Pluralità di offese ed unicità dell’azione: la Cassazione esamina l’art. 337 c.p.
Le tendenze della giurisprudenza negli ultimi anni sembrano procedere verso due direzioni. Da un lato la necessità di rinvenire il fondamento di ogni interpretazione legislativa nel principio di legalità, il quale pur essendo stato negli ultimi anni oggetto di costanti arricchimenti per effetto anche del processo di integrazione europea, coincide nel suo nucleo essenziale ed immediato con il dato positivo, unico argine e rimedio a possibili derive autoritarie.
Dall’altro, la ratio legis, e cioè lo scopo per cui la norma è stata emanata a cui è riconosciuto il ruolo di chiave idonea a superare possibili antinomie del sistema normativo.
La sentenza della Corte di Suprema di Cassazione n.40981/2018 sembra essere esplicazione di detto processo evolutivo in quanto coniuga salde basi teoriche con valori supremi in chiave funzionale.
In detta ottica deve essere letta la questione di diritto contenuta nella ordinanza di remissione “se, in tema di resistenza a pubblico ufficiale, ex at. 337 c.p., la condotta di chi, con una sola azione, usa violenza o minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio., mentre compiono un atto del loro ufficio o servizio, configuri un unico reato ovvero un concorso formale di reati o un reato continuato”.
La vicenda è relativa ai crimini commessi nei confronti di più pubblici ufficiali in un unico contesto temporale, attraverso azioni poste ad una ravvicinata distanza.
Il dubbio nasce da una tormentata lettura delle componenti strutturali contenute nell’art. 337 c.p. che avevano visto un contrasto accesso anche all’interno delle stesse sezioni semplici della Cassazione in un numero vistoso di pronunce.
L’individuazione della corretta portata della norma rileva anche ai fini sanzionatori potendo consentire l’irrogazione di un trattamento punitivo più o meno ampio a seconda della unicità o pluralità che si attribuisca alle azioni criminali contestuali.
Ai fini, pertanto, di una soluzione conforme a diritto, la Cassazione traccia un iter argomentativo ripercorrendo la natura dell’art. 81 c.p., ed innestando sull’esito interpretativo raggiunto la disamina dell’art. 337 c.p. secondo un ragionamento di tipo deduttivo, teso all’analisi della cornice generale ed al successivo passaggio alle peculiarità delle fattispecie di parte speciale.
Così va intesa l’indagine tesa a definire i confini del concorso formale di reati identificato tanto nella sola azione violativa di diverse norme di legge (concorso formale omogeneo di reati) quanto nella circostanza in cui con la stessa azione venga violata più volte la stessa disposizione incriminatrice (concorso eterogeneo).
Detta precisazione appare essere quanto mai opportuna soprattutto allo scopo di chiarire la natura dell’azione a cui l’ordinamento ricollega l’applicazione della disciplina unitaria.
Al riguardo ne viene ribadita una nozione onnicomprensiva diretta a racchiudere espressioni della volontà umana non solo immediate, ma anche diluite nel tempo e componenti il concetto di pluralità di atti contestuali nello spazio e nel tempo ed aventi un fine unico.
Detto spunto appare di notevole interesse poiché rappresenta il punto di partenza per ulteriori considerazioni in tema di irrogazione della pena in concreto.
Vengono infatti enucleati gli indici esteriori cui l’autorità giudiziaria è tenuta a conformarsi attraverso una integrazione dei più generici criteri contenuti nell’art. 133 c.p.
Il piano probatorio diviene utile per la verifica in concreto della sussistenza del concorso formale omogeneo, il cui incasellamento viene affidato al giudice avente un ruolo centrale in chiave ricostruttiva.
Così viene imposta una frammentazione della condotta in tante porzioni quanti sono gli eventi giuridici, sotto il piano oggettivo. Soggettivamente, invece, secondo un approdo già raggiunto in tema di disegno criminoso, con cui le affinità cessano sul piano naturalstico, si esige una solida impalcatura volitiva di tutte le particelle costituenti il fatto complessivo.
Una volta chiarito il prius logico giuridico, l’enucleazione della portata applicativa dell’art. 337 ne diviene diretta conseguenza.
