Prime riflessioni in tema di regionalismo differenziato e di tutela della libertà religiosa
Attualmente divampa nuovamente la polemica sul regionalismo, diversamente definito in base alle circostanze come differenziato[1], rafforzato, asimmetrico[2] o a geometria variabile[3]. Questo ultimo, sin dalla Riforma del Titolo V della Costituzionale con legge Cost. n. 3 del 2001[4], ha vissuto un periodo di lunga latitanza[5] fino ai primi effettivi accordi preliminari raggiunti dallo Stato con alcune Regioni[6]. Del resto, neanche il referendum costituzionale[7] recante “Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione” del 4 dicembre 2016 può dirsi, a ragion veduta, foriero di una diatriba effervescente sulla materia, come quella che l’attualità ci propone, forse anche come conseguenza della bocciatura scaturita all’esisto dello stesso referendum confermativo. Il tema delle autonomie territoriali dopo la Riforma del titolo V della Costituzione, avvenuta con la suddetta legge, rimane ampiamente al centro di un’accesa disputa teorica[8], testimoniata dall’amplissima produzione scientifica in merito[9], animata ulteriormente dal crescente divario tra il Nord e il Sud dell’Italia e dal fato che, sul finire della passata legislatura, la Lombardia, il Veneto e l’Emilia-Romagna[10], hanno messo in opera iniziative intese a ottenere le «forme e condizioni particolari di autonomia» menzionate dall’art. 116, comma 3 della Costituzione[11].
Lo hanno fatto disegnando, assieme al Governo allora in carica, un procedimento inedito e che ha tenuto a lungo i contenuti delle “intese preliminari” volto al trasferimento di competenze dallo Stato alle Regioni del Nord e spinto fino a coprire pressoché interamente il quadro dell’art. 117 della Costituzione. In ogni caso, il testo dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione stabilisce che ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata[12]. Dunque, il modello di regionalismo differenziato previsto dall’articolo 116, terzo comma della Costituzione prevede, come si è visto, sia la possibilità di attribuire alle Regioni l’esercizio di una potestà legislativa concorrente in alcune materie in precedenza riservate esclusivamente alla potestà legislativa dello Stato sia l’attribuzione alle Regioni della competenza esclusiva sulle materie specificamente indicate nel terzo comma dell’art. 117 Cost., oggetto precedentemente di legislazione concorrente tra lo Stato e le Regioni[13].
L’art. 116, co. 3, Cost. prevede, dunque, un procedimento diretto a produrre diritto attraverso una legge sulla base di una intesa tra Stato e Regione. Come tale, quella disposizione è una norma sulla produzione normativa[14], una norma di riconoscimento di un atto fonte dell’ordinamento costituzionale italiano. Su tale particolare procedimento attraverso il quale è possibile derogare, sia pure limitatamente agli ambiti materiali indicati, l’ordine costituzionale vi è chi ha posto in dubbio la sua compatibilità con i principi fondamentali della Costituzione, almeno nella misura in cui la deroga a norme costituzionali viene disposta attraverso un atto fonte subordinato alla Costituzione e alle fonti costituzionali, in violazione del principio di rigidità[15]. Tuttavia, al riguardo, è prevalente la dottrina che ritiene che attraverso il procedimento di revisione costituzionale possano essere individuate nuove fonti del diritto, subordinate alla costituzione, ma abilitate a derogare a singole disposizioni costituzionali[16].
In ogni caso, è pacifico che con l’art. 116 Cost., la sfera dell’autonomia regionale viene ad arricchirsi sul piano delle fonti normative e, limitando il discorso alle regioni ordinarie, l’assetto delle attribuzioni legislative, tralasciando la funzione organizzatoria degli Statuti regionali[17], trova oggi regolamentazione sia nell’art. 117 Cost. sia nelle leggi di autonomia adottate sulla base dell’art. 116 della Costituzione.
Circa, poi, la natura della fonte del regionalismo differenziato, la dottrina pare essersi attestata sulla soluzione che il procedimento legislativo, per ragioni formali e materiali specifiche, è diretto a produrre una legge atipica e rinforzata[18]. Tale soluzione ha indubbiamente risentito degli importanti punti di contatto esistenti tra l’articolo 116, comma 3, Cost. e l’articolo 8, comma 3, Cost.
