Prestazioni di lavoro in favore di parenti: si ha diritto alla retribuzione?

Prestazioni di lavoro in favore di parenti: si ha diritto alla retribuzione?

Chi presta la propria attività lavorativa come collaboratrice domestica per il proprio cognato ha diritto alla retribuzione?

A questa domanda ha risposto la Corte di Cassazione con sentenza  n°30899 del 29 novembre 2018.

La vicenda

La Sig.ra P.C. ricorreva al Tribunale di Trento per ottenere l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro domestico tra questa e il cognato R.F., asseritamente protrattosi dal 1973 al 2003, e, di conseguenza,  tutte le relative prestazioni di legge oltre alla regolarizzazione contributiva; nell’ipotesi di prescrizione contributiva, chiedeva in subordine il risarcimento del danno, oltre interessi legali e rivalutazione.

Sia il suddetto Tribunale che la Corte di Appello di Trento rigettavano il ricorso; perciò la Sig.ra P.C. ricorreva alla Corte di Cassazione articolando due motivi: 1) violazione di norme di diritto: i giudici di seconda istanza non avrebbero tenuto in considerazione il fatto che, nell’ambito del lavoro domestico, il rapporto di subordinazione può svolgersi anche tra parenti o affini; 2) contraddittorietà della motivazione: la Corte di Appello aveva affermato che  in tema di prestazioni lavorative rese in ambito familiare – le quali vengono normalmente compiute affectionis vel benevolentiae causa – la parte che fa valere in giudizio diritti derivanti da tali rapporti è tenuta ad una prova rigorosa degli elementi costitutivi della subordinazione e dell’onerosità», senza tenere nel debito conto il rapporto di affinità esistente tra le parti, che costituisce in casi analoghi un formidabile elemento di attenuazione dei fattori rilevatori della subordinazione.

Caratteri della subordinazione e attività lavorativa prestata nella comunità familiare

Dalla lettura dell’art. 2094 c.c. si evince che l’elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato è il vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro.

È ormai pacifico in dottrina e giurisprudenza che qualsiasi attività lavorativa oggettivamente configurabile come subordinata, salvo prova contraria, si presume resa a titolo oneroso. Dunque essa potrà essere ricondotta ad un diverso tipo di rapporto gratuito, non di lavoro, ma solo se il datore riesce a darne prova rigorosa.  Se invece si è in presenza di casi particolari, caratterizzati da rilevante tipicità sociale, la presunzione di onerosità cede il passo alla presunzione di gratuità.

È quello che accade per le prestazioni lavorative rese in favore di familiari: esse si presumono gratuite e non ricollegabili ad alcun rapporto di lavoro, basandosi su vincoli di affetto e solidarietà che caratterizzano il contesto familiare. Tale presunzione non è però così rigorosa da escludere in toto la configurabilità di un rapporto di lavoro di natura subordinata.

Inoltre l’INPS, rifacendosi alla normativa sul lavoro domestico, con Circolare del 19 giugno 2007, ha ribadito che “l’esistenza di vincoli di parentela o affinità tra le parti di un contratto di lavoro domestico non elude il rapporto di lavoro ed il conseguente obbligo assicurativo purché il rapporto di lavoro sia provato”.

Precedenti giurisprudenziali

A ben vedere infatti la Suprema Corte, con sentenza n°9043 del 20 aprile 2011, stabiliva che per superare la presunzione di gratuità delle prestazioni di lavoro rese in ambito familiare, la parte che faccia valere in giudizio diritti derivanti da tali rapporti deve offrire una prova rigorosa degli elementi costitutivi del rapporto di lavoro subordinato e, in particolar modo, dei requisiti indefettibili della subordinazione e dell’onerosità. La mera prestazione di attività lavorativa non è infatti sufficiente a far configurare un rapporto di lavoro come subordinato, dovendo risultare in modo inequivocabile un nesso di corrispettività tra la prestazione retributiva e quella lavorativa, caratterizzate entrambe dall’obbligatorietà, e che la prestazione lavorativa sia soggetta a direttive e controlli da parte del datore di lavoro.

La Sezione Tributaria della Cassazione, con la recente sentenza n°10246 del 27 aprile 2018, ha affermato che nel caso in cui vi sia una prestazione lavorativa fra persone legate da vincoli di parentela o affinità, in difetto della convivenza degli interessati, non opera ipso iure una presunzione di esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a titolo oneroso: la parte che vuole far valere i diritti derivanti da tale rapporto ha l’obbligo di dimostrarne, con prova precisa e rigorosa i requisiti dell’onerosità e della subordinazione.

La decisione

La Cassazione, nel caso in esame, ha confermato la sentenza gravata rigettando il ricorso della P.C., posto che «le risultanze istruttorie non solo non hanno fornito alcun elemento per accertare il vincolo della subordinazione…, ma hanno dimostrato l’esatto contrario e cioè che l’attività della ricorrente in ambito domestico si inseriva in un ménage familiare, in cui i fratelli F. si occupavano insieme del lavoro dell’azienda agricola e la ricorrente delle faccende di casa».

La sentenza della Corte d’Appello di Trento è dunque del tutto in linea con gli arresti giurisprudenziali della Suprema Corte, laddove sottolinea che tra persone legate da  vincoli di parentela o di affinità opera una presunzione di gratuità della prestazione lavorativa, che trova la sua fonte nella circostanza che la stessa viene resa normalmente affectionis vel  benevolentiae causa; con la conseguenza che, per superare tale presunzione, è necessario fornire la prova rigorosa degli elementi tipici della subordinazione, tra i quali, soprattutto, l’assoggettamento al potere direttivo-organizzativo altrui e l’onerosità.


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Elisa Nardocci

Nata a Viterbo nel 1990, ha conseguito la laurea in Giurisprudenza nel gennaio 2017 presso l'Università di Roma "La Sapienza", discutendo una tesi in diritto processuale civile dal titolo "La conciliazione stragiudiziale delle controversie di lavoro", relatrice Prof.ssa Roberta Tiscini. Dal febbraio 2017 svolge pratica forense presso uno studio legale che si occupa prevalentemente di diritto civile, di famiglia, del lavoro e previdenziale.

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