Di essa vengono dapprima esaminate le varie tesi dirette ad accentuarne aspetti politico-criminali o subiettivi, e poi la lettura ritenuta meritevole di accoglimento utilizzando come criterio di indagine il dato fattuale.
Vi è, infatti, chi accentua della fattispecie legale la componente personalistica attribuendo allo iato temporale un ruolo meramente ancillare e complementare.
Su dette basi, si afferma che la violenza o minaccia, adoperate nel medesimo contesto nei confronti di più pubblici ufficiali, configurano tanti reati di resistenza quanti sono i soggetti coinvolti.
L’assunto sposa quella parte della dottrina penalistica diretta a valorizzare un principio di offensività fondato in via esclusiva sul fatto e sulla considerazione centrale ed unitaria dell’interesse tutelato dalla norma incriminatrice.
Pur essendo infatti il regolare funzionamento della Pubblica Amministrazione violato attraverso la perpetrazione dell’illecito, esso è scomponibile in una serie di offese corrispondenti alle aggressioni effettuate ai danni dei singoli pubblici ufficiali intervenuti.
Su altro versante, si registra un orientamento più recente (che ha come sentenza già recenti Sez. 6, n. 37727/2014, Pastore; Sez. 6, n.39341 del 12/07/2017, Damiani; Sez. 6, n. 52725 del 28/09/2017 Diop) che è maggiormente attento alla componente attizia e cioè a ritenere dotata di valore secondario o recessivo l’integrità psicofisica dei soggetti intervenuti, valutabile alla stregua di un elemento fattuale e non di indice decisivo ai fini del corretto inquadramento della vicenda obiettiva.
Unico, infatti, è l’intento criminale esploso in una sola violazione del regolare andamento della Pubblica Amministrazione, veicolato dall’art. 337 c.p.
Si pone attenzione all’evento giuridico finale che resta unitario nonostante i numerosi impedimenti posti in essere nei confronti dei pubblici ufficiali deputati all’esercizio di pubbliche funzioni o pubblici servizi.
Il Collegio, poi, si incentra sulla individuazione degli elementi strutturali della norma in esame, attraverso un lettura di carattere sistematico tesa ad attribuire anche alla intitolazione codicistica una portata chiarificatrice.
Viene adottata una impostazione metodologica però contraria a quella degli orientamenti controversi.
Il punto di partenza viene infatti fatto coincidere non con l’identificazione del bene giuridico che attiene all’oggetto giudico di tutela, ma con la reale perimetrazione della condotta tipica del delitto scrutinato. In questo modo si evitano contrasti con i principi di tassatività e d materialità nonché numerosi vizi logici.
Così, l’elemento oggettivo viene individuato nell’uso della violenza e della minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale ( o a un incaricato di pubblico servizio o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza) mentre compie un atto del suo ufficio.
Come sottolineato dagli stessi giudici, si tratta di una condotta di tipo oppositivo che si connota per la sua esplicazione al momento stesso dell’esercizio della funzione per la presenza del dolo di ostacolare il soggetto passivo nel compimento dei propri doveri istituzionali.
In coerenza con le premesse, viene passato in rassegna il bene giuridico che, come già affermato negli orientamenti oggetto di composizione, si identifica nel regolare funzionamento del pubblico potere.
Il fine però tutelato dal legislatore si arresta in detto stadio e non ammette valori concomitanti e più in particolare è da escludersi la protezione all’integrità fisica dei pubblici ufficiali.
Quest’ultima tuttavia pur non assurgendo al rango di primario valore, riveste un ruolo significativo nella integrazione della fattispecie e chiave di volta per la risoluzione del quesito prospettato.
La centralità del singolo diviene, infatti, significativa ai fini di una interpretazione teleologica dell’articolo di legge, preso in considerazione poiché veicolo attraverso cui la volontà della pubblica amministrazione trova una sua estrinsecazione nei rapporti esterni.
Si conclude, pertanto, per ritenere applicabile l’art. 81 c.p. comma 1 alla condotta di chi usa violenza o minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali mentre esercitano un atto del proprio ufficio.
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