Pignoramento della pensione o dello stipendio e sopravvenuto fallimento del debitore

Pignoramento della pensione o dello stipendio e sopravvenuto fallimento del debitore

Sommario: Premessa – 1. Principi generali – 2. La fattispecie del pignoramento della pensione o dello stipendio in caso di sopravvenuto fallimento del debitore – 3. Conseguenze

 

Premessa

Con il presente contributo si intende fornire una ricostruzione giuridica ed altresi’ dare una soluzione ermeneutica con riguardo alla fattispecie del pignoramento della pensione o stipendio del debitore e del sopravvenuto fallimento di quest’ultimo.

Giova premettere che la questione è attuale, visto che la legge fallimentare è ancora vigente fintanto che non entrerà in vigore il codice della crisi di impresa (articolo 5, D.L. 23/2020 rubricato “Differimento dell’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14”, che stabilisce:

«1. All’articolo 389 del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. Il presente decreto entra in vigore il 1 settembre 2021, salvo quanto previsto al comma 2.»»).

La situazione posta alla disamina è particolarmente problematica, posto che nella stessa prendono parte più soggetti: il debitore esecutato poi fallito, il creditore procedente, il terzo pignorato (debito debitoris) nonchè la massa fallimentare nella persona del curatore.

Dapprima si fornirà una panoramica generale sui principi generali che presidiano la responsabilità patrimoniale del debitore, nonché di quelli che riguardano il fallimento e l’esecuzione individuale.

Dopodichè si analizzeranno le diverse soluzioni prospettabili, in base alle possibili motivazioni, e si forniranno soluzioni interpretative.

Infine ci si interrogherà circa i risvolti processuali della fattispecie in esame.

1. Principi generali

Con riguardo la responsabilità patrimoniale del debitore, è principio generale del nostro sistema  giuridico quello di cui è espressione l’articolo 2470 cod. civ. a mente del quale Il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.

In altre parole tutto il patrimonio del debitore costituisce la cosiddetta garanzia generica del creditore, tuttavia, se un determinato bene del debitore esce dal suddetto patrimonio (come, per esempio, in caso di vendita), il creditore non avrà più il diritto di sottoporlo ad azione esecutiva (salvo l’esperimento di eventuali azioni revocatorie qualora ne sussistano i presupposti).

Di regola, ciascun soggetto ha a disposizione un solo patrimonio, sul quale possono rifarsi tutti ed indistintamente i suoi creditori. E’ questo il principio della par condicio creditorum . E’ da precisare che detto principio sia da intendersi non in maniera assoluta ma relativa, nel senso che il legislatore stabilisce la parità di condizioni non tra tutti i creditori in astratto, ma tra creditori appartenenti la medesima categoria. Sono quindi rispettati eventuali privilegi o garanzie dei singoli creditori.

Detto ciò, vi è una rilevante differenza nel modo in cui tale par condicio si declina nell’ambito dell’esecuzione individuale ed in quella concorsuale del fallimento.

Nell’ambito dell’esecuzione individuale l’iniziativa di soddisfarsi sul patrimonio del debitore  viene rimessa alla diligenza del singolo creditore. Pertanto sarà l’impulso del singolo che metterà in moto l’esecuzione individuale al termine della quale il creditore riceverà, sottoforma di somma di denaro (o mediante assegnazione del bene) in forma coattiva l’adempimento della sua obbligazione, fino a concorrenza delle sue ragioni.

La par condicio in tali casi viene rispettata prevedendo altresì la possibilità di  altri creditori di intervenire nel pignoramento in corso o di procedere ad un autonomo pignoramento.

In caso di fallimento del debitore, invece, si instaura una procedura di massa, sulla quale concorrono tutti i creditori (conosciuti) al momento del fallimento. Detta concorsualità viene garantita dalla figura del curatore fallimentare, il quale si può inquadrare come titolare di un ufficio di diritto pubblico pubblico, in quanto la sua figura è posta a presidio di interessi generali[1], quali la corretta gestione dei beni del fallito ai fini della liquidazione, ed al riparto del ricavato tra i creditori. Anche in tale caso, l’uguaglianza tra creditori è da intendersi in maniera relativa, essendo il riparto del curatore vincolato dalla qualifica del creditore come chirografario o privilegiato.

La natura “pubblicistica” della procedura concorsuale viene revocata in dubbio dal sistema designato del legislatore fallimentare nel quale sono presenti organi di supervisione e di garanzia ulteriori, quali il Comitato dei creditori, il Giudice Delegato ed il Tribunale.

