Pene sostitutive alla detenzione: svolta per i minorenni

Pene sostitutive alla detenzione: svolta per i minorenni

La Costituzione all’art. 27 dispone che “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Tale principio vale sia nei confronti dei condannati maggiorenni che non.

In Italia, però, la giustizia minorile, spesso, ha lasciato spazio alla condanna finale della carcerazione senza prevedere misure alternative. Tuttavia, sembra che si stia per attivare (anche) in Italia un nuovo sistema garantista che permetterebbe ai minorenni-delinquenti di poter ottenere, finalmente, la tutela costituzionalmente garantita e cioè la rieducazione dopo la commissione di reati.

In particolare il riferimento va ad un’importante sentenza – la n° 90 del 22/02/2017 (dep. 28/04/2017) – emessa dalla Corte Costituzionale, la quale ha dichiarato la illegittimità dell’art. 656, comma 9, lett. a), c.p.p. per contrasto con gli artt. 27, comma 3 e 31, comma 2, Cost. nella parte in cui non consente la sospensione dell’esecuzione della pena detentiva nei confronti dei minorenni condannati per i delitti ivi elencati.

Nella fattispecie, l’art. 656 c.p.p. (inerente all’esecuzione delle pene detentive) prevede che, nel caso in cui la sanzione da scontare rientri nei limiti previsti per le cd. pene detentive brevi (introdotte dall’art. 53 della Legge 689/81), il pubblico ministero è tenuto a disporre, con decreto, la sospensione dell’esecuzione e ad informare il condannato (e di conseguenza il suo avvocato), della possibilità di richiedere, entro 30 giorni, l’ammissione ad una delle misure alternative alla detenzione.

Ai sensi del co. 9, lett. a), dell’art. 656, c.p.p., tuttavia, la sospensione dell’esecuzione non può essere disposta nei confronti dei condannati per i delitti di cui all’art. 4-bis, l. 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, nonché di cui agli artt. 423-bis, 572, co. 2, 612-bis, co. 3, 624-bis, c.p. Dunque, sulla base della normativa in questione, anche per i minori non può essere disposta la sospensione dell’esecuzione, e quindi non può essere impedito l’ingresso in carcere.

Come affermato dalla costante giurisprudenza costituzionale, il sistema di giustizia minorile risulta caratterizzato fra l’altro dalla esigenza di specifica individualizzazione e flessibilità del trattamento che l’evolutività della personalità del minore e la preminenza della funzione rieducativa richiedono (sent. cost. n. 125 del 1992).

Pertanto, la Corte, nella sentenza in esame, ha ritenuto che il divieto generalizzato e automatico di un determinato beneficio contrasti con il criterio, costituzionalmente vincolante, che esclude rigidi automatismi e richiede sia resa possibile invece una valutazione individualizzata e caso per caso, in presenza delle condizioni generali costituenti i presupposti per l’applicazione della misura, della idoneità di questa a conseguire le preminenti finalità di risocializzazione che debbono presiedere all’esecuzione penale minorile (sent. cost. n. 436 del 1999).

L’importanza della sentenza consiste, sostanzialmente, nell’individualizzazione del trattamento nei confronti del minorenne-condannato, che non viene meno con la chiusura del processo di cognizione, tant’è vero che, anche l’esecuzione penale minorile deve tendere verso la rieducazione del condannato.

È ritenuto necessario, dunque, dover identificare, per una reale giustizia minorile, forme di valutazioni individualizzate. Tale innovativa sentenza è solo una fra le tante emesse dalla Consulta per sopperire alle numerose lacune del legislatore. Così anche le Nazioni Unite, il Consiglio d’europa e le Istituzioni europee si sono espresse in tal senso.

La privazione delle libertà personale dovrebbe essere, in tali ipotesi di reato, una misura di ultima istanza, estrema, applicata dopo aver individuato tutte le misure alternative per un trattamento specificamente disegnato sulle peculiari esigenze del minore.

Alla luce di questi principi, costantemente affermati, il Giudice delle leggi ha stabilito che la rigida preclusione posta dall’art. 656, co. 9, lett. a), c.p.p. – laddove vieta la sospensione dell’esecuzione della pena detentiva nei confronti dei condannati per i delitti di cui all’art. 4-bis, l. n. 354 del 1975 e per gli altri reati espressamente indicati – se applicata ai minorenni, contrasti con gli artt. 27 e 31 Cost., non potendo ritenersi conforme al principio della protezione della gioventù un regime che collide con la funzione rieducativa della pena irrogata al minore, facendo operare, in sede di esecuzione, il rigido automatismo insito nella previsione della norma denunciata, che preclude ogni valutazione del caso concreto (sent. cost. n. 16 del 1998).


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