Per patrocinare contro l’ex cliente serve l’autorizzazione?
La sentenza n. 142/2021 emessa dal Consiglio Nazionale Forense ha affermato che la mancata autorizzazione espressa da parte dell’ex cliente comporta l’obbligo deontologico di astensione da parte del professionista, pena la sanzione della sospensione.
La vicenda. Due avvocati dapprima avevano assistito due coniugi nella causa di separazione consensuale omologata dal Tribunale di Treviso e, successivamente, avevano assunto la difesa della donna in una serie di giudizi, nei confronti dell’ex marito e dei suoi parenti.
In particolare, i due professionisti avevano: promosso atti prodromici e successivi diretti al recupero delle somme dovute a seguito di inadempimento da parte del marito in relazione agli obblighi economici stabiliti in sede di separazione; resistito in un giudizio, sempre per conto della moglie, promosso dal marito avanti il Tribunale di Treviso avente ad oggetto la modifica delle condizioni di separazione; depositato un ricorso ex art. 148 c.c. avanti il Tribunale di Treviso, per conto della moglie, nei confronti dei genitori del marito.
A seguito della predetta attività, il marito aveva presentato esposto presso il COA di Treviso, il quale deliberava per l’apertura di un procedimento nei confronti dei due avvocati per violazione dell’art.5 (Doveri di probità , dignità e decoro) e dell’art. 51, I canone CDF (assunzione di incarichi contro ex clienti) vecchio codice deontologico.
Il primo avvocato si difendeva precisando che, pur essendo in mandato disgiunto per tutti i procedimenti di cui sopra con l’altro collega, quest’ultimo non aveva mai assistito i coniugi in sede di separazione consensuale né la moglie nelle varie vertenze promosse contro il marito successive alla separazione, tant’è che egli non aveva mai sottoscritto alcun atto.
Inoltre, precisava come si fosse limitato, in sede di separazione, a trasfondere nel ricorso gli accordi presi dalle parti e che pertanto la lite non poteva essere definita quale “controversia” e che, comunque, nel mandato conferito in sede di separazione era prevista la rappresentanza delle parti in altri procedimenti connessi, compreso quello di esecuzione; infine, sottolineava che il procedimento incardinato mediante ricorso ex art. 148 c.c. era diretto contro i genitori del marito e, quindi, che non vi era alcun dovere di astensione.
A seguito delle modifiche intervenute ex L. 247/2012 e dei connessi regolamenti attuativi, il procedimento disciplinare veniva trasferito al Consiglio di Disciplina Veneto che, a seguito di nuova istruttoria, confermava la decisione del COA di Treviso nei confronti dei due avvocati per cui proponeva il capo di incolpazione per violazione degli artt. 68 c. IV NCDF (già art. 51 CDF) e 9 NCDF (già art. 5 CDF).
All’udienza dibattimentale il primo avvocato eccepiva preliminarmente la intervenuta prescrizione in relazione all’invio della diffida contenente la richiesta di pagamento al marito per asserito inadempimento di somme di denaro dovute in base agli accordi di separazione, ribadendo l’estraneità del collega di qualsiasi attività professionale nei confronti del marito.
Il marito precisava, tuttavia, che per la separazione consensuale, aveva avuto contatti preliminarmente con il primo avvocato comunque incontrando in studio, in due occasioni, il secondo avvocato, presentato dal primo, come collega associato.
Ad esito, il Consiglio di Disciplina, reputava sanzionabili le condotte dei due professionisti, comunque operando una distinzione:
– il secondo avvocato, pur svolgendo attività in associazione con il primo avvocato, non aveva sottoscritto il ricorso per separazione, né sottoscritto gli atti successivi posti in essere dal collega nell’interesse della moglie, emergendo come lo stesso si fosse limitato ad incontrare solo in due occasioni la moglie e il marito quando questi si recavano dal primo avvocato, ritenendo sì sussistere una violazione deontologica, ma “lieve e scusabile”, comminando allo stesso un semplice richiamo verbale;
– di contro, il primo avvocato, a seguito di rigetto di tutte le eccezioni rassegnate, veniva sospesa dall’esercizio della professione per la durata di tre mesi.
Entrambi i professionisti impugnavano il suddetto provvedimento avanti il Consiglio Nazionale Forense, lamentando l’insussistenza di un illecito deontologico o comunque una particolare tenuità dei fatti, tale da consentire di ridimensionare la sanzione loro irrogata.
In particolare, osservavano come i coniugi avessero già raggiunto in autonomia gli accordi formalizzati in separazione, per cui gli avvocati avrebbero assolto un’attività di carattere sostanzialmente notarile, limitandosi a recepire la mera volontà delle parti.
La decisione. Il CNF ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal secondo avvocato poiché da questi non sottoscritto e per il quale non risulta essere stata conferita procura speciale, confermando così la sanzione irrogata dal CDD Veneto; mentre per quanto attiene quello presentato dal primo avvocato il CNF lo ha accolto parzialmente.
Invero, le ragioni spiegate in motivazione dal Consiglio di Disciplina Veneto sono apparse <<…Pienamente condivisibili, sotto l’aspetto logico ed argomentativo…>>; il CDD ha, infatti, <<…operato una giusta valutazione della condotta osservata nell’occasione dall’avv., così come altrettanto equa è il tipo di sanzione irrogata…>>.
Su tale aspetto, il Consiglio, con la sentenza n. 123/2018, aveva già precisato e ribadito il divieto per l’avvocato di assumere l’incarico nei confronti dell’ex cliente sia in sede stragiudiziale che giudiziale con un limite temporale di due anni dalla cessazione del rapporto professionale: di tale vincolo, l’avvocato può essere sciolto solo mediante autorizzazione espressa dell’ex cliente.
Le censure mosse sono risultate, pertanto, irrilevanti, in quanto:
1) <<…la condotta risulta documentalmente provata e poco importa che fossero stati raggiunti in separata sede…>>; 2) <<…integra gli estremi dell’illecito deontologico a prescindere dalla natura giurisdizionale o meno dell’attività spiegata dal professionista…>>; 3) la conoscenza del marito relativa al fatto che il primo avvocato sarebbe rimasto avvocato della sua ex moglie, non implica necessariamente che il marito lo avesse espressamente esonerato dagli obblighi che era deontologicamente tenuto ad osservare; 4) infine, <<…è del tutto irrilevante che gli incarichi successivamente assunti non utilizzassero notizie o conoscenze attinte dall’espletamento del precedente mandato (diversamente, infatti, il divieto di assumere incarichi contro una parte già assistita si configurerebbe come assoluto e perdurante, quindi, nonostante il trascorrere del biennio)…>>.
Purtuttavia, il CNF ha ritenuto di dover determinare la sanzione <<…avuta considerazione del comportamento osservato successivamente alla presentazione dell’esposto nonché l’assenza di precedenti disciplinari, la buona fede, l’informativa resa al cliente anche prima dell’assunzione dell’incarico, e l’assenza di pregiudizio, anche solo potenziale, non avendo acquisito alcuna notizia riservata non a conoscenza…>> della cliente.
Per i motivi sopra esposti, il CNF si è limitato a ridurre la misura della sanzione della sospensione da tre e due mesi.
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