Vista la natura pubblicistica, nonché la finalità del fallimento, che è quella di soddisfare tutti i creditori del fallito, si spiega la portata ed il significato di alcune norme emblematiche, che riportano il sistema a coerenza, cercando di coordinare la pendenza di procedure esecutive individuali, nonché la sorte dei pagamenti successivi alla data del fallimento.

Ai fini dell’indagine in oggetto, si segnala la norma di cui all’articolo 51 legge fallimentare[2], nonchè quella espressa dall’articolo 44[3].

Tali norme sono espressive del principio secondo cui alla data di fallimento si cristallizzano e sono inefficaci rispetto al fallimento determinate situazioni che possono portare al depauperamento del patrimonio del debitore, e quindi ad un possibile pregiudizio per le ragioni della massa.

2. La fattispecie del pignoramento della pensione o dello stipendio in caso di sopravvenuto fallimento del debitore

Giova premettere come il pignoramento della pensione o dello stipendio sia una delle possibili modalità in cui si declina il pignoramento presso terzi. Infatti in tale caso si pignora presso il datore di lavoro o l’ente pensionistico (debitor debitoris) la somma dovuta dal debitore.

Nel caso in cui sia stata effettuato il pignoramento della pensione o dello stipendio a norma dell’art. 543 cpc, e l’azione esecutiva sia conclusa con l’ordinanza di assegnazione del giudice ex art. 553 cpc. Occorre chiedersi quale sia la sorte in caso di sopravvenuto fallimento del debitore.

Si potrebbe dire che una volta assegnato il credito con l’ordinanza conclusiva dell’esecuzione, la situazione sia definita, anche per gli effetti fallimentari.

In altre parole, facendo un parallelismo con gli altri tipi di esecuzione, al pari dell’ordinanza di distribuzione delle somme o di assegnazione dell’immobile , una volta attribuito il bene al creditore (sia esso un bene, una somma di denaro o un credito da corrispondersi in modo continuativo) la procedura debba ritenersi conclusa e definita.

Si sarebbe quindi fuori dalla portata dell‘articolo 51 della legge fallimentare, in quanto il divieto ivi espresso farebbe riferimento a procedure individuali ancora in essere.

Altresi’, si potrebbe ritenere che non si applichi nemmeno l’articolo 44 della legge fallimentare, il quale farebbe riferimento all’inefficacia dei soli a pagamenti successivi al fallimento. Nel caso in esame, invero, si potrebbe ritenere, in primo luogo, che non si è in presenza di un pagamento, ma di un’assegnazione di un credito futuro e continuativo effettuato sulla base di un ordine coatto del giudice, in secondo luogo, non vi sarebbe nemmeno l’anteriorità del pagamento rispetto alla procedura concorsuale, posto che l’ordinanza di assegnazione è antecedente rispetto alla data di dichiarazione del fallimento.

Tuttavia è da notarsi come una tale ricostruzione ermeneutica vada incontro a gravi inconvenienti  sistematici.

In primo luogo il creditore assegnatario dello stipendio o della pensione avrebbe difficoltà a quantificare il suo credito in sede di domanda di insinuazione, posto che la sua variabilità – dovuta al periodico accredito della somma pignorata – non comporterebbe la quantificazione puntuale del suo credito ai sensi dell‘articolo 93 legge fallimentare, con conseguente verosimile inammissibilità del credito.

In secondo luogo, le norme di cui agli articoli 51 e 44 della legge fallimentare sembrano essere espressive, come già ricordato, del generale principio di cristallizzazione delle posizioni giuridiche incompatibili con le finalità liquidatorie del fallimento.

Alla luce di ciò, anche ove non si volesse far rientrare la fattispecie in oggetto nella portata letterale delle due norme, vi sarebbe tuttavia un principio generale della materia che rende necessaria la cristallizzazione e l’inefficacia di situazioni in contrasto con le ragioni del  fallimento.

In realtà, vi è di più. A parere di chi scrive, la fattispecie in oggetto dovrebbe farsi rientrare nella portata letterale dell’articolo 44 legge fallmentare che, con formula generale, prevede l’inefficacia dei pagamenti effettuati successivamente al fallimento, non distinguendo l’ipotesi “normale” da quella “forzosa” nè tanto meno l’ipotesi che il pagamento sia effettuato dal fallito o da altri per suo conto.