Del resto, a tale riguardo, il Dossier n. 104 del 2019 del Servizio Studi del Senato della Repubblica[19] ha individuato nel modello di prassi consolidata di applicazione dell’art. 8 Cost., terzo comma, il paradigma cui deve ispirarsi il procedimento di attuazione dell’art. 116, comma 3 Cost. Infatti, il termine «intesa» utilizzato nel comma 3 dell’art. 116 ricorre nella Costituzione anche nell’art. 8, in corrispondenza della disciplina dei rapporti tra stato e confessioni religiose diverse dalla cattolica[20]. Così, proprio in riferimento alle leggi di regolazione dei rapporti tra lo Stato e le confessioni acattoliche, che l’articolo 8 Cost. richiede che esse siano adottate «sulla base di intese con le rispettive rappresentanze»[21], la dottrina prevalente ritiene che si tratti di leggi rinforzate, resistenti all’abrogazione da parte di leggi ordinarie e di atti aventi forza di legge[22].
La riflessione intorno alla natura giuridica dell’intesa tra stato e regione e al parallelismo con l’intesa tra Stato e confessioni acattoliche interessa poi anche il rapporto tra i due atti fondamentali del procedimento. Infatti, la lettera della norma stabilisce che la legge sia approvata «sulla base di intesa», formula questa che ricalca, con qualche variante, quella dell’art. 8, co. 3, Cost., secondo la quale i rapporti sono regolati «per legge sulla base di intese».
Sul tema, dunque, la dottrina si è interrogata circa l’efficacia giuridica dell’intesa in relazione alla successiva legge parlamentare di approvazione, necessaria per rendere l’intesa raggiunta tra Stato e Regione.
Circa le intese con le confessioni acattoliche per alcuni queste avrebbero solo un valore politico e non anche effetti giuridici[23]. Questa impostazione tuttavia è stata contestata sulla base della lettera della norma che prevede propriamente delle «leggi concordate» con la conseguenza che illegittime sarebbero le leggi deliberate senza intesa o in difformità dall’intesa, come pure le modifiche o le abrogazioni di leggi concordate senza previo accordo con la confessione religiosa circa i contenuti della modifica o dell’abrogazione o senza l’attivazione del procedimento di revisione costituzionale[24]. Così, con l’art. 8 viene stabilita una «forma di negoziazione politica del contenuto della legge»[25]. Del resto, le intese con le confessioni acattoliche vengono approvate articolo per articolo con una legge non emendabile poiché si tratta di sottoporre all’approvazione del Parlamento un provvedimento legislativo dal contenuto preformato integralmente in altra sede[26].
Allo stesso modo, la questione della natura dell’intesa prevista dall’art. 116, co. 3, Cost. viene risolta dalla dottrina prevalente alla luce della considerazione che intesa e legge delle Camere, nell’economia della norma, sono parti di un medesimo procedimento di produzione normativa. Dunque, la validità e l’efficacia di ciascun atto va apprezzata non in sé, ma nelle reciproche interrelazioni, ossia considerando l’atto finale come la risultante di due atti particolari.
