei beni o delle altre utilità costituenti l’oggetto materiale, e la volontà di investire gli stessi in attività economiche o finanziarie.

Il bene giuridico tutelato dalla norma è costituito dall’ordine economico ed in via mediata dall’interesse patrimoniale. Il reato di cui all’art. 648-ter si consuma nel luogo e nel momento in cui avviene l’impiego ed il tentativo risulta configurabile.

L’oggetto materiale della condotta sono il denaro, i beni o altre utilità provenienti da delitto7.

La norma in questione prevede l’aumento della pena nel caso in cui “il fatto sia commesso nell’esercizio di un’attività professionale” e la diminuzione qualora sia di particolare tenuità.

Ulteriore aspetto meritevole di analisi concerne l’attitudine dissimulatoria delle condotte poste in essere. Invero, un margine applicativo potrebbe sussistere nelle ipotesi in cui l’impiego non risulti idoneo ad ostacolare l’origine criminosa, oppure nel caso di beni provenienti da delitto colposo8.

Per quanto concerne i profili dissimulatori, diverse sono state le pronunce della giurisprudenza e non sempre vi è stata uniformità di vedute. In passato la Cassazione ha affermato che, pur trattandosi di reati a forma libera, sia il riciclaggio che il reimpiego debbano caratterizzarsi per “un tipico effetto dissimulatorio, risultando diretti in ogni caso ad ostacolare l’accertamento sull’origine delittuosa del denaro, beni o altre utilità” (Cass. Pen., 11 dicembre 2007, n. 1470). Tale orientamento non è stato successivamente condiviso da altre pronunce, nelle quali la Suprema Corte ha chiarito che “per la configurabilità del reato di cui all’art. 648-ter cod. pen … non è necessario che la condotta di reimpiego presenti connotazioni dissimulatorie, volte ad ostacolare l’individuazione o l’accertamento della provenienza illecita dei beni” (Cass. Pen. 5 novembre 2013, n. 9026). Ancor più recente è la pronuncia nella quale la Corte ha affermato che ai fini della sussistenza del delitto in esame “non è necessario che la condotta di reimpiego abbia una concreta idoneità dissimulatoria, essendo la fattispecie orientata in via principale a tutelare il fisiologico sviluppo del mercato che deve essere preservato dall’inquinamento che deriva dalla immissione di capitali illeciti” (Cass. Pen., 17 giugno 2015, n. 37678).

Evidenziati i tratti peculiari della fattispecie de qua, emergono alcuni dubbi inerenti all’ambito applicativo della stessa. Invero, la clausola di riserva contenuta dalla previsione limita fortemente lo specchio di operatività, inducendo dei dubbi sull’effettiva utilità della stessa. L’ipotesi di reimpiego potrebbe rivelarsi offuscata da altre fattispecie come quella della ricettazione (art. 648 c.p.). Lo scopo della previsione criminosa esaminata andrebbe, dunque, ricercato nella necessità di colmare eventuali lacune punitive che potrebbero verificarsi, tutelando il più possibile beni giuridici come il patrimonio, l’amministrazione della giustizia e l’ordine economico-finanziario9. Il Legislatore, alla luce dei numerosi atti adottati a livello internazionale, ha scelto di assegnare autonomo rilievo alla fase concernente l’investimento delle risorse scaturenti da attività criminali, concretizzato con la relativa immissione nel settore finanziario, industriale e commerciale10.


1F. Brizzi, G. Capecchi, A. Rinaudo, La reimmissione della liquidità illecita nel circuito economico ed il delitto di reimpiego tra prevenzione patrimoniale e giustizia penale: prospettive di futura armonizzazione, in Archivio penale, 2014, 2, p. 1.

2F. Caringella, M. De Palma, S. Farini, A. Trinci, Manuale di Diritto Penale – Parte Speciale, 2016, p. 1399.

3A. M. Tamburro, Riciclaggio e impiego di capitali di provenienza illecita. Rapporti con il reato di associazione mafiosa, in Rivista penale, 2015, 1 , p. 8.

4F. Caringella, M. De Palma, S. Farini, A. Trinci, op. cit., pp. 1399-1400.

5A. M. Tamburro, op. cit., p. 8.

6F. Caringella, M. De Palma, S. Farini, A. Trinci, op. cit., p. 1400.

7Ivi, pp. 1400-1401.

8R. Garofoli, Manuale di diritto penale – parte generale e speciale, 2015, p. 716.

9A. M. Tamburro, op. cit., pp. 8 e ss.

10R. Garofoli, op. cit., 2015, p. 715.


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Pasquale Paolicelli

Ha superato l'esame di abilitazione alla professione forense presso la Corte di Appello de L'Aquila. Laureato in Giurisprudenza con tesi in Procedura penale dal titolo "Prova scientifica: criteri di valutazione".

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