Plurimi contagi da HIV e difficile configurabilità del reato di epidemia dolosa

Plurimi contagi da HIV e difficile configurabilità del reato di epidemia dolosa

La giurisprudenza si è di rado pronunciata in merito al reato di epidemia dolosa di cui all’articolo 438 del codice penale, se non fino al caso di Talluto Valentino, classe 1984, meglio conosciuto come “l’untore di Roma” che ha volontariamente trasmesso il virus dell’HIV, contagiando in tal modo almeno 57 vittime, sia direttamente che indirettamente.

Il giovane trentaseienne è stato condannato per aver dolosamente infettato con il virus dell’immunodeficienza umana un elevato numero di donne, nonché anche i rispettivi compagni, ed altresì un bambino di 8 mesi nato da una delle vittime, adottando una strategia perlopiù sempre uguale con tutte le contagiate ovverosia consumando rapporti sessuali non protetti e tacendo sulla sua condizione di sieropositività, scoperta nell’anno 2006.

In data 17 novembre 2014 una delle donne risultate contagiate dal soggetto in questione presentava la prima denuncia-querela nella quale indicava, come colpevole per la trasmissione del virus dell’HIV, Talluto Valentino. La donna si sarebbe in realtà accorta delle condizioni di salute pressoché precarie dell’uomo poiché lo stesso le avrebbe inviato un certificato medico palesemente falso all’interno del quale si attestava la negatività del soggetto rispetto al virus dell’HIV. Proprio dal coraggio della “prima” donna partirono le indagini accurate sulla vita di Talluto e da lì si scoprì anche il vastissimo numero di vittime contagiate volontariamente durante il corso degli anni.[1]

Brevemente, la questione dell’”untore seriale per contagio da HIV” si è conclusa con la condanna, da parte della Corte d’Assise d’Appello di Roma, a 24 anni di reclusione nel processo bis (come già previsto in primo grado) per una fattispecie, però, differente da quella che ci si aspettava, prevista e sancita ex articolo 438 del codice penale (rubricato “Epidemia”).

La decisione ivi richiamata, in merito alla pena, è stata il risultato di un giudizio della Corte di Cassazione la quale, dopo la conferma della penale responsabilità dell’imputato Talluto Valentino e della condanna ad anni 22 di reclusione stabilita in appello, disponeva a carico dell’imputato un processo di appello-bis, restituendo gli atti ad altra sezione della Corte di Assise di Appello, al fine di rideterminare la pena in senso sfavorevole al reo, chiedendo altresì il riesame di quattro casi di vittime contagiate rispetto ai quali l’imputato era stato assolto.

Orbene, secondo quanto sancito dall’articolo 438 del codice penale “Chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l’ergastolo. […][2]. L’articolo in questione analizza e punisce una fattispecie di estrema gravità, idonea a compromettere la salute pubblica, ossia tutte quelle condizioni igieniche e di integrità fisica poste in essere appositamente per evitare la diffusione di germi patogeni. L’ordinamento, alla luce di quanto succintamente esposto, punisce la fattispecie delittuosa pocanzi analizzata con la più drastica sanzione possibile: l’ergastolo, applicato sia alla forma tipica che all’aggravata del reato in questione.

La cosa che ci si chiede è, appunto, perché Talluto Valentino sia stato condannato per lesioni, nella specie gravissime secondo quanto disposto dagli articoli 582 e 583 del codice penale[3], e non per lo specifico reato di epidemia dolosa sancito ai sensi dell’articolo 438 precedentemente richiamato.

Più precisamente, per comprendere appieno il dibattito che intercorre attorno al rapporto tra il reato di epidemia e quello di lesioni gravissime, dovremmo ripercorrere attentamente l’intera vicenda giudiziaria.

Più precisamente, nel 2017, Talluto Valentino veniva condannato dalla Corte d’Assise di Roma a 24 anni di reclusione poiché colpevole del reato di lesioni gravissime, anche se il Pg Matone Simonetta chiedeva invece la pena di anni 30 di reclusione poiché per quest’ultima in primis il Talluto aveva posto in essere “un vero e proprio attentato alla salute pubblica” ed anche “un’epidemia scientemente provocata” ed in secundis poiché il reato in questione era in realtà quello di epidemia e non di lesioni gravissime. La qualificazione del Pg fu però esclusa.