Anche se vi è parte della dottrina che ritiene possibile per il Parlamento non solo «dare seguito all’intesa stipulata, ma anche intervenire in positivo con emendamenti sostanziali sui contenuti dell’intesa» stipulata con la Regione[27], l’interpretazione più accreditata tende a riconoscere alla legge natura di atto di approvazione dei contenuti dell’intesa, senza che il Parlamento possa modificarla. In tal senso, se la legge costituisce «l’involucro formale che la contiene», essa è finalizzata a tramutarla «da accordo stato regione in una fonte normativa dell’intero Ordinamento»[28]. Certo, al di là, delle analogie evidenziate, sussistono alcune differenze che tuttavia rendono i due modelli non del tutto equiparabili poiché, in primo luogo se sulla natura delle intese con le confessioni acattoliche la dottrina discute se esse siano atti di diritto interno (a differenza degli accordi con la Chiesa cattolica, che sono invece atti di diritto internazionale stipulati tra ordinamenti indipendenti e sovrani)[29] o atti diritto pubblico esterno (equiparabili dunque a quelli che lo Stato stipula con la Chiesa cattolica)[30], è pacifico invece che tra lo Stato e le Regioni non sussiste quel rapporto di reciproca separazione intercorrente tra ordinamenti indipendenti. In secondo luogo, si è osservato che «i margini che qualche parte della dottrina individua in relazione all’art. 8 Cost. per contenuti della legge di recepimento in certa misura estranei ed ulteriori ai termini dell’intesa con le confessioni religiose (giustificati con la genericità del richiamo, molto ampio ed indefinito, alla disciplina dei loro «rapporti con lo Stato»)»[31] con riguardo al contenuto delle intese previste dall’art. 116, comma 3, Cost., invece, il loro «perimetro», risulta definito con la puntuale indicazione delle materie di cui all’art. 117 Cost. entro le quali le forme di maggiore autonomia possono essere conseguite. Infine, a differenziare i due modelli vi sarebbe poi la possibilità di fissare per gli accordi tra Stato e Regioni un limite di efficacia temporale di dieci anni (possibilità esclusa dall’art. 8 co. 3 Cost. in materia di contrattazione bilaterale tra Stato e confessioni acattoliche) con la conseguenza che alla scadenza di tale termine, cessando la disciplina oggetto di contrattazione, si dovrà necessariamente procedere con l’emanazione di una nuova legge di approvazione che potrà confermare o modificare il precedente assetto autonomistico. Ciò detto, quello che invece appare evidente è che l’art. 116, terzo comma della Costituzione non può essere utilizzato come mera procedura di devoluzione finanziaria, cioè come strumento per lasciare ad una Regione una parte fissa del gettito fiscale percepito sul suo territorio. Non è un caso, infatti, che l’art. 119 Cost. sia invocato nell’art. 116, 3° co., come limite e non come contenuto delle ulteriori forme e condizioni di autonomia. La finanza, insomma, segue e non precede le funzioni e le risorse vengono attribuite agli enti territoriali al fine di consentire che siano integralmente finanziate le funzioni loro attribuite (art. 119, 4° co., Cost.). Pertanto, in conseguenza della devoluzione di ulteriori forme e condizioni di autonomia, l’intesa dovrà individuare il trasferimento delle risorse corrispondenti, non trasferire risorse a prescindere. Eppure, altrettanto chiaro è che tale modello di regionalismo differenziato, che prevede l’attribuzione con legge dello Stato alle Regioni di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in determinate materie sia pure nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119, determina non pochi problemi sia in ordine alle modalità di finanziamento delle nuove competenze attribuite alle Regioni sia in relazione alla previsione degli obblighi perequativi atti a compensare in prospettiva solidaristica i naturali e non eliminabili squilibri presenti sul Territorio nazionale[32].
Dunque, le modalità di finanziamento delle competenze aggiuntive assunte da determinate regioni devono essere coerenti con gli strumenti previsti ed ammessi dall’articolo 119, e cioè tributi propri, compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibili al territorio e, eventualmente, trasferimenti di natura perequativa. Così, la soluzione più immediatamente percorribile è quella di prevedere compartecipazioni sul gettito di tributi erariali riferibili al territorio differenziate tra regioni, maggiori per la regione con competenze rafforzate rispetto alle altre regioni con competenze standard.
