Per la Cassazione merita l’addebito il coniuge che ricerca incontri sul web
“La notte tu mi fai impazzire”, cantava Salvatore Adamo.
Da mozzare il fiato!
Si scherza, ovvio, sebbene il fatto esaminato abbia il sapore licenzioso di alcune novelle del Decameron e non goccioli dalla penna del “maraviglioso” Boccaccio. Perdersi nel gusto del proibito, spingersi come Ulisse a navigare, seguire rotte incantate ed entrare in porti sconosciuti per dare un volto a fantasie ardite, lasciarsi avvolgere e sciogliersi dentro altre braccia, conduce a volte al rischio di naufragare.
E non tarda ad arrivare l’urlo della Suprema Corte che con una recentissima pronuncia, Cass. civ. Sez. I, ord., 22 marzo 2018- 16 aprile 2018, n. 9384, rispolvera la nozione allargata dell’ obbligo di fedeltà stabilita in passato per il tradimento apparente, causa di addebito della separazione se rigorosamente provato.
La condotta legittimante la declaratoria di addebito deve essere, non solo contraria ai doveri scaturenti dal matrimonio, sanciti a chiare lettere dall’art. 143 del c.c., ma anche cosciente e volontaria, nonché causa esclusiva della crisi coniugale. Dovrà emergere l’evidenza palpabile del nesso causale tra la condotta contraria ai doveri coniugali e l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza.
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La norma di riferimento. L’articolo 151, secondo comma, del codice civile, stabilisce che il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano i presupposti, e sia espressamente richiesto dalla parte che ne abbia interesse, a quale dei due coniugi sia addebitabile la separazione.
La pronuncia di addebito esige, pertanto, una specifica domanda di parte.
Gli effetti dell’addebito travolgono unicamente la sfera patrimoniale, causando la perdita del diritto all’assegno di mantenimento e dei diritti successori per il coniuge a cui viene addebitata la separazione.
La parte richiedente l’addebito ha l’onere di provare che la violazione degli obblighi nascenti dal matrimonio sia stata la causa unica, determinante e prevalente dell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, non rilevando che la condotta del coniuge sia solo la conseguenza della crisi matrimoniale
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Il caso.
A ricorrere è lui, sì l’anziano marito.
Ritiene ingiusta la decisione di conferma della sentenza di primo grado emessa dalla Corte di appello di Bologna che, in aggiunta al rigetto della domanda di addebito a carico della giovane moglie, lo aveva per di più condannato al pagamento di un assegno di mantenimento in favore della agiata donna, determinato in € 600,00 mensili.
Con il terzo motivo di ricorso, così, travalica le derive dei ragionamenti spicci della Corte territoriale per guardare oltre: “Il ricorrente– si legge in sentenza- si duole che la Corte di appello abbia ritenuto giustificato l’allontanamento della moglie dalla casa coniugale senza preavviso esclusivamente per la scoperta di un interesse del marito alla ricerca di compagnie femminili sul Web: sostiene che tale circostanza non era sufficiente a provare che l’allontanamento fosse dipeso esclusivamente da cio’, in assenza di pregresse tensioni tra i coniugi”.
Ricostruzione superba, ma non convincente per i Giudici di Piazza Cavour.
Ebbene no, tale statuizione non è stata oggetto di impugnazione, ribadisce la Suprema Corte: il ricorrente sul punto si è limitato a minimizzare la sua condotta.
Si è formato, pertanto, un giudicato interno, incompatibile con la pronuncia di addebito per abbandono del tetto coniugale ritenuto comunque giustificato dalla Corte territoriale proprio per la violazione degli obblighi di fedeltà, ex art. 143 c.c., da parte del marito.
La personalissima verità del ricorrente esalta il senso della suggerita riflessione della pronuncia in commento, incentrata su alcune condotte che rilevano ai fini dell’addebito, pur non costituendo tradimento in senso stretto, in quanto arrecano pregiudizio alla dignità personale del coniuge, in aggiunta alla percezione che di esse ne ha la società.
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Avv. Lina Nicolosi
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