PNRR, transizione verde e green public procurement
Sommario: 1. Profili introduttivi: “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” – 2. PNRR, “Italia Domani” – 2.1. Missione due: Rivoluzione verde e Transizione ecologica – 3. Conclusioni. Verso una reale transizione verde?
1. Profili introduttivi: “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”
Il Recovery and resiliency plans cioè il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza rappresenta un programma, comprendente riforme ed investimenti inerentemente specifici settori, che ciascuno Stato membro dell’Unione Europea deve predisporre e sottoporre alla verifica della Commissione europea in ragione della previsione del rispetto di dettagliati parametri prestabiliti (per esempio che i programmi di investimento siano rivolti a specifici settori di intervento quali la digitalizzazione e transizione ecologica) per accedere ai fondi del Next Generation EU[1](NGEU).
Il PNRR è un vero e proprio progetto trasformativo, in quanto le risorse messe a disposizione dell’UE sono necessarie per l’attuazione di riforme e di investimenti che rappresentano un importante opportunità di superamento di barriere storiche nonché debolezze strutturali che hanno costituito un gravoso peso allo sviluppo degli Stati membri, determinando livelli occupazionali insoddisfacenti, soprattutto per i giovani e le donne[2]. Costituisce lo strumento di risposta dei paesi dell’Eurozona per fronteggiare la crisi non solo sanitaria ma, soprattutto, economica post pandemia da Covid-19. Per far fronte alla profonda crisi causata dalla pandemia, è stato previsto lo stanziamento di 750 miliardi tra prestiti (385,8, miliardi di euro) e sovvenzioni (407,5 miliardi di euro), di cui circa il 90% destinato al “Dispositivo europeo per la ripresa e la resilienza” costituente fulcro del Next Generation EU[3]. L’iniziativa NGEU è quella di stanziare notevoli risorse verso Paesi, quali per esempio l’Italia che, pur caratterizzati da livelli di reddito pro capite in linea con la media UE, hanno sofferto drasticamente di bassa crescita economica ed elevata disoccupazione. Il meccanismo di allocazione delle risorse tra Stati membri riflette dunque non solo variabili strutturali come la popolazione, ma anche variabili contingenti come la diminuzione del PIL legato alla pandemia[4].
Sono stati individuate sei aere di intervento definiti “pilastri”, quali: la “Transizione verde”, con la previsione di riforme ed investimenti in tecnologie e capacità verdi contribuendo non solo al raggiungimento di obiettivi climatici già di interesse delle istituzioni europee ma anche obiettivi volti a promuovere la crescita sostenibile, creando posti di lavoro e preservando la sicurezza energetica; la “Trasformazione digitale”, le riforme e gli investimenti in tecnologie, infrastrutture e processi digitali aumenteranno la competitività dell’Unione a livello mondiale e contribuiranno a rendere quest’ultima più innovativa e meno dipendente grazie alla diversificazione delle principali catene di approvvigionamento. In particolare si vuole promuovere la digitalizzazione dei servizi, lo sviluppo di infrastrutture digitali e di dati ed inoltre incentivare la digitalizzazione delle PMI; la crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva, le riforme ed investimenti in tale settore sono volte ad promuovere l’imprenditorialità, l’economia sociale, lo sviluppo di infrastrutture e di trasporti sostenibili nonché l’industrializzazione e la reindustrializzazione, oltre ad attenuare l’effetto della crisi COVID-19 sull’economia; la “Coesione sociale e territoriale”, in tale settore le riforme ed investimenti previsti da ciascun Stato membro devono attivamente contribuire a combattere la povertà e ad affrontare la disoccupazione al fine di dar vita a nuovi posti di lavoro di posti e consentire l’integrazione dei gruppi più svantaggiati; in merito al pilastro della “Salute e resilienza economica, sociale e istituzionale” è conseguenza diretta della pandemia da Covid-19, infatti, l’obiettivo perseguito dall’UE è che ciascun Stato membro sia in grado, sia preparato di rispondere alle crisi per cui le riforme e gli investimenti si concentrano sull’intento di migliorare la continuità delle attività e del servizio pubblico, l’accessibilità e la capacità dei sistemi sanitari e di assistenza, l’efficacia della pubblica amministrazione e dei sistemi nazionali, l’efficacia dei sistemi giudiziari, nonché la prevenzione delle frodi e la vigilanza antiriciclaggio; Infine, il pilastro delle “Politiche per le nuove generazioni, l’infanzia e i giovani” è necessario al fine di garantire che il divario generazionale non si acuisca ulteriormente e gli investimenti e le riforme in tale settore pongono obiettivi rivolti all’istruzione, l’aggiornamento, riqualificazione professionale, programmi di integrazione per disoccupati ma anche politiche volte all’incremento delle opportunità per l’infanzia e i giovani[5].
Ciascun Stato membro doveva quindi predisporre un piano che fosse comprensivo di riforme ed investimenti in ciascuno di tali pilastri e in modo coerente ed adeguato alla situazione odierna del paese di rifermento.
L’aria di intervento di maggiore interesse nel nostro caso, la quale ha un’incidenza capillare in relazione anche alla salute e all’economia, è il pilastro della “transizione verde” nella quale s’individuano diversi macrosettori tra cui la biodiversità, l’efficienza energetica, la ristrutturazione degli edifici, l’economia circolare e la crescita sostenibile[6].
La transizione verde è un pilastro che discende direttamente dallo European Green Deal[7] che rende l’Unione Europea leader mondiale delle politiche ambientali e di contrasto ai cambiamenti climatici[8]. Con ciò, l’Unione intende promuovere una politica ambientale volta all’attuazione di azioni dirette e concrete che possano stimolare, proteggere e migliorare il capitale naturale dell’UE, trasformare l’UE in un’economia a basse emissioni di CO2, stimolare un uso più efficiente delle risorse naturali al fine di renderla più verde e competitiva, proteggere i cittadini degli Stati membri da pressioni e rischi per la salute legati all’ambiente[9]. Tali obiettivi sono però oggetto di interesse delle Istituzioni europee già da molto, infatti: nel 2007 avevano provveduto all’approvazione della “Leipzig Charter”[10] contenente un piano per lo sviluppo sostenibile dei centri urbani; nel 2010 la Dichiarazione di Toledo; nel 2011 dell’Agenda territoriale; nel 2016 del Patto di Parigi e di Amsterdam con cui si è posto l’obiettivo di ricostruire annualmente almeno il 2% degli edifici presenti nel territorio europeo[11].