Circa, poi, il tema della concreta fissazione del livello delle aliquote di compartecipazione per le regioni ad autonomia rafforzata (che naturalmente impatta sui profili perequativi della devoluzione asimmetrica), il rimando che l’articolo 116 fa all’articolo 119 dovrebbe essere interpretato come un richiamo alle esigenze perequativo-solidaristiche dell’intero sistema di finanza pubblica multilivello, incluse anche le eventuali forme di federalismo differenziato: anche le regioni che assumono competenze rafforzate devono partecipare al sistema di redistribuzione interregionale delle risorse attivato dal governo centrale. Ciò significa in specifico che le modalità di finanziamento di queste competenze rafforzate non possono costituire un escamotage per consentire alle regioni “ricche” di sfuggire dai doveri di solidarietà verso le aree economicamente più deboli del Paese. In altri termini, si tratta di una richiesta di “neutralità perequativa” delle modalità di finanziamento del federalismo differenziato. Così, la “neutralità perequativa” del finanziamento del federalismo differenziato sarebbe garantita se le aliquote di compartecipazione venissero fissate in modo da garantire dei gettiti esattamente pari alla spesa “storica” dello Stato nella regione richiedente per le funzioni devolute, cioè al costo dell’attuale fornitura statale per tali funzioni o, più correttamente, commisurata ai costi standard della fornitura statale nei vari territori regionali, cioè costi depurati da eventuali scelte inefficienti compiute dall’amministrazione statale in misura differenziata nei vari territori. Tuttavia, invece, spesso insieme alla rivendicazione di nuove funzioni è stata avanzatala la pretesa di certe Regioni di trattenere una quota rilevante delle imposte erariali raccolte nel proprio territorio, una quota non commisurata alla spesa storica statale di cui si chiede la devoluzione[33]. Pertanto, accanto alle richieste delle Regioni di nuove forme di autonomia aggiuntiva, si profila il rischio che il principio dell’invarianza della perequazione venga travolto[34] dalla rivendicazione delle Regioni ricche di ridurre l’intensità della perequazione interregionale di cui sono finanziatrici.
Da quanto detto appare evidente allora che il percorso intrapreso, per la dirompente radicalità delle misure proposte, può determinare un irrimediabile contrasto con il quadro costituzionale[35], dal quale deriva l’obbligo di ridurre le diseguaglianze; di garantire i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali; di adempiere i doveri inderogabili di solidarietà, anche attraverso strumenti perequativi; di assicurare la tenuta del sistema di finanza pubblica, in riferimento all’ordinamento dello Stato, delle Regioni e degli altri enti territoriali. Solo muovendo da siffatte coordinate, il principio di autonomia è coerente con il principio di unità, nel senso accolto dall’art. 5 Cost.. E l’autonomia non può non alimentarsi della costante relazione tra autonomie, intese come sistema che, nel suo equilibrio, si compone nell’unità della Repubblica. Né si può ignorare che la disciplina costituzionale delle autonomie, in specie delle Regioni, nei suoi tratti genetici e nel suo tenore normativo generale, è intesa alla composizione della frattura Nord-Sud, fattore storico di debolezza del sistema economico e del tessuto civile in Italia: composizione, non certo cristallizzazione o aggravamento. Inoltre, siffatta disegno generale pone evidenti e seri problemi anche in relazione all’esercizio del diritto di libertà religiosa e alla condizione di eguale libertà innanzi alla legge di tutte le confessioni religiose poiché molte delle materie che attualmente possono essere devolute all’autonomia regionale appaiono di grande interesse ecclesiasticistico[36]. Del resto, la previsione nel nostro ordinamento di modelli di regionalismo asimmetrico in ragione della contrattazione bilaterale tra Stato e Regioni, determina un’accentuata autonomia regionale che, nelle materie devolute alla legislazione regionale, risulta essere libera dai parametri legislativi statuali. Così, il rafforzamento delle autonomie regionali che, in ragione ex art. 116 Cost., concerne le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), può indubbiamente comportare una “inadeguata e localmente insufficiente tutela”[37] ed una compressione del diritto di libertà religiosa individuale e della eguale libertà davanti alla legge delle confessioni. Si pensi, ad esempio che, tra le materie che possono essere devolute all’autonomia regionale, vi sono quelle previste dal terzo comma dell’articolo 117 della Costituzione[38]. Esse sono quelle relative ai rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; al commercio con l’estero; alla tutela e sicurezza del lavoro; all’istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; alle professioni; alla ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; alla tutela della salute; all’alimentazione; all’ordinamento sportivo; alla protezione civile; al governo del territorio; ai porti e aeroporti civili; alle grandi reti di trasporto e di navigazione; all’ordinamento della comunicazione; alla produzione, al trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; alla previdenza complementare e integrativa; al coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; alla valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; alle casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; agli enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.
