Perbacco! E’ ora l’accusa a dovere provare il funzionamento dell’etilometro
In tema di guida in stato di ebbrezza, allorquando l’alcoltest risulti positivo, costituisce onere della pubblica accusa fornire la prova del regolare funzionamento dell’etilometro, della sua omologazione e della sua sottoposizione a revisione. E’ il principio di diritto recentissimo enunciato dalla Cassazione Penale, Sez. IV , sent. 6 giugno – 19 settembre 2019, n. 38618.
Pratica applicazione giurisprudenziale ed elevazione del principio già affermato dalla Suprema Corte in sede civile che ora entra senza spingere, senza sbalordire, quale principio cardine di una sorta di summa dell’intera giurisprudenza anche in materia penale.
C’è un acuto disincanto, così, per la Pubblica Accusa con il principio recentemente enunciato dalla Suprema Corte alla cui origine si può immediatamente risalire con il richiamo della pronunzia della Corte Costituzionale n. 113 del 29.04.2015 che, in sede di giudizio di legittimità costituzionale incidentale, ha decretato la parziale illegittimità del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 45, comma 6, nella parte in cui non contemplava che tutte le apparecchiature utilizzate nell’accertamento delle violazioni dei limiti di velocità (c.d. autovelox) fossero sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura, così esonerando gli utilizzatori dall’obbligo di verifica periodica di funzionamento e taratura delle apparecchiature.
Chiaro il flusso argomentativo della sentenza in commento : “L’affidabilità dell’omologazione e la taratura di detti apparecchi si giustifica, in considerazione delle esigenze di tutela della sicurezza stradale, che le risultanze degli stessi costituiscono fonte di prova della violazione, senza che l’inerente onere probatorio (pressoché diabolico) di dimostrare il cattivo funzionamento dell’apparecchiatura possa gravare sull’automobilista, dando luogo ad una presunzione (quasi assoluta) in danno dello stesso.
La Consulta ribadiva la legittimità dell’utilizzo di tali apparecchiature, siccome ragionevole nell’ottica del bilanciamento tra la tutela della sicurezza stradale e quella delle situazioni soggettive dei sottoposti alle verifiche, in qualche modo compressa, quest’ultima, per effetto della parziale inversione dell’onere della prova (dal momento che sarà il ricorrente contro l’applicazione della sanzione a dover eventualmente dimostrare il cattivo funzionamento dell’apparecchiatura); evidenziava, di contro, che una tale limitazione trova spiegazione proprio nel ragionevole affidamento derivante dalla custodia e dalla permanenza della funzionalità delle apparecchiature, garantita quest’ultima da verifiche periodiche conformi alle relative specifiche tecniche, affidamento che degrada in assoluta incertezza se queste ultime non vengono effettuate <…>.
Il principio sopra affermato dalla Corte costituzionale in tema di autovelox era applicato al caso dell’etilometro dalla Cassazione civile, secondo cui, in tema di violazione al codice della strada, il verbale dell’accertamento effettuato mediante etilometro deve contenere, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata, l’attestazione della verifica che l’apparecchio da adoperare per l’esecuzione del cd. “alcooltest” è stato preventivamente sottoposto alla prescritta ed aggiornata omologazione ed alla indispensabile corretta calibratura; l’onere della prova del completo espletamento di tali attività strumentali grava, nel giudizio di opposizione, sulla P.A. poiché concerne il fatto costitutivo della pretesa sanzionatoria (Sez. 6 civ., Ord. n. 1921 del 24/01/2019, Rv. 652384; a superamento del contrario indirizzo su cui vedi Sez. 6 civ., n. 4255 del 23/10/2014, dep. 2015).
La Cassazione civile illustrava il quadro normativo sulle caratteristiche rigorosamente previste per l’etilometro in funzione della configurazione della piena attendibilità della correlata attività di accertamento (D.P.R. n. 495 del 1992, art. 379, commi 5, 6, 7 e 8 e il disciplinare tecnico richiamato dal citato comma 5, precedentemente approvato con Decreto del Ministero dei Trasporti 22 maggio 1990, n. 196).
Alla luce delle disposizioni in materia, nell’Ord. n. 1921 cit. era sottolineato che l’effettiva legittimità dell’esecuzione dell’accertamento mediante etilometro non poteva prescindere dall’osservanza di appositi obblighi formali, dalla cui violazione può discendere l’invalidità dell’accertamento stesso, tra i quali, in particolare, l’attestazione – all’atto del controllo – dell’avvenuta preventiva sottoposizione dell’apparecchio alla prescritta ed aggiornata omologazione oltre che alla indispensabile corretta calibratura (da riportare sul libretto di accompagnamento), tali da garantire l’effettivo “buon funzionamento” dell’apparecchio e, quindi, la piena attendibilità del risultato conseguito attraverso la sua regolare utilizzazione; desumeva da tali considerazioni che il verbale di accertamento doveva contenere – anche per garantire l’effettività della trasparenza dell’attività compiuta dai pubblici ufficiali – l’attestazione dei dati relativi allo svolgimento dei suddetti adempimenti, in modo tale da garantire la controllabilità della legittimità della complessiva operazione di accertamento.