La stretta connessione con il Green Deal emerge da due vincoli gravanti sui piani nazionali di ripresa e resilienza, cioè: la previsione di un limite pari al 37% delle risorse richieste da ciascun Stato membro deve essere finalizzato alla transizione verde; l’altro limite posto ai PNRR nazionali è che non deve essere prevista alcuna misura che possa essere idonea a generare, determinare conseguenze negative sull’ambiente bensì deve rispettare il principio “Do Not Significant Harm”[12] (DNSH), il quale è stato introdotto e disciplinano all’interno del Regolamento Tassonomia[13] che è stato un intervento precursore delle linee guida previste in riferimento alla transizione verde all’interno del Regolamento Dispositivo. Il vincolo del 37% delle risorse da destinare alla transizione ecologica e il principio DNSH rappresentano due elementi fondamentali per la realizzazione e riconoscimento dei PNRR.
In merito alle modalità di ottemperanza di tali requisiti necessariamente richiesti nei piani nazionali di ripresa e resilienza dall’Unione Europea, bisogna far riferimento all’art.18 del Regolamento dispositivo in cui viene indicato che ciascun piano debba contenere la necessaria previsione di taluni elementi, quali: la spiegazione del modo in cui il piano garantisce che nessuna misura richiesta per l’attuazione di riforme ed investimenti sia idonea ad arrecare un eventuale danno agli obiettivi posti a tutela dell’ambiente; una spiegazione qualitativa rispetto all’incidenza positiva che tali misura possano avere rispetto alla transizione verde ed indicando se tali misure raggiungano almeno il 37% previsto come vincolo dalla Commissione europea. Inoltre, in relazione al vincolo del 37% previsto per investimenti nella transizione verde è stato predisposto nell’Allegato VI determinate modalità di calcolo per differenti tipologie di intervento e, per ognuna di queste, sono state previsti due indicatori: il primo è un coefficiente per il calcolo delle risorse in merito agli obiettivi inerenti al cambiamento climatico mentre il secondo è un diverso coefficiente previsto per gli altri obiettivi ambientali [14].
In riferimento al secondo vincolo previsto dal PNRR, cioè il rispetto del principio “Do Not Significat Harm” (DNSH) in base al quale non deve essere prevista alcuna misura che possa essere idonea a determinare conseguenze negative e danni sull’ambiente. Non è un principio nuovo ma già presente nella normativa europea, associato al cd. Diritto alla “non regressione” del proprio sviluppo umano e del nucleo essenziale dei propri diritti[15]. Come abbiamo anticipato è stato introdotto tale principio dal “Regolamento Tassonomia”, secondo cui si riteneva sostenibile un’attività ove non arrecasse un danno ad alcuno dei sei obiettivi, per cui era necessaria un’attenta analisi al fine di dissipare ogni dubbio circa la sussistenza o meno di possibili effetti negativi dell’azione rispetto all’ambiente. Infatti, Commissione europea ha elaborato gli «Orientamenti tecnici sull’applicazione del principio “non arrecare un danno significativo” a norma del regolamento sul dispositivo per la ripresa e la resilienza» [16]. Tale documento, rappresenta una vera e propria guida alla valutazione delle misure alla luce del principio DNSH, prevede una lista di controllo bipartita in due sezioni, di cui: la prima sezione prevede che venga compiuta una preliminare analisi di ciascuna misura che si voglia adottare. Laddove l’esito dell’analisi dovesse risultare negativo, cioè che una data misura risulti idonea a produrre eventuali effetti lesivi per almeno uno degli obiettivi ambientali, occorrerò fornire una motivazione a tale riscontro. Caso contrario, ove al termine dell’analisi emerga un risultato positivo, si dovrà utilizzare la seconda parte della lista di controllo volta, invece, a valutare la compatibilità della misura con il principio stesso[17]. Infatti si qualifica un’attività economica “ecosostenibile, ove questa contribuisca in modo determinante al raggiungimento di uno o più obiettivi ambientali (relativi per esempio alla mitigazione dei cambiamenti climatici, all’uso sostenibile delle risorse, alla transizione verso un’economia circolare, riduzione dell’inquinamento) senza arrecare “un danno significativo a nessuno degli obiettivi ambientali”[18].
2. PNRR, “Italia Domani”
Nel settembre 2020 è stata sottoposta all’esame del Parlamento italiano una proposta di linee guida per la redazione del Piano Nazionale di ripresa e resilienza da parte del Comitato interministeriale e per gli Affari Europei (CIAE). Il Parlamento con un atto di indirizzo invitava il Governo nella predisposizione di un Piano che è stato portato a compimento, anche alla luce delle successive osservazioni del Parlamento esposte sulla prima bozza, il 27 aprile 2021. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza “Italia Domani” si inserisce all’interno del programma Next Generation EU(NGEU), il pacchetto da 750 miliardi di euro concordato dall’Unione Europea in risposta alla crisi pandemica, e prevede investimenti pari a 191,5 miliardi di euro delle risorse del PNRR per le sei missioni da esso poste[19], nonché, un fondo pari 30,6 miliardi previsto per finanziare ulteriori interventi che il Governo italiano ha approvato[20].
Il PNRR del nostro paese si concentra su tre assi strategici: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica, inclusione sociale[21]. In particolare, può dirsi che la “Transizione digitale” ha un importante significato per il nostro Paese in risposta all’evidente ritardo, rispetto gli altri stati dell’Unione, sia in relazione alle precarie competenze specifiche e tecniche dei singoli cittadini italiani che in merito all’adozione di strumenti e tecnologiche digitali nei sistemi produttivi e nei servizi pubblici. Investire in tecnologie, infrastrutture e processi digitali determina una reazione a catena fondamentale per assicurare all’Italia una migliore competitività rispetto agli altri Paesi.