Tra esse, pertanto, notevole rilievo ecclesiasticistico per i profili inerenti alla tutela della libertà religiosa rivestono le norme in materia di istruzione, in materia di tutela dei beni culturali, in materia di tutela della salute, di alimentazione, di scurezza sul lavoro, di ordinamento sportivo e di organizzazione di attività culturali[39]. Così, se si pensa alle materie che l’articolo 117 devolve alla legislazione concorrente Stato Regioni, attraverso il nuovo sistema del regionalismo differenziato verrebbero affidati ora alla potestà legislativa esclusiva delle Regioni settori di notevole interesse ecclesiasticistico come l’istruzione[40], la valorizzazione dei beni culturali[41] e ambientali[42] e la promozione e organizzazione di attività culturali[43], la tutela e la sicurezza sul lavoro[44], la tutela della salute[45], l’alimentazione[46], l’ordinamento sportivo[47] ed il governo del territorio[48]. Tutti settori che, sempre più caratterizzati dall’incontro/scontro di divergenti istanze ed interessi religiosi in ragione della specifica appartenenza confessionale, ben possono essere interessati da discriminazioni e nei quali evidenti appaiono i profili inerenti alla tutela del diritto di libertà religiosa (dei singoli come delle diverse comunità religiose) nonché al riconoscimento dell’eguale libertà innanzi alla legge delle confessioni.
Analoghi problemi si pongono poi sia rispetto a quelle competenze che l’articolo 117 Cost., quarto comma, già attribuisce alla esclusiva competenza regionale[49], sia a quelle che, indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), originariamente di esclusiva competenza dello Stato, possono ex art. 116 Cost, co. 3 Cost. essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119.
Così, se per le materie concorrenti l’art. 117 Cost. ha attribuito la potestà legislativa alle Regioni salvo che per la determinazione dei principi fondamentali riservata alla legislazione dello Stato, l’attuale sistema di regionalismo asimmetrico determina, dunque, un diverso rapporto tra le fonti statuali e quelle regionali[50] che, oltre a generare un “disorientamento collettivo”[51], sicuramente non giova alla tutela del diritto di libertà religiosa individuale e collettiva. In tal senso, l’accrescimento della potestà legislativa Regionale può determinare una sorta di depotenziamento dei principi costituzionali riguardanti la materia ecclesiastica[52] poiché le conquiste sul versante della “legalità costituzionale”, ossia della salvaguardia e dell’inveramento dei valori fondanti la Repubblica, ottenute, nelle materie di nostro interesse, a livello nazionale, anche e forse soprattutto per effetto degli interventi della Corte costituzionale possono disperdersi nelle mille e differenti espressioni delle autonomie territoriali. Come si è detto vi è, dunque, il rischio che i sempre più ampi spazi di autonomia regionale, lungi dal soddisfare solo gli interessi religiosi locali in una ottica di prossimità, possano alterare il quadro di relazioni e di equilibri che sino ad oggi ha caratterizzato il nostro Paese e determinare paradossalmente una “polverizzazione dei diritti fondamentali”[53].
In questa prospettiva ed in maniera assai più incisiva dell’attuale sistema federalista[54], il regionalismo differenziato, attraverso specifiche normative di settore da parte delle diverse Regioni atte a soddisfare le istanze di diversificazione provenienti dalle diverse aree del paese e legate agli interessi radicati sul territorio, porta al riconoscimento di una ben più pervasiva “identità” che si traduce in una sorta di rielaborazione del generale quadro di riferimento normativo costituzionale e, per tale via, nell’adozione di un proprio sistema valoriale, in tutto o in parte divergente da quello delineato dalla Costituzione repubblicana.