Detta tesi trova, seppur sporadiche, conferme nella giurisprudenza[4], la quale ritiene che il pagamento che il terzo “assegnato” abbia eseguito dopo la dichiarazione di fallimento incontra la sanzione di inefficacia prevista dall’art 44 legge fallimentare.

3. Conseguenze

Ricondotta cosi la fattispecie nell’ambito applicativo sostanzialistico dell‘articolo 44 legge fallimentare, occorre ora chiedersi come dovrebbe agire il curatore qualora vengano posti in essere pagamenti al singolo creditore in base all’ordinanza di assegnazione ex art. 553 cpc.

Si deve ritenere che, in tali casi, che l’inefficacia di tali pagamenti comportino che il debitore non è liberato dalla sua obbligazione ed è pertanto tenuto a rinnovare l ‘adempimento nei confronti della curatela.[5]

La situazione si complica nel caso in esame dove i pagamenti non sono effettuati dal debitore, ma dal terzo pignorato.

In tali casi potrebbero prospettarsi le seguenti soluzioni.

Anzitutto potrebbe estendersi il principio sopra riportato, arrivando alla conclusione che anche il debitor debitoris sia tenuto a rinnovare l’adempimento nei confronti della curatela, chiedendo eventualmente al singolo creditore la restituzione dell’indebito soggettivo ex art 2036 cod. civ. o, in via residuale, esperendo l’azione per ingiustificato arricchimento ex art 2041 cod. civ.

Del resto, in giurisprudenza[6] si ritiene che gli addebiti effettuati su conti correnti postali dopo la pubblicazione della sentenza di fallimento, non derogano ai principi generali, con conseguente applicabilità dell’inefficacia di cui all’ art. 44 legge fallimentare.

Altra soluzione prospettabile , sarebbe quella di ritenere che sia il curatore fallimentare onerato di procedere con l’esperimento dell’azione di restituzione dell’indebito, senza che sussista in capo al debitor debitoris un obbligo di rinnovare l’adempimento.

Si ritiene a parere di chi scrive più consona la prima soluzione prospettata, posto che vige un generale principio di presunzione di conoscenza del fallimento dalla data di dichiarazione[7]. Inoltre, una tale interpretazione è funzionale alle esigenze liquidatorie del fallimento ed è più garantistica delle ragioni della massa, nonchè conforme ai principi di economia dei mezzi giuridici.

 

 


[1] Cassazione 13 marzo 2015, n. 5094.
[2] A mente del quale: “Salvo diversa disposizione della legge, dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durante il fallimento, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento.”
[3] A mente del quale: “ Tutti gli atti compiuti dal fallito e i pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento sono inefficaci rispetto ai creditori.
Sono egualmente inefficaci i pagamenti ricevuti dal fallito dopo la sentenza dichiarativa di fallimento.
Fermo quanto previsto dall’articolo 42, secondo comma, sono acquisite al fallimento tutte le utilità che il fallito consegue nel corso della procedura per effetto degli atti di cui al primo e secondo comma.”
[4] Cassazione 14 febbraio 2000 n. 1611 in Legge fallimentare Formulario commentato, a cura di Massimo Fabiani, Giovanni Battista Nardecchia, Ipsoa, Milano 2014, p. 443. Si veda anche Cassazione 6 aprile 2005 n. 7093, in legge fallimentare formulario commentato, cit., p.443, secondo cui, a seguito del provvedimento del giudice dell’esecuzione, con il quale viene disposta l’assegnazione di una somma di denaro al creditore procedente, la proprietà di detta somma rimane al debitore fino a quando non avvenga in concreto il passaggio nella sfera patrimoniale del creditore. Pertanto, qualora il debitore venga dichiarato fallito prima che sia avvenuto il materiale pagamento della somma assegnata, rimane precluso al creditore pretenderne la consegna e soddisfare cosi il proprio credito al di fuori della procedura fallimentare, mentre un eventuale pagamento ricevuto successivamente alla declaratoria di fallimento sarebbe inefficace, ai sensi dell’articolo 44., L. Fall., nei confronti del fallimento.
[5] Cassazione 17 dicembre 2003 n. 19313, in Legge Fallimentare, cit., p.442.
[6] Cassazione 29 marzo 2005 n . 6624, in Legge Fallimentare, cit.,p. 442.
[7] Tra le tante, Cassazione 11 gennaio 2019 n. 22133.

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