Il secondo asse strategico riguarda la “transizione ecologica”, la quale rappresenta già uno degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU[22]. Un intervento mirato sull’ambiente rappresenta un passo fondamentale che coinvolge diversi aspetti della vita dell’uomo, non solo quindi sotto l’aspetto della competitività del paese per garantire un’economia più sostenibile ma, soprattutto, per assicurare alle generazioni future un Paese più verde, con una qualità della vita migliore.
Invece per quanto attiene il terzo asse strategico che attiene all’inclusione sociale si concreta su tre priorità, cioè: la parità di genere, la protezione e valorizzazione dei giovani, il superamento dei divari territoriali strettamente interconnesso allo sviluppo del sud Italia.
Di conseguenza è importante soffermarsi su com’è stato costituito nel dettaglio il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza in Italia, recante all’interno sei missioni che hanno come monito quello della digitalizzazione, ambiente ed inclusione sociale, infatti: la prima missione attiene la “digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo”, come abbiamo anticipato investire nella digitalizzazione rappresenta una grande occasione per il nostro Paese in quanto significa incrementare la competitività dell’Italia sia sotto l’aspetto del tessuto industriale che imprenditoriale sia sotto l’aspetto delle competenze specifiche dei singoli cittadini con la previsione del rafforzamento del sistema di formazione professionale terziaria che l’istruzione STEM. Ovviamente da non sottovalutarsi la digitalizzazione della P.A e il rafforzamento dell’identità digitale (come gli strumenti già esistenti come SPID, CIE).
La seconda missione attiene la “Rivoluzione verde e transizione ecologica” sulla quale ci soffermeremo più dettagliatamente in seguito, mentre, la terza missione riguarda le “infrastrutture per una mobilità sostenibile” con cui si pone l’obiettivo di incrementare e sviluppare linee ferroviarie sull’intero territorio italiano e migliorare nonché velocizzare i collegamenti al Sud anche in riferimento alle autostrade. La quarta missione “Istruzione e ricerca” attiene il miglioramento dell’offerta dei servizi di istruzione nonché una particolare attenzione anche in questo settore alla parità di genere per consentire per esempio con l’aumento dell’offerta dei posti negli asili nido un più semplice accesso alle università. La Quinta missione “Coesione e inclusione”, che attiene non solamente ad una coesione territoriale per eliminare il divario territoriale ma, soprattutto, si pone l’obiettivo di proteggere con particolare attenzione situazioni di fragilità sociale ed economica per le famiglie e promuovere l’imprenditoria femminile.
Per l’ultimo la sesta missione “Salute” pone due obiettivi fondamentali, cioè: il primo riguarda il rafforzamento della prevenzione e dell’assistenza sul territorio italiano anche provvedendo ad un ammodernamento del Sistema Sanitario Nazionale (SSN), mentre, il secondo obiettivo sempre sulla scia della digitalizzazione riguarda il potenziamento del Fascicolo sanitario elettronico e, di conseguenza, la telemedicina.
2.1. Missione due: “La Rivoluzione Verde e Transizione ecologica”
La seconda missione del PNRR denominata “Risoluzione verde e Transizione ecologica” prevede lo stanziamento di 59,47 miliardi e costituisce un’occasione straordinaria per l’Italia, in quanto: il nostro paese ha un patrimonio vastissimo da proteggere ed è maggiormente esposta a rischi legati ai cambiamenti climatici in ragione alla sua configurazione geografica ed inoltre può giovare dei vantaggi conseguenti alla transizione in virtù dell’abbondanza di talune risorse rinnovabili presenti rispetto alla scarsità di risorse come petrolio e gas naturali che fanno dell’Italia un paese dipendente da altri per l’ approvvigionamento di tali risorse. La “Rivoluzione verde” mira a provvedere al super amento di tutte quelle barriere che rallentano il nostro paese sotto il profilo della competitività e, in generale, rappresentano un problema reale per l’ambiente. La missione ricomprende tre dei programmi flagship del “Next Generation UE” identificati dalla Commissione Europea nella Strategia annuale di crescita sostenibile 2021 e ribadite nelle linee Guida per i piani di Ripresa e Resilienza, quali: Power up (rinnovabili, produzione e trasporto di idrogeno), Renovate (efficienza energetica degli edifici), Recharge and Refuel (sviluppo della mobilità sostenibile tramite reti di distribuzione di elettricità ed idrogeno)[23].
La missione della transizione ecologica è ripartite in quattro componenti: economia circolare e agricoltura sostenibile; transizione energetica e mobilità sostenibile; efficienza energetica e riqualificazione degli edifici; tutela del territorio e della risorsa idrica. L’obiettivo cardine è chiaramente quello di migliorare la sostenibilità del sistema economico ed assicurare una transizione equa e inclusiva verso una società più verde[24]. La prima componente della seconda missione quale “economia circolare e agricoltura sostenibile” sono destinati complessivamente 7 miliardi delle risorse ed è rivolta alla realizzazione di due obiettivi fondamentali: assicurare una migliore gestione dei rifiuti e dell’economia sostenibile nonché lo sviluppo di una filiera agroalimentare sostenibile. In merito al primo obiettivo bisogna soffermarsi sulla scarsa ed inadeguata rete di impianti di raccolta e trattamento presente sul territorio, specie nel meridione. Gli investimenti che vengono previsti in virtù della transizione ecologica sono volti al miglioramento della rete di rifiuti nonché alla realizzazione di nuovi impianti e, ovviamente, l’ammodernamento di quelli preesistenti. Parte di questi investimenti sono anche rivolti alla rete di raccolta differenziata ed impianti di trattamento e riciclo. In riferimento a quest’ultimo il Piano d’azione dell’UE ha inoltre previsto dei target di riciclo specifici (per esempio per la plastica, la carta, i tessuti) che però l’Italia è ancora distante dal raggiungimento di questi. Con riguardo al secondo obiettivo rispetto sviluppo di una filiera agroalimentare sostenibile, questo promuove l’intento di migliorare la sostenibilità attraverso: un piano logistico per il sistema dei trasporti; miglioramento della capacità di stoccaggio delle materie prime; incremento e miglioramento delle capacità di esportazione delle PMI; digitalizzazione della logistica; riduzione degli sprechi alimentari nonché una garanzia di tracciabilità dei prodotti. Inoltre si vantano numerosi investimenti previsti per la realizzazione di specifici progetti, come: il Parco Agrisolare, la cui previsione ha l’obiettivo di incentivare l’istallazione di pannelli ad energia solare sui tetti degli edifici nei settori agricolo, zootecnico e agroindustriale per la produzione di energia rinnovabile. Altro progetto in riferimento a tale linea d’azione attiene l’ammodernamento dei macchinari agricoli con la previsione di tecnologie volte all’ottenimento di migliori risultati ma anche all’ottimizzazione dei fattori produttivi nell’ambito del settore agroalimentare, pesca e acquacoltura, forestale e florovivaistico.