E’ pur vero che l’articolo 117 Cost. assicura che la fissazione dei principi essenziali in ordine all’intera gamma dei diritti fondamentali sia tuttora materia riservata alla legislazione statale e che lo stesso articolo, al secondo comma, lett. m), Cost., si fa già carico, in via generale, dell’accennata esigenza di uniformità, affidando appunto, alla legislazione esclusiva dello Stato, la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”[55], con una riserva destinata ad incidere in modo trasversale su tutte le materie di competenza regionale[56], ma è anche vero che, in tema di libertà religiosa, la dottrina, pur non negando la sua insopprimibile dimensione relazionale, non è concorde nell’includerla nella categoria dei diritti sociali[57]. Così le nuove forme di “contrattazione decentrata”[58] previste dal regionalismo differenziato, con una così estesa sfera di azione da parte delle Regioni anche su profili di disciplina in cui ha rilievo l’esperienza religiosa, non può che determinare notevoli conseguenze in termini di tutela. Infatti, le nuove rivendicazioni “autonomistiche” ed il conseguente crescente rischio di una inadeguata e localmente insufficiente tutela[59] possono determinare, anche alla luce dei precedenti contrattazioni tra gli Enti locali e le confessioni religiose, una notevole compressione del diritto di libertà religiosa e della eguale libertà delle confessioni innanzi alla legge[60].
Quanto detto poi risulta ancora più evidente se si considera che fino ad ora nel nostro Ordinamento, al di là dell’ampia tutela accordata dall’art. 19 Cost. al diritto di libertà religiosa, manca al riguardo una normativa[61] di rango ordinario da molti auspicata non tanto e non solo per garantire i livelli essenziali di tutela da riconoscere ad ogni individuo ma anche per colmare la disparità di trattamento tra le confessioni con intesa e quelle prive di intesa, mediante l’estensione a quest’ultime – previa la loro iscrizione in un pubblico registro – di tutte o delle principali agevolazioni previste dal sistema pattizio[62]. In tal senso, infatti, si è osservato che «l’attuazione dei principi costituzionali di autodeterminazione degli individui, eguaglianza giuridica e pari dignità sociale dei medesimi, eguale libertà confessionale davanti alla legge, reciproca indipendenza degli ordini propri di sacro e profano e vincolante concertazione delle norme regolatrici di rapporti fra lo Stato e singole confessioni (principi affermati dalla Costituzione italiana in vigore negli artt. 2, 3, 7 e 8), esige un intervento pubblico a disciplina dell’esercizio della libertà in materia religiosa da parte dei soggetti destinatari dell’ordinamento giuridico profano»[63].
Tuttavia, sul tema, non manca chi, al contrario, ritiene inutile l’emanazione di una legge sulla libertà religiosa, non tanto per una sua «inutilità intrinseca», quanto per una sua presunta «incapacità ontologica» di regolare tutte le fattispecie possibili[64]. Per taluni[65], infatti, «il vero nodo consiste nell’incapacità politica di comprendere certi bisogni come domande di riconoscimento delle libertà, preferendo relegarli a più semplici richieste di carattere amministrativo»[66].
Eppure, attualmente, in ragione delle ulteriori forme di autonomia regionale di cui si discorre e del mutato rapporto tra le fonti statuali e regionali, anche tale dibattito dottrinale sulla necessità di emanare una legge quadro sulla libertà religiosa deve essere riletto alla luce del fatto che la tutela della libertà religiosa non può più essere più essere garantita da una legge ordinaria poiché, sia rispetto alle Regioni a statuto ordinario che rispetto a quelle Regioni interessate dal regime differenziato di cui all’art. 116 terzo comma Cost., non sarebbe più capace di imporre vincoli pur nel rispetto delle specialità delle autonomie regionali.
Così, oltre agli inevitabili conflitti di attribuzione Stato-Regioni che sorgeranno, innanzi alla progressiva compressione del potere legislativo statale e alla conseguente moltitudine delle fonti e delle facoltà di poter raggiungere intese liberamente modulabili nel contenuto in ragione della maggiore autonomia riconosciuta alle regioni dalla clausola di asimmetria di cui all’art. 116, co. 3 Cost., fino all’emanazione di una nuova legge costituzionale in materia, saranno le disposizioni costituzionali (in particolare l’art. 19) ed il conseguente controllo di legittimità della Corte costituzionale a rappresentare in concreto un limite all’azione legislativa regionale. Dunque, anche in tema di tutela della libertà religiosa, stante l’impossibilità per una nuova legge ordinaria di limitare le diverse normative sorte dalle diverse autonomie regionali e vista l’incapacità di vincoli di una eventuale legge ordinaria sulla libertà religiosa, solo le disposizioni costituzionali e la loro valorizzazione potrà fungere sia da limite per il legislatore regionale (in particolare in tutte quelle materie ecclesiasticamente rilevanti) sia da parametro per precisare i livelli essenziali di tutela su tutto il territorio nazionale della libertà religiosa e della eguale libertà delle confessioni innanzi alla legge. In tal modo, pertanto, le disposizioni costituzionali ed il sindacato della Corte Costituzionale svolgeranno (nella ricerca di un difficile equilibrio tra principio di sussidiarietà e di tutela della libertà religiosa) e nella perdurante inerzia del legislatore, il ruolo di vero mediatore tra l’interesse al potenziamento dell’autonomia dei vari enti territoriali e quello al mantenimento di un sufficiente livello di unità e coesione del sistema[67].
