Pene alternative al carcere: l’affidamento ai servizi sociali
Il carcere, nell’ordinamento giuridico italiano, è un sistema di pena per il quale è prevista la privazione e la limitazione coercitiva della libertà dei condannati.
A tutti gli effetti si tratta di un sistema violento, dove la persona è soggetta per un periodo più o meno lungo ad un processo di isolamento che comporta un allontanamento dalla realtà sociale, ma comporta anche un disagio psichico per la persona che, come conseguenza, rende difficile all’ex detenuto, il riadattarsi ad un contesto di vita sociale e lo rende soggetto di pregiudizi da parte delle altre persone.
Notoriamente, gli ex detenuti, hanno maggiore difficoltà a reinserirsi nel tessuto sociale, difficoltà a relazionarsi con gli altri, a trovare un lavoro e, per queste ragioni, spesso tendono a riproporre uno stile di vita criminale come unico stile di vita ad essi familiare e congeniale.
A livello pedagogico e di educazione ad una vita socialmente attiva, bisogna riflettere sull’inutilità di punire le persone con il carcere senza prendere in considerazione che bisogna anche educare il condannato, fare in modo che la persona, dopo la condanna, riesca a reinserirsi in maniera funzionale all’interno della comunità di appartenenza.
Pensare che la punizione non sia solo isolare e chiudere una persona in carcere è il motivo per cui oggi si parla molto di pena alternativa indicando, con questo termine, tutte quelle sanzioni e misure legali che vengono applicate dalla magistratura italiana allo scopo di mantenere il condannato all’interno della comunità pur applicando una certa restrizione della sua libertà con alcune condizioni, ma anche obblighi, che vengono imposti da un tribunale o da un magistrato.
Le misure alternative alla detenzione sono nate con l’intento di consentire a coloro che avessero commesso un reato “non grave” ma al quale è seguita una condanna formale per cui il giudice ritiene che la condanna possa essere scontata, tutta o in parte, fuori dal carcere.
Lo scopo di questo sistema è quello di permettere di ottenere una condanna per il reato commesso dall’imputato senza che si arrivi alla detenzione in carcere. In questo modo si cerca di facilitare il reinserimento in società della persona condannata, senza dover ricorrere al sistema carcerario.
Le misure alternative alla detenzione, in Italia, sono regolamentate dalla legge 354 del 1975, che troviamo spiegate negli articoli 47-52 dell’ordinamento penitenziario e applicati in maniera esclusiva ai detenuti definitivi, quelli cioè la cui sentenza non è più impugnabile. Parliamo principalmente di tutti coloro che hanno l’affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare o la semilibertà.
La pena alternativa ha lo scopo di coinvolgere la persona condannata a seguire un determinato programma di attività socialmente definite all’interno di un’intesa fra il condannato stesso e l’ufficio di esecuzione penale esterna che lo ha preso in carico.
Quest’azione di attività sociale che impegna il condannato per il periodo previsto affinché l’esecuzione della pena al di fuori del carcere non sia, in alcun modo, una forma di depenalizzazione del condannato. Esiste, invece, la volontà, da parte della magistratura, di prendersi “cura” della persona. Considerando il fatto che è stato commesso un reato, certi che spetti una giusta punizione, ci si impegna però a tutelare la persona, a fare in modo che questa comprenda il più possibile l’errore che ha commesso e si prenda cura del prossimo con delle azioni di solidarietà sociale, secondo una modalità rieducativa del condannato, aiutandolo nel suo reinserimento sociale.
Oggi, la pena alternativa al carcere sta diventando sempre più una sfida per arrivare ad aumentare il numero delle sanzioni di comunità, in modo che possano diventare la prima forma di punizione, lasciando il carcere come misura estrema.
Importante è l’affidamento in prova ai Servizi Sociali, si tratta di una misura alternativa alla detenzione regolamentata dall’articolo 47 dell’Ordinamento Penitenziario, secondo la modifica dell’articolo 2 della Legge n. 165 del 27 maggio 1998 e consiste nell’affidamento del condannato al Servizio Sociale, si svolge al di fuori dell’istituto di pena, per una durata uguale al periodo della pena da scontare.
Possono essere ammessi i condannati con una pena (o che abbiano da scontare un residuo di pena) inferiore ai tre anni. L’affidamento può essere richiesto con una pena inferiore ai quattro anni quando si tratta di persone con problemi di tossicodipendenza o di alcool dipendenza.
Si tratta della misura alternativa al carcere più utilizzata nel nostro Paese.
Ad occuparsi delle misure alternative è il Dipartimento della Giustizia minorile che ha, come proprio fine ultimo, quello di fare in modo che la pena alternativa abbia un contenuto sanzionatorio reale e che non sia mai una depenalizzazione.
La giustizia opera in favore del reinserimento e dell’inclusione sociale, ma la misura di pena alternativa può essere revocata in ogni momento in caso di recidività da parte del condannato stesso.
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Angelo Franchitto
Laureato in "Scienze dell'educazione", mi occupo di educazione alla cittadinanza attiva attraverso la realizzazione di laboratori di educazione civica nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado, seguo progetti di "Servizio Civile" con i giovani tra i 18 ed i 28 anni di età, scrivo testi dedicati al terzo settore e alle attività di volontariato per la realizzazione di una società più giusta e per la rieducazione dei giovani che hanno ricevuto una condanna penale o che sono affidati ai Servizi Sociali.
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- Pene alternative al carcere: l’affidamento ai servizi sociali - 10 December 2017