La Cassazione civile attribuiva l’onere della prova circa il completo assolvimento dell’espletamento dell’evidenziata attività preventiva strumentale ai fini della legittimità – e della piena attendibilità – dell’accertamento alla Pubblica Amministrazione, siccome attinente al fatto costitutivo della pretesa sanzionatoria costituente oggetto del giudizio di opposizione instaurato o ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6 o ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 7<…>. “
La Suprema Corte sulla scia dell’insegnamento della Corte Costituzionale, recepito dalla giurisprudenza civile, con la sentenza n. 38618 del 19 settembre 2019, in commento, ha ritenuto, pertanto, di dovere modificare il tradizionale orientamento.
Si sottolinea in sentenza: “La giurisprudenza finora ha privilegiato le esigenze di tutela della sicurezza stradale, a fronte dell’interesse dell’imputato ad ottenere tutela in presenza di accertamenti automatici effettuati da apparecchi quali gli autovelox o gli etilometri, dei quali spesso le amministrazioni non sono in grado di dimostrare l’aggiornata taratura della funzionalità.
L’orientamento tradizionale di ritenere sufficiente l’omologazione dell’apparecchio ha comportato il gravoso onere per il privato, sia in sede civile sia penale, di dimostrare la sussistenza, nel caso concreto, di un difetto di funzionamento. La prova del malfunzionamento dell’etilometro appare tanto più difficoltosa in considerazione della disponibilità dell’apparecchio in capo alla pubblica amministrazione.
Nella pronuncia sopra citata la Corte costituzionale enunciava un canone di razionalità pratica, sottolineando la soggezione di qualsiasi apparecchio, specie se elettronico, ad invecchiamento e a variazioni delle sue caratteristiche, per cui la mancata sottoposizione a manutenzione appariva intrinsecamente irragionevole, incidendo l’obsolescenza e il deterioramento sull’affidabilità delle apparecchiature in un settore di particolare rilevanza sociale, quale quello della sicurezza stradale.
Il giudice delle leggi, quindi, mostrava di comprendere l’esigenza di non ritenere sufficiente la sola omologazione dell’apparecchio utilizzato e di considerare indispensabile la (prova della) revisione del medesimo.
Tali condivisibili principi erano affermati dalla citata giurisprudenza costituzionale in tema di autovelox ed estesi dalla giurisprudenza civile in relazione all’etilometro, per cui non v’è ragione di non riconoscerli anche in sede penale.
In caso contrario, si creerebbe un’evidente ed irragionevole distonia – e in particolare tra i settori civile, amministrativo e penale – nella parte in cui l’onere della prova del funzionamento dell’etilometro spetterebbe alla pubblica amministrazione in sede civile e all’imputato in sede penale.
Addirittura ne deriverebbe la conseguenza irrazionale – incidente anche sul profilo sostanziale – secondo cui una medesima fattispecie potrebbe costituire solo illecito penale e non illecito amministrativo, in totale contrasto col principio di sussidiarietà del diritto penale e, cioè, dell’utilizzazione dello strumento penale solo quale extrema ratio, in caso di insufficienza degli strumenti sanzionatori previsti dagli altri rami dell’ordinamento.
Sotto il profilo processuale, il principio qui sopra affermato è conforme a quello di carattere generale secondo cui l’accusa deve provare i fatti costitutivi del fatto reato, mentre spetta all’imputato dimostrare quelli estintivi o modificativi di una determinata situazione, rilevanti per il diritto. La parte che allega un fatto (nella specie: superamento del tasso alcolemico), affermandolo come storicamente avvenuto, deve introdurre nel processo elementi di prova idonei a dimostrarne la veridicità. L’onere della prova dell’imputato di dimostrare il contrario può sorgere solo in conseguenza del reale ed effettivo accertamento da parte del pubblico ministero del regolare funzionamento e dell’espletamento delle dovute verifiche dell’etilometro“.
Per queste ragioni i Gudici del Palazzaccio hanno annullato la sentenza impugnata e rinviato per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
In questa continua rincorsa giurisprudenziale, correlata ad una praticità giusta e ad una immediata applicazione delle leggi, sempre chapeau alla Suprema Corte.
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