In definitiva, se certamente gli accordi preliminari del 2018 e le bozze di intesa del 2019 si muovono nel tentativo di rilanciare il regionalismo italiano, tuttavia, in attesa di verificare le reali conseguenze che sorgeranno quando verranno definitivamente attuate tali forme di regionalismo asimmetrico, l’incertezza e la fluidità del quadro attuale rende estremamente incauta, se non addirittura azzardata, qualsiasi previsione sulle possibili conseguenze lesive che il regionalismo differenziato avrà sul diritto di libertà religiosa e sulla eguale libertà delle confessioni innanzi alla legge.
[1] Sul tema cfr. L. Antonini, Il regionalismo differenziato, Giuffrè, Milano, 2000; M. Olivetti, Il regionalismo differenziato alla prova dell’esame parlamentare, in Federalismo.it,6/2019; N. Zanon, Per un regionalismo differenziato: linee di sviluppo a Costituzione invariata e prospettive alla luce della revisione del titolo V, in AA.VV., Problemi del Federalismo, Giuffrè, Milano, 2001; B. Caravita, La costituzione dopo la riforma del titolo V, Giappichelli, Torino, 2002; F. Palermo, Il regionalismo differenziato, in T. Groppi, M. Olivetti (a cura di), La repubblica delle autonomie, Giappichelli, Torino, 2001, p. 51 e ss.; M. Cecchetti, Attuazione della riforma costituzionale del titolo V e differenziazione delle regioni di diritto comune, in www.federalismi.it, 2002, p. 1 e ss.; F. Salmoni, Forme e condizioni particolari di autonomia per le regioni ordinarie e nuove forme di specialità, in A. Ferrara, G. M. Salerno, Le nuove specialità nella riforma dell’ordinamento regionale, Giuffrè, Milano, 2003, 308; T. E. Frosini, La differenziazione nel regionalismo differenziato, in www.associazionedeicostituzionalisti. it.
[2] F. Palermo, Federalismo asimmetrico e riforma della Costituzione italiana, in Le Regioni, 1997, 291 ss.; L. Antonini, Il regionalismo differenziato, Giuffrè, Milano, 2000, 32 ss.; S. Cassese, Federalismo e Mezzogiorno, in Rivista economica del Mezzogiorno, 2005, p. 5 e ss.
[3] C. Calvieri , Stato regionale in trasformazione: il modello autonomistico italiano, Giappichelli, Torino, 2002; D. Galliani, All’interno del titolo V: le «ulterori forme e condizioni particolari di autonomia» di cui all’art. 116.3 Cost. riguardano anche le regioni a statuto speciale?, in Le Regioni, 2003, 421. C’è poi chi parla di “clausola di asimmetria” (S. Mangiameli, Il riparto delle competenze normative nella riforma regionale, in Id., La riforma del regionalismo italiano, Giappichelli, Torino, 2002, p. 141), chi di “ modello neofederalista a struttura reticolare” (S. Agosta, L’infanzia «difficile» (…ed un’incerta adolescenza?) del nuovo art. 116, comma 3, Cost., tra proposte (sempre più pressanti) di revisione costituzionale ed esigenze (sempre più sentite) di partecipazione regionale alla riscrittura del quadro costituzionale delle competenze, in F. Bettinelli, F. Rigano (a cura di), La riforma del titolo V della costituzione e la giurisprudenza costituzionale, Giappichelli, Torino, 2004, p. 321 e ss.).