L’anno successivo fu invece la Corte d’Assise d’Appello a riesaminare il caso. In primo luogo, l’imputato Talluto Valentino venne assolto per non aver commesso il fatto nei confronti di quattro donne ed altresì la pena venne ridotta ad anni 22 di reclusione per lesioni gravissime commesse con dolo eventuale. Come anche per il giudizio del 2017, la Corte d’Assise d’Appello ritenne anch’essa che non potesse configurarsi il reato di epidemia dolosa.

Per ultimo, nell’anno 2019 la Suprema Corte di Cassazione ribadì la condanna ad anni 22 di reclusione per Talluto Valentino ritenendolo responsabile per il reato di lesioni gravissime ed inoltre venne disposto un nuovo giudizio d’Appello-bis, come richiamato in precedenza, per poter riesaminare altri quattro casi di contagio.

Secondo la Corte d’Assise d’Appello, non poteva trattarsi di epidemia largamente diffusa dato che il Talluto Valentino non sarebbe stato in realtà il “possessore” di germi patogeni, bensì un mero portatore dal punto di vista fisico. Con riguardo alle conclusioni della Corte d’Assise d’Appello si è pronunciata altresì la Suprema Corte di Cassazione asserendo che, nel caso di specie, le ragioni per le quali non potesse essere configurato lo specifico delitto di epidemia dolosa ma bensì quello di lesioni gravissime sarebbero state le seguenti ovverosia che “Quel che difetta nel caso in esame è proprio l’evento tipico dell’epidemia, che si connota, come hanno precisato le Sezioni unite civili della Corte di Cassazione, per diffusività incontrollabile all’interno di un numero rilevante di soggetti e quindi per una malattia contagiosa dal rapido sviluppo ed autonomo entro un numero indeterminato di soggetti e per una durata cronologicamente limitata […]. L’imputato contagiò un numero di persone, per quanto cospicuo, certo non ingente e ciò fece in un tempo molto ampio, in un arco di ben nove anni: entrambi gli aspetti rendono il fatto estraneo alla descrizione tipizzante appena prima illustrata.

L’ampiezza del dato temporale in cui si è verificato il contagio, in uno col fatto che un altrettanto cospicuo numero di donne, che pure ebbero rapporti sessuali non protetti con l’imputato, non furono infettate, militano nel senso della carenza, nella vicenda in esame, della connotazione fondamentale del fenomeno epidemico, che giova a qualificare la fattispecie in termini di reato di pericolo concreto per l’incolumità pubblica, ossia la facile trasmissibilità della malattia ad una cerchia ancora più ampia di persone.” (Cassazione penale, sez. I, 26/11/2019, n. 48014)[4].

Inoltre, essendo l’epidemia un reato di pericolo, esso prevede come presupposto il fatto che ci sia un rischio concreto di una diffusione del contagio impossibile da controllare, senza considerare la mole dal punto di vista numerico degli infettati bensì la sola ipotetica potenzialità di diffusione indeterminata del virus.

Difatti, secondo quanto ribadito anche dalla più recente giurisprudenza (si veda Cass. Pen., Sez. IV, 12 dicembre 2017, n. 9133)[5], il reato di epidemia si caratterizzerebbe sia per un evento di danno che per uno di pericolo considerando che l’evento di danno concerne la manifestazione del virus per via dei cosiddetti germi patogeni e l’evento di pericolo è invece rappresentato dalla conseguente diffusione del virus ad altri soggetti.

Invero, nella questione di Talluto Valentino, ciò che non risulta sussistere sarebbe proprio “l’evento tipico dell’epidemia, che si connota, come hanno precisato le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, per diffusività incontrollabile all’interno di un numero rilevante di soggetti e quindi per una malattia contagiosa dal rapido sviluppo ed autonomo entro un numero indeterminato di soggetti e per una durata cronologicamente illimitata (Sez. Un., Sent. n. 576 del 11-01-2008)[6].

