Permessi premio: illegittimo il termine di 24 ore per il reclamo al Tribunale di Sorveglianza
Corte Cost., 12 giugno 2020, n. 113
La Corte Costituzionale, investita della questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 30-bis, comma 3, o.p. – sollevata dalla Prima Sezione della Corte di Cassazione – ha ritenuto che la norma censurata sia costituzionalmente illegittima in relazione allo stringente termine previsto per le parti ai fini della proposizione del reclamo dinanzi al Tribunale di Sorveglianza del provvedimento di rigetto del permesso premio da parte del Magistrato di Sorveglleggeianza.
La questione sorge dalla dichiarazione di inammissibilità del reclamo formulata dal Tribunale di Sorveglianza di Bologna avverso un reclamo tardivamente proposto – ossia oltre il termine delle 24 ore previsto dall’art. 30, comma 3, applicabile nonostante sia primariamente dettato per i permessi ex art. 30 o.p., ossia i cosiddetti permessi “di necessità”, in forza del richiamo di cui all’art. 30-ter, comma 7, o.p. – avverso l’ordinanza di rigetto del permesso premio da parte del Magistrato di Sorveglianza.
La Sezione rimettente richiama, nell’ordinanza di rimessione degli atti, un importante precedente dei giudici delle leggi (Corte Cost., sentenza n. 235/1996) e procedere analiticamente evidenziano la contrarietà del termine di 24 ore con gli articoli 3, 24, 27 e 111 della Costituzione.
In relazione all’art. 3, viene in rilievo il centralissimo principio di ragionevolezza: nel giudizio di non manifesta infondatezza il giudice a quo osserva di come l’equiparazione dei termini per proporre reclamo contrasti con la profonda diversità che permea dal punto di vista teleologico i permessi di necessità e i permessi premio – posto che soltanto i secondi realizzano, propriamente, la funzione rieducativa che i Costituenti hanno affidato alla sanzione penale[1]. La brevità del termine ostacolerebbe, altresì, l’esigenza di un “effettivo e serio controllo sul provvedimento adottato dal Magistrato di sorveglianza relativo ad uno strumento cruciale ai fini del trattamento”: per tale motivo si promuove la questione di legittimità costituzionale anche per contrasto con l’art. 27 Cost.
Viene in rilievo anche la contrarietà con il diritto di difesa (art. 24 Cost.), laddove il termine stabilito dal comma 3 dell’art. 30-bis non opera soltanto ai fini della proposizione del mezzo di gravame, ma altresì ai fini della formulazione dei motivi di impugnazione – mentre originariamente, sottolineano i giudici di legittimità, il termine operava solo ai fini della proposizione del gravame, stabilito questo con riserva di presentazione dei motivi. Da tale disciplina ne deriverebbe una contrazione sproporzionata del diritto di difesa.
Ultimo parametro richiamato è quello relativo al contraddittorio in sede processuale: mentre per la parte pubblica il termine di 24 ore sarebbe concretamente sufficiente per articolare il reclamo, tale termine non lo sarebbe in concreto per la parte privata, che presumibilmente necessita dell’assistenza di un difensore. Pertanto, le singole operazioni di comunicazione del rigetto, reperibilità del difensore, assistenza legale, formalizzazione dell’impugnazione e presentazione della stessa sarebbero strutturalmente incompatibili con il termine richiesto dalla legge.
Infine, la Sezione rimettente non si limita ad individuare i profili di illegittimità da sottoporre al vaglio della Corte: ma altresì offre alla Consulta lo spunto per procedere con una sentenza additiva, così da evitare un vuoto normativo in una materia tanto delicata quale quella penitenziaria. I giudici rimettenti pongono l’attenzione, infatti, sull’applicabilità del termine di 15 giorni dalla comunicazione del rigetto di cui all’art. 35-bis – norma che disciplina in generale il reclamo “giurisdizionale” nei procedimenti di sorveglianza.
I giudici costituzionali accolgono le questioni sollevate con riferimento agli articoli 3, 24 e 27 Cost – ritenendo la contrarietà con l’art. 111 Cost. assorbita nella valutazione relativa all’art. 24 Cost. A giudizio della Consulta, il termine di 24 ore era stato già sospettato di essere non ragionevole nella sentenza richiamata dai giudici rimettenti: ma il monito formulato dalla Corte al legislatore, di intervenire introducendo un nuovo termine che contemperasse “la tutela del diritto di difesa con le esigenze di speditezza della procedura” è rimasto inascoltato.
La Corte sottolinea la profonda diversità che caratterizza le due tipologie di permessi: diversità strutturale che, letta alla luce del principio di rieducazione della sanzione penale, si manifesta come irragionevolezza dell’equiparazione dei termini. Se il termine di 24 ore è ragionevole per i permessi di necessità, concedibili a fronte di situazioni caratterizzate dalla “imminenza del pericolo di vita” o, in alternativa, dalla “gravità dell’evento familiare” che legittima l’eccezionale concessione del permesso, è invece del tutto sproporzionato rispetto alle finalità perseguite mediante i permessi-premio: finalità prettamente risocializzanti e, in non pochi casi, specificatamente mirate a “saggiare” la condotta del reo in vista di benefici penitenziari di maggior respiro. La Corte parla infatti della essenziale “funzione pedagogico-propulsiva” perseguita mediante i permessi premio: una funzione che mal si adegua alla brevità del termine previsto ad oggi anche nel caso di reclamo in materia di permessi premio. Brevità che dunque mortifica la prevalente esigenza di valutare possibilità di percorsi extramurari, laddove vi siano i presupposti di ammissibilità della richiesta.
La Corte, infine, accoglie l’invito dei giudici rimettenti relativo alla possibilità di procedere con una sentenza additiva: dichiarato costituzionalmente illegittimo il termine di 24 ore (art. 30-bis, comma 3), il vulnus creatosi dall’efficacia abrogativa della sentenza di accoglimento è evitato mediante la diretta applicazione del termine di 15 giorni di cui all’art. 35-bis o.p. (che, oltretutto, la Corte sottolinea essere identico al termine entro il quale è ammessa impugnazione avverso i provvedimenti camerali, ex art. 585, comma 1, lettera a).
[1] Vi è da sottolineare, come richiamato nella motivazione della Corte, che originariamente la legge n. 354/1975 prevedeva il solo strumento dei permessi di necessità: sarà la legge Gozzini (l. 663/1986) a introdurre ex novo l’istituto dei permessi premio nel quadro di una sistematica riforma della materia penitenziaria.
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