Ulteriormente va detto che in riferimento alla seconda e terza componente che sì concentrano rispettivamente sulla “transizione energetica e mobilità sostenibile” ed “l’efficienza energetica e riqualificazione degli edifici”. Numerosi sono gli interventi previsti in materia al fine di potenziare l’efficienza energetica del paese. In riferimento alla mobilità sostenibile, una vasta fetta delle risorse a disposizione sono state destinate per la realizzazione e concretizzazione di una rete di trasporti locale sostenibile mediante la stipulazione di contratti per autobus a basso impatto ambientale nonché l’acquisto entro il 2026 di bus a basse emissioni e treni elettrici o ad idrogeno[25] non solo al fine di ridurre le emissioni nocive di anidride carbonica attraverso l’uso di fonti di energia rinnovabili, ma, soprattutto, per assicurare un miglioramento della qualità della vita attraverso la riduzione dell’inquinamento atmosferico ed acustico.
Tale componente è strettamente interconnessa con la terza missione che riguarda le “infrastrutture per una mobilità sostenibile”, infatti, per la concretizzazione degli obiettivi in essa previsti sono state destinate numerose risorse e prevalentemente si mira all’aumento di infrastrutture apposite di ricarica elettrica sia in autostrada che nei centri urbani proprio con l’intento di incrementare l’acquisto di veicoli elettrici nonché al rinnovo di autobus, treni a basso impatto ambientale ma anche la promozione di nuove piste ciclabili e la manutenzione di quelle già presenti nelle città italiane. Ciò può collegarsi alla presenza PNRR rileva della previsione di numerosi investimenti per il potenziamento dell’uso dell’idrogeno, come risorsa alternativa al gas, in diversi settori proprio in ragione all’obiettivo posto di riduzione delle emissioni. Si prospetta l’uso di tale risorsa naturale, per esempio, per il trasporto stradale, per la realizzazione di una rete per combustibili alternativi determinando la nascita dei “Corridoi verdi” per autocarri, ritenuti i mezzi più inquinanti. Inoltre, anche in riferimento al trasporto ferroviario per passeggeri con l’intento di alimentare ad idrogeno le linee ferroviarie non elettrificate rispetto a quelle regioni d’Italia in cui vi è un intenso traffico tranviario e realizzare anche apposite stazioni di rifornimento. Ulteriormente sono previsti nel PNRR investimenti per la produzione dell’idrogeno stesso e la creazione di apposite zone le cd. Hydrogen valleys. Ovviamente tutto ciò richiede l’impego di numerose risorse per la realizzazione di infrastrutture adeguate, tecnologie specifiche per lo stoccaggio nonché per la produzione e il trasporto dell’idrogeno.
In merito alla componente relativa all’efficienza energetica e riqualificazione degli edifici, va detto che diverse sono le azioni di investimento per la realizzazione di progetti in merito alla produzione e distribuzione di fonti rinnovabili, fra i quali: la promozione sul territorio di sistemi fotovoltaici galleggianti ed eolici per la realizzazione di sistemi di generalizzazione di energia rinnovabile off-shore nonché lo sviluppo del biometano, il quale si ottiene attraverso il recupero energetico dei residui organici. Ed inoltre un intenso piano d’azione coinvolge la riqualificazione e messa in sicurezza degli edifici sia pubblici (per esempio le scuole, cittadelle giudiziarie) che privati. In particolar modo può citarsi il D.L. “Rilancio” del 19 maggio 2020 n.34 [26] con cui è stato introdotto il cd. Superbonus 110% per l’efficienza energetica e la sicurezza degli edifici. Rappresenta una misura di incentivazione per stimolare il settore edilizio nonché per risparmio energetico, contempla la possibilità di beneficiare della detrazione del 110% , dal 2021 al 2023, per una serie di interventi funzionali al raggiungimento di obiettivi di efficienza energetica, ciò attraverso: la detrazione fiscale, sconto in fattura ed la cessione del credito di imposta di un ammontare pari alla detrazione spettante per interventi trainanti[27] (per esempio la realizzazione del cappotto termico negli edifici ma anche interventi secondari se realizzati insieme ad un intervento trainante).
La previsione di tale misura consente capillarmente di incentivare non solamente il mercato edilizio ma anche la creazione di nuovi posti di lavoro, determinante in seguito alla vasta riduzione del tasso di occupazione a causa della pandemia. Infine, sempre al fine di concretizzare gli obiettivi posti dall’Agenda 2030 e quindi per far sì che si raggiunga una certa riduzione delle emissioni inquinanti, parte delle risorse del PNRR saranno impiegate per sovvenzionare progetti mirati alla costruzione di nuove reti o di manutenzione di quelle già esistenti sul territorio di teleriscaldamento attraverso l’uso di fonti rinnovabili.
L’ultima componente della missione della transizione ecologica che andremo ad analizzare riguarda la “tutela del territorio e della risorsa idrica”, alla quale sono destinate 15,03 miliardi di euro delle risorse messe a disposizione per il PNRR. Gli obiettivi generali posti nel piano d’azione sono diversi ed attengono: approvvigionamento idrico e riduzione della dispersione delle acque; salvaguardia della qualità delle acque attraverso un’adeguata gestione dei bacini idrografi; prevenire e contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici sui fenomeni di dissesto idrogeologico; digitalizzare i processi relativi alla gestione della risorsa idrica; programma di forestazione urbana[28]. Con gli interventi previsti dal PNRR, in relazione a tale componente, si mira ad intervenire in maniera concreta non solo in tutela delle risorse idriche ma, in via generale, sull’ambiente: prevenendo rischi idrogeologici, la salvaguardia della biodiversità e la qualità della vita dei cittadini del territorio italiano. Gli obiettivi generali posti sono accompagnati dalla realizzazione di numerosi progetti di investimento per una migliore gestione del servizio idrico nei suoi vari usi e servizi (per esempio urbano, agricoltura, industriale).