Nel caso di specie Talluto avrebbe certamente infettato volontariamente una moltitudine di soggetti ma non tanti da poter creare una vera e propria epidemia. Inoltre, gli atti posti in essere dal reo risultano altresì essere avvenuti in un lasso di tempo di ben nove anni. Proprio per via del lungo arco temporale durante il quale vennero infettate le donne, e per il fatto che non tutti i soggetti che ebbero rapporti sessuali con Talluto furono infettati, emerge ancor più chiaramente come la fattispecie delittuosa dell’epidemia sia carente dei propri elementi costitutivi.

Invero, sembrerebbe assodato che la condotta del reo sia classificabile nel novero delle lesioni personali, nello specifico gravissime, avendo il soggetto agente cagionato dolosamente alle vittime lesioni personali, tali da far derivare una malattia del corpo o della mente, ex articolo 582 del codice penale di natura gravissime poiché, secondo quanti previsto dall’articolo 583 del codice penale, dalla condotta di Talluto è derivata una malattia certamente insanabile secondo il punto di vista medico scientifico.

In ossequio a quanto succintamente esposto sino ad ora, inoltre, nella fattispecie delittuosa dell’epidemia il bene da tutelare è la salute pubblica intesa quale benessere psico-fisico della collettività mentre in quella delle lesioni personali gravissime ex articolo 583 del codice penale ciò che bisogna salvaguardare è proprio l’incolumità individuale e personale della singola vittima (in tal senso Cass., Sez. I, sent. 30 ottobre 2019 (dep. 26 novembre 2019), n. 48014, Pres. Di Tomassi, est. Santalucia, imp. V.T.)[7].

L’appello-bis è stato quindi in grado di approfondire la posizione di Talluto Valentino, disponendo anche una riforma della pena detentiva in senso sfavorevole (da anni 22 ad anni 24 di reclusione), avendo confermato la penale responsabilità del reo anche relativamente ai 4 casi che vennero riesaminati in ultima istanza.

 

 

 


[1] Come testimoniato dalla donna, assistita dall’Avv. Conti I.:
“Era il 2014 ed ero risultata positiva al test dell’HIV. Avevo due persone in mente frequentate a breve distanza – dice ripercorrendo l’inizio della storia – uno dei due ragazzi lo portai personalmente a fare il test: lo leggemmo insieme, negativo. Mi era rimasto solo Valentino, e dopo che mi inviò un certificato falso, decisi di non rimanere in silenzio e andare in procura. Dopo 6 mesi, mi dissero che ero solo la punta dell’iceberg”.
https://www.ilmessaggero.it/mind_the_gap/news/roma_denuncio_per_prima_l_untore_di_hiv_talluto_scoprii_di_essere_la_punta_di_un_iceberg-4883661.html
[2] https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-secondo/titolo-vi/capo-ii/art438.html
[3] https://www.brocardi.it/codice-penale/libro-secondo/titolo-xii/capo-i/art582.html
[4] Sentenza pronunciata dalla Corte di Cassazione, sezione prima penale, n. 48014 del 2019, decisa il 30 ottobre 2019 e depositata in cancelleria il 26 novembre 2019, sulla vicenda di Valentino Talluto.
https://www.chiarini.com/wp-content/uploads/2020/05/Epidemia-Dolosa-Sentenza-Cassazione-Valentino-Talluto.pdf
[5] Cass., Sez. IV, sent. 12 dicembre 2017 (dep. 28 febbraio 2018), n. 9133, Pres. Piccialli, Est. Tornesi
https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/upload/1078-cass91332018.pdf
[6] https://www.unibocconi.it/wps/wcm/connect/1dba10b4-bd94-40aa-bbd7-7744a33b5764/Responsabilità+medica.+Danni+da+trasfusione.pdf?MOD=AJPERES&CVID=l1GIlba
[7] https://www.sistemapenale.it/pdf_contenuti/1576693759_cass-48014-2019-contagi-plurimi-hiv-lesioni-causalita-epidemia-anonimizzata.pdf

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