[4] Il primo progetto di riforma costituzionale a favore di regioni «a geometria variabile» era contenuto nella proposta di legge di revisione costituzionale di iniziativa della regione Lombardia del 9 novembre 1993 quando i lavori della Bicamerale De Mita-Jotti stavano chiudendo e poi depositato nella XII legislatura (A.S. n. 274, del 16 maggio 1994). Nel superare la distinzione tra regioni speciali e ordinarie, il testo prevedeva che la «Il parlamento approva con legge costituzionale la proposta della regione che definisce e disciplina, secondo i principi della costituzione, gli ambiti e le forme specifiche della rispettiva autonomia», formula questa che sembrava postulare un disegno di autonomia come la risultante di «una sorta di accordo fra stato e regione». Cfr. F. Pizzetti, Federalismo, regionalismo e riforma dello stato, Giappichelli, Torino, 1996, p. 160 e ss.
[5] La prospettiva di una riforma del regionalismo italiano secondo un modello di differenziazione delle politiche territoriali è stata al centro altresì della cd. devolution che, proposta nel 2001 dall’allora ministro delle riforme è confluita poi nella legge di revisione costituzionale approvata dalla maggioranza nella XIV legislatura. progetto di devolution nella versione originaria (A.S. n. 1187, approvato in prima lettura il 14 aprile 2003) prevedeva solo l’inserimento di un comma ulteriore nel corpo dell’art. 117 Cost. mantenendo fermo il testo dell’art. 116, co. 3, Cost. Tuttavia è stata respinta nel referendum costituzionale del 25-26 giugno 2006 (cfr. A. Morrone, L’ordinamento regionale tra riforme e controriforme, in AA.VV., Istituzioni e dinamiche del diritto, Giappichelli, Torino, 2005, p. 376 e ss.; Id., Promemoria per la Repubblica che verrà, in «il Mulino», 2006, 1, p. 46 e ss.; Id., Un impegno riformista dopo la rivoluzione sconfitta, in «il Mulino», 2006, 4, p. 658 e ss.; Id., , Devolution, ma presa sul serio, in Quad. cost., 2002, p. 157 e ss.; L. Vandelli, Devolution e altre storie, il Mulino, Bologna, 2002).
[6] T. Martines, A. Ruggeri, C. Salazar, Lineamenti di diritto regionale, 8a ed., Giuffrè, Milano, 2008; A. Mangia, Stato e confessioni religiose dopo la riforma del Titolo V, in Quad. dir. pol. eccl., 2/2002, p. 345 e ss.
[7] U. De Siervo, Il difficile regionalismo dalla Costituente ad oggi, in G. C. Feroni, G. Tarli Barbieri (a cura di), Le Regioni dalla Costituente al nuovo Senato della Repubblica, ESI, Napoli, 2016; F. Pizzetti, Federalismo, regionalismo e riforma dello stato, Giappichelli, Torino, 1996
[8] B. Caravita Di Toritto, La Costituzione dopo la riforma del Titolo V, Giappichelli, Torino, 2002; C. Bertolino, Stato e Regioni tra potere sostitutivo, chiamata in sussidiarietà e clausola di supremazia nella prospettiva del progetto di riforma costituzionale “Renzi – Boschi”, 26 ottobre 2016, www.federalismi.it .
[9] Sul procedimento di attuazione del regionalismo differenziato in Italia si veda R. Bin, “Regionalismo differenziato” e utilizzazione dell’art. 116, terzo comma, Cost. Alcune tesi per aprire il dibattito, in Istituzioni del federalismo, n. 1/2008, 9 ss.; A. Ruggeri, La “specializzazione” dell’autonomia regionale: se, come e nei riguardi di chi farvi luogo, ivi, 21 ss.; A. Anzon Demmig, Quale “regionalismo differenziato”?, ivi, p. 51 ss.; E. Carloni, Teoria e pratica della differenziazione: federalismo asimmetrico ed attuazione del Titolo V, ivi, 75 ss.; A. Morrone, Il regionalismo differenziato. Commento all’art. 116