La transizione ecologica e gli investimenti previsti in materia dal PNRR prevedono un settoriale e vasto pacchetto di riforme. il Ministro della transizione ecologica, in merito alla rivoluzione verde, ha infatti ritenuto che in relazione agli interventi ivi previsti dal piano d’azione sia necessaria soprattutto una “transizione burocratica” che costituisca una fase di snellimento delle norme e semplificazione in modo che quanto previsto dal Recovery Plan possa essere applicato in modo adeguato ed efficiente[29]. In particolare, può citarsi il D.L n.76/2020[30] il quale è intervenuto al fine di riformare il procedimento di valutazione di impatto ambientale, il procedimento autorizzatorio unico regionale e con la previsione di salienti novità per i progetti previsti nel Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima(PNIEC)[31].
In merito alle procedure di valutazione dell’impatto ambientale è stata prevista una riformulazione dell’art.7 bis, al comma 2, del d.lgs. n.156/2006 (Codice dell’ambiente) prevedendo che: il Presidente del Consiglio dei ministri (con l’ausilio del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti ed il ministro dei beni e le attività culturali e per il turismo) avrebbe dovuto individuare, con uno più decreti, le tipologie di progetti e le opere necessarie per l’attuazione del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima nonché far rilevare quelle aeree ritenute non idonee alla realizzazione di tali progetti ed opere, in relazione a caratteristiche specifiche del territorio (urbanistiche, industriali, paesaggistiche e, anche in riferimento, all’assetto idrogeologico). La competenza inerentemente lo svolgersi di tale procedura è stata attribuita alla competenza statale con la previsione di un’apposita commissione la cd. “Commissione tecnica PNIEC”[32] che, affianca la Commissione che di norma si occupa di valutazioni ambientali, e alla quale è stato attribuito il compito specifico di individuare progetti idonei all’attuazione del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima. La ratio alla base della previsione di questa seconda Commissione è quella di garantire non solo uniformità e velocità ai procedimenti relativi ai progetti per l’attuazione del PNIEC ma, soprattutto, di non gravare sulle attività di cui è già onorata la Commissione tecnica di verifica dell’Impatto Ambientale[33]. Possono menzionarsi ulteriori interventi rilevanti ai fini delle procedure in materia di fonti rinnovabili, i quali generano degli effetti diretti sul processo di attuazione del PNIEC, in particolare: le misure previste dal D.L. n. 76/2020 all’art.56 in merito a “Disposizioni di semplificazione in materia di interventi su progetti o impianti alimentari da fonti di energia rinnovabile e di taluni nuovi impianti nonché di spalma incentivi. Tale misura è volta a semplificare le procedure autorizzative e, soprattutto, ad ampliare il campo di applicazione di tali interventi, in quanto si ricomprendono gli interventi di modifica, potenziamento e rifacimento, le opere connesse ed infrastrutture indispensabili alla costruzione ed esercizio nonché gli interventi diretti alla demolizione, rispristino ambientale o di riqualificazione di talune aree[34]. Altro esempio può essere la previsione di una disciplina di controllo e dell’irrogazione di sanzioni specifiche ove si riscontri una possibile violazione nell’erogazione di incentivi. Infatti, al termine dell’attività di controllo, il Gestore dei Servizi energetici ove riscontri una violazione[35] può disporre la decadenza degli incentivi precedentemente concessi e, di conseguenza, il relativo recupero delle somme erogate e, infine, la trasmissione all’Autorità competente per l’applicazione della relativa sanzione.
3. Conclusioni. Verso una reale transizione verde?
Il crescente interesse acquisito dal valore dell’ambiente ha condotto ad un’evoluzione normativa e al delinearsi di un sistema basato sempre più ad incentivare la “Green economy”, la quale promuove un modello di sviluppo più ecosostenibile incentrato sull’utilizzo di energie rinnovabili con conseguente riduzione dell’emissioni di gas serra nonché l’efficientamento energetico, il riciclaggio e la riduzione degli sprechi delle risorse naturali. Ciò è stato posto alla base, come obiettivi cardine, dell’”European Green Deal” presentato l’11 dicembre 2019 dalla Commissione Europea e rappresenta la strategia per far fronte ad una necessaria nonché urgente trasformazione degli Stati membri per un futuro non solo più sostenibile ma, soprattutto, più competitivo dell’intera Unione Europea.
Promotrici di questo cambiamento di rotta che vede l’ambiente come protagonista delle politiche attive e di investimento sono state le Istituzioni europee in quanto il perseguimento dello sviluppo sostenibile rappresenta un obiettivo imprescindibile. Nel corso dell’elaborato abbiamo, infatti, ripercorso l’intero processo evolutivo che ha reso possibile un netto cambiamento nell’approccio all’ambiente in quanto la rilevanza con la quale si considerava non è stata, nel tempo, sempre la medesima.
Significativa è stata la nascita dei cd. Green Public Procurement o Appalti Verdi definiti dalla dottrina come l’insieme degli strumenti giuridici volti a promuovere l’integrazione delle tematiche ambientali nella disciplina legislativa dei contratti pubblici. Infatti, rappresentano un significativo strumento in grado di influenzare il mercato, in quanto il potere d’acquisto delle stazioni appaltanti può orientare il mercato verso scelte eco-compatibili tenendo conto degli interessi ambientali nelle scelte d’acquisto delle P.A.
L’intervento comunitario in materia ambientale risulta particolarmente significativo con due blocchi di direttive. Il primo blocco sul quale ci siamo soffermati sono le direttive del 2004 (17/2004/CE e 18/2004/CE) ove per la prima volta viene previsto, a livello normativo, la possibilità degli enti aggiudicatori di prendere in con-siderazione fattori non meramente economici ma ecologici nelle diverse fasi della procedura di affidamento delle gare d’appalto. Ciò nonostante vi era un costante riferimento al fatto che tali fattori fossero collegati all’oggetto dell’appalto, non conferissero all’amministrazione una libertà incondizionata di scelta, fossero espressamente menzionati e rispettosi di taluni principi fondamentali, tra i quali: i principi della libera circolazione delle merci, della libertà di stabilimento e della libera prestazione dei servizi nonché i principi di parità di trattamento, di non discriminazione, di riconoscimento reciproco, di proporzionalità e di trasparenza. Quanto al secondo blocco di direttive cioè quelle del 2014 e, in particolare, la “Direttiva Appalti”, si fecero promotrici del passaggio ad un’economia a basso impatto ambientale. Un aspetto saliente in merito alla Direttiva Appalti è la configurazione e predisposizione di nuove modalità di valutazione dell’offerta dei contraenti in cui si ravvede una netta prevalenza, rispetto al criterio del prezzo più basso, del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Questi rappresentano alcuni dei numerosi interventi del quale si è resa promotrice l’Unione Europea e che ha contribuito all’ingresso del GPP nei paesi membri dell’Unione. In particolare, in Italia gli appalti verdi hanno fatto il loro ingresso attraverso il Codice dei Contratti pubblici del 2006 ma, inizialmente, non ebbero un riconoscimento assoluto e, al contrario, venivano ritenuti un pericolo per la concorrenza.
Un forte cambiamento di rotta, conseguente alla rinnovata sensibilità sulle tematiche ambientali, si è avuto con la recente riforma costituzionale dell’8 febbraio 2022 con cui l’ambiente entra a pieno titolo in Costituzione a fronte delle modifiche degli artt.9 e 41 della Costituzione. Nella fattispecie richiamiamo l’art.41 della Costituzione italiana, il quale recita: “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali”. Tale revisione costituzionale va ad ampliare i limiti opponibili alla libertà di iniziativa economica privata, la quale non deve arrecare pregiudizi oltre alla sicurezza, libertà e dignità umana anche alla salute e, soprattutto, all’ambiente. Quindi si rende portavoce di un necessario bilanciamento tra lo sviluppo economico e i limiti della “salute” e “ambiente” senza prevalere in maniera indiscussa su di essi e, anzi, ritenendoli gerarchicamente superiori nell’interesse dell’utilità sociale. Ciò va a colmare una lacuna che, diversamente dagli altri paesi europei nei quali era già vigente una tutela costituzionale ambientale, risultava grave ed inadeguata a fronte degli sviluppi in materia.
L’impegno dell’Italia, così come degli altri stati membri dell’UE, nella protezione della salute e dell’ambiente si concretizza ulteriormente dalla partecipazione e predisposizione del “PNRR”. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza contempla numerosi obiettivi, progetti che si concentrano in sei missioni specifiche e le risorse messe a disposizione dall’UE sono necessarie per l’attuazione di riforme e di investimenti che rappresentano un importante opportunità. In particolare, gran parte delle risorse, messe a disposizione dal piano di aiuti della Next Generation UE, vengono indirizzate alla missione della “Salute” e della “Transizione verde”. Pilastri fondamentali per consentire al Paese di reagire alla crisi post-pandemia da Covid-19 e renderlo, sotto numerosi aspetti, più competitivo.
La Transizione ecologica rappresenta una grande sfida per l’Europa e, in particolare, per l’Italia. Proteggere l’ambiente, l’ecosistema e la biodiversità a fronte degli innumerevoli e crescenti disastri ambientali e al fine di raggiungere gli obiettivi posti dall’Agenda 2050 per contrastare il cambiamento climatico rappresentano, nell’interesse delle generazioni sia presenti che future, campi d’azione di fondamentale importanza.
In definitiva, è ormai chiaro che l’interesse mostrato dalle Istituzioni europee e, di conseguenza, dagli Stati membri sia un gran punto di partenza per contribuire ad un cambiamento reale nei confronti dell’ambiente ma i numerosi progetti ed obiettivi generali, ivi previsti nei numerosi interventi legislativi, per essere portati a compimento devono essere accompagnati da un cambiamento della coscienza sociale attraverso una rivoluzione culturale che porti i cittadini ad una piena e radicata consapevolezza di salvaguardare la natura.
Perplessità però sorgono, sotto diversi aspetti. Oltre che sull’effettivo piano applicativo, in attesa delle definitive conclusioni delle azioni derivanti dal PNRR, un primo aspetto potenzialmente problematico si pone sul piano della ripartizione di competenze tra Stato e Regioni. La Corte Costituzionale, infatti, con sentenza 85 del 2022, in relazione all’Art.117. 2 lett. s) Cost., ha sancito che da un lato la tutela dell’ambiente è riservata alla competenza esclusiva dello Stato Centrale per la cura di interessi funzionalmente collegati ma al contempo che le Regioni possono prevedere, come nel caso di specie, una disciplina di maggiore tutela dell’ambiente. Nel contesto attuale, emerge dunque con prepotenza il ruolo delle Pubbliche Amministrazioni, come soggetti titolari della gestione di una serie di compartimenti chiave per promuovere l’economia circolare. [36]
Altro aspetto, più specificatamente riferito al ruolo della PA, la quale porta da sempre il fardello della sua macchinosità e lentezza, alla quale ora si aggiungerà la non sempre agile valutazione circa il bilanciamento tra principi di efficienza ed economicità e la tutela degli interessi ambientali. La spesso complessa applicazione dei Criteri Ambientali Minimi (CAM[37]), aggravata dal fatto che vi sono disposizioni poco chiare e talora configgenti sulle loro modalità di inserimento nelle procedure, oltre che una eccessiva complessità delle stesse, l’assenza di direttive e linee giuda per il calcolo dei costi del ciclo di vita e delle esternalità ambientali. Ciò che maggiormente rileva, tuttavia, è la riscontrata carenza informativa, tanto della P.A. quanto delle imprese in materia di acquisti verdi e di applicazione dei C.A.M[38].
In conclusione, affinché i principi europei e le nuove disposizioni costituzionali non rimangano lettera morta e frutto di un (diffuso) fenomeno di green washing, si rende necessaria non solo una sensibilità politica che vada oltre la cura dell’ambiente limitata ai “dictat” delle istituzioni europee, ma soprattutto che a ciò si accompagni una, tanto agognata, semplificazione amministrativa che renda di facile ed immediata applicazione la disciplina ambientale.
[1] F. SALMONI, “Recovery Fund, condizionalità e debito pubblico”, CEDAM, 2021.
[2] https://www.governo.it/
[3] A.S.BRUNO, “Il PNRR e il principio del Do Not Significant Harm (DNHS) davanti alle sfide territoriali”, federalismi.it, n.8/2022, p. 2 ss
[4] https://www.governo.it/
[5] Regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 febbraio 2021, che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza.
[6] Cfr. Considerando 11 del Regolamento Dispositivo: “ La messa a disposizione di prodotti finanziari che perseguono obiettivi ecosostenibili è un modo efficace di incanalare gli investimenti privati verso le attività sostenibili. I requisiti per commercializzare prodotti finanziari o obbligazioni societarie come investimenti ecosostenibili, inclusi i requisiti posti dagli Stati membri e dall’Unione per consentire ai partecipanti ai mercati finanziari e agli emittenti di usare marchi nazionali, puntano ad aumentare la fiducia degli investitori e a sensibilizzarli maggiormente agli impatti ambientali di tali prodotti finanziari o obbligazioni societarie, creare visibilità e affrontare le preoccupazioni legate alla pratica della «verniciatura verde» (greenwashing). Nell’ambito del presente regolamento, tale pratica consiste nell’ottenere un vantaggio sulla concorrenza in modo sleale commercializzando un prodotto finanziario come ecocompatibile quando in realtà gli standard ambientali di base non sono soddisfatti. Attualmente alcuni Stati membri dispongono di sistemi di marchi. Tali sistemi esistenti sono basati su diversi sistemi di classificazione delle attività economiche ecosostenibili. Dati gli impegni assunti con l’accordo di Parigi e a livello di Unione, è probabile che sempre più Stati membri istituiscano sistemi di marchi o impongano altri requisiti che i partecipanti ai mercati finanziari o gli emittenti dovranno ( 4 ) Decisione n. 1386/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 novembre 2013, su un programma generale di azione dell’Unione in materia di ambiente fino al 2020 «Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta» (GU L 354 del 28.12.2013, pag. 171). L 198/14 IT Gazzetta ufficiale dell’Unione europea 22.6.2020 soddisfare per poter promuovere prodotti finanziari o obbligazioni societarie come ecosostenibili. In tali casi, gli Stati membri farebbero ricorso ai propri sistemi di classificazione nazionali per determinare quali investimenti possono essere considerati sostenibili. Se tali sistemi di marchi o requisiti nazionali utilizzassero criteri diversi per determinare le attività economiche da considerarsi ecosostenibili, gli investitori sarebbero scoraggiati dall’investire fuori dai confini nazionali, a causa della difficoltà nel confrontare le diverse opportunità d’investimento. Inoltre, gli operatori economici desiderosi di attirare investimenti da altri paesi dell’Unione dovrebbero soddisfare criteri diversi nei diversi Stati membri affinché le loro attività possano essere considerate ecosostenibili. L’assenza di criteri uniformi aumenterebbe quindi i costi e disincentiverebbe significativamente gli operatori economici dall’accedere ai mercati dei capitali transfrontalieri ai fini di investimenti sostenibili”.
[7] Con “ Green Deal europeo” s’intende un insieme di iniziative politiche proposte dalla Commissione europea con l’obiettivo generale di raggiungere la neutralità climatica in Europa entro il 2050. Sarà inoltre presentato un piano di valutazione d’impatto per innalzare ad almeno il 50% l’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra dell’UE entro il 2030 e verso il 55% rispetto ai livelli del 1990. https://eur-lex.europa.eu/
[8] A. MOLITERINI, “Il Green Deal europeo e le sfide per il diritto dell’ambiente”, Riv. quadrimestrale di dir. ambientale, Giappichelli, N.1-2021, p.5 ss.
[9] https://european-union.europa.eu/
[10] https://ec.europa.eu/
[11] A.S. BRUNO, “Il PNRR e il principio del Do Not Significant Harm (DNHS) davanti alle sfide territoriali”, federalismi.it, n.8/2022, p.3 ss.
[12] Articolo 17 del Regolamento UE 2020/852 (relativo all’istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili e recante modifica del regolamento (UE) 2019/2088 cd. Regolamento Tassonomia): “Nel contesto delle attività volte al raggiungimento degli OSS nell’Unione, scelte politiche quali la creazione di un Fondo europeo per gli investimenti strategici hanno di fatto contribuito a dirigere gli investimenti privati verso gli investimenti sostenibili parallelamente alla spesa pubblica. Il regolamento (UE) 2015/1017 del Parlamento europeo e del Consiglio ( 5 ) definisce un obiettivo del 40 % in investimenti climatici per i progetti infrastrutturali e di innovazione nell’ambito del Fondo europeo per gli investimenti strategici. I criteri comuni per stabilire se le attività economiche possano essere considerate sostenibili, tra cui il loro impatto ambientale, potrebbero essere alla base di iniziative analoghe che l’Unione intraprenderà per mobilitare investimenti che mirino al raggiungimento degli obiettivi legati al clima o di altri obiettivi ambientali”.
[13] Gli obiettivi ambientali ivi presenti nel Regolamento Tassonomia in riferimento alla transizione verde, erano: la mitigazione dei cambiamenti climatici, l’adattamento ai cambiamenti climatici, l’uso sostenibile e la protezione delle acque e delle risorse marine, la transazione verso un’economia circolare, la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento, la protezione e il ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.
[14] S. LAZZARI, “La transizione verde nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza « Italia Domani »”, Riv. quadrimestrale di Dir. dell’ambiente, Giappichelli, n. 1-2021, p. 202 ss.
[15] A.S. BRUNO, “Il PNRR e il principio del Do Not Significant Harm (DNHS) davanti alle sfide territoriali”, federalismi.it, n.8/2022, p. 8 ss.
[16] Comunicazione della Commissione Europea, Orientamenti tecnici sull’applicazione del principio “non arrecare un danno significativo” a norma del regolamento dispositivo per la ripresa e la resilienza, del 12 febbraio 2021, C(2021) 1054 final. https://ec.europa.eu/
[17] S. LAZZARI, “La transizione verde nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza « Italia Domani »”, Riv. quadrimestrale di Dir. dell’ambiente, op.cit.
[18] Regolamento (UE) 2020/852 del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 giugno 2020 relativo all’istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili e recante modifica del regolamento (UE) 2019/2088; Regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 febbraio 2021 che istituisce il dispositivo per la ripresa e la resilienza.
[19] Le risorse stanziate nel Piano sono pari a 191,5 miliardi di euro, ripartite in sei missioni: Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura – 40,32 miliardi; Rivoluzione verde e transizione ecologica – 59,47 miliardi; Infrastrutture per una mobilità sostenibile – 25,40 miliardi; Istruzione e ricerca – 30,88 miliardi; Inclusione e coesione – 19,81 miliardi; Salute – 15,63 miliardi.
[20] https://www.mise.gov.it/index.php/it/68-incentivi/2042324-piano-nazionale-di-ripresa-e-resilienza-i-progetti-del-mise
[21] https://italiadomani.gov.it/
[22] L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità.Sottoscritta il 25 settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite, e approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU ed è costituita da 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile inquadrati all’interno di un programma d’azione più vasto costituito da 169 traguardi, ad essi associati, da raggiungere in ambito ambientale, economico, sociale e istituzionale entro il 2030. Questi mirano a porre fine alla povertà, a lottare contro l‘ineguaglianza, ad affrontare i cambiamenti climatici, a costruire società pacifiche che rispettino i diritti umani.
[23] L. IANETTI, “ Nota breve: La transizione ecologica nel Piano nazionale di ripresa e resilienza in Italia”, Servizi studi del Senato, N.259 – marzo 2021.
[24] https://www.governo.it/
[25] L. IANETTI, “ Nota breve: La transizione ecologica nel Piano nazionale di ripresa e resilienza in Italia”, Servizi studi del Senato, op.cit.
[26] D.L 19 maggio 2020, n. 34 “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché’ di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”. Convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n.77.
[27] S. LAZZARI, “La transizione verde nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza « Italia Domani »”, Riv. quadrimestrale di Dir. dell’ambiente, op.cit.
[28] L. IANETTI, “ Nota breve: La transizione ecologica nel Piano nazionale di ripresa e resilienza in Italia”, Servizi studi del Senato, op.cit.
[29] M. BONGIOANNI, “Cingolani: «All’Italia serve una transizione burocratica»”, https://www.semprenews.it/
[30] D.L. n.76/2020 recante “Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale”, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 120/2020.
[31]S.LAZZARI, “La transizione verde nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza « Italia Domani »”, Riv. quadrimestrale di Dir. dell’ambiente, op.cit.
[32] La Commissione Tecnica PNIEC è costituita da venti unità (diversamente dalla Commissione che di norma si occupa delle valutazioni ambientali che, invece, è costituita da quaranta commissari) ed è alle dipendenze del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare. I componenti della Commissione tecnica devono possedere una laurea nonché competenze maturate ed adeguate alla valutazione tecnica ed ambientale nonché il personale di ruolo del CNR, del Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente, dell’Agenzia per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile e l’Istituto superiore di Sanità (diversamente, anche qui, in riferimento alla Commissione che invece ricomprende anche tra i suoi commissari professori e ricercatori universitari).
[33] L. PERGOLIZZI, “Il D.L n.76/2020 nel processo di attuazione del piano nazionale integrato per l’energia e il clima”, Riv. giuridica Ambientediritto.it, Fasc.4/2020, p.1068 ss.
[34] Si veda https://www.gazzettaufficiale.it/ , L.PERGOLIZZI, “Il D.L n.76/2020 nel processo di attuazione del piano nazionale integrato per l’energia e il clima”, op.cit.
[35] L’art. 42 recante la “Disciplina dei controlli e delle sanzioni in materia di incentivi” prevede che il rigetto dell’istanza e, dunque, la decadenza degli incentivi nonché l’irrogazione da parte dell’Autorità competente debba avvenire in presenza dei presupposti di cui all’Art.21-nonies della L. n.241/90, cioè: la sussistenza di un vizio di legittimità dell’atto riconducibile alla violazione di legge, all’eccesso di potere o all’incompetenza.
[36] D. Sammaro, La rivoluzione verde della pubblica amministrazione. Strumenti attuativi e governance del territorio, in AmbienteDiritto, 1/2023, 14
[37] I Criteri Ambientali Minimi (CAM) sono i requisiti ambientali definiti per le varie fasi del processo di acquisto, volti a individuare la soluzione progettuale, il prodotto o il servizio migliore sotto il profilo ambientale lungo il ciclo di vita, tenuto conto della disponibilità di mercato.I CAM sono definiti nell’ambito di quanto stabilito dal Piano per la sostenibilità ambientale dei consumi del settore della pubblica amministrazione e sono adottati con Decreto del Ministero della Transizione Ecologica.La loro applicazione sistematica ed omogenea consente di diffondere le tecnologie ambientali e i prodotti ambientalmente preferibili e produce un effetto leva sul mercato, inducendo gli operatori economici meno virtuosi ad adeguarsi alle nuove richieste della pubblica amministrazione. in Italia, l’efficacia dei CAM è stata assicurata grazie all’art. 18 della L. 221/2015 e, successivamente, all’art. 34 recante “Criteri di sostenibilità energetica e ambientale” del D.Lgs. 50/2016 “Codice degli appalti” (modificato dal D.Lgs 56/2017), che ne hanno reso obbligatoria l’applicazione da parte di tutte le stazioni appaltanti. CAM vigenti | Green Public Procurement – Criteri Ambientali Minimi (mite.gov.it)
[38] G. QUINTO, Le variabili ambientali nella disciplina degli appalti pubblici, in AmbienteDiritto, 1/2020, 22
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Roberta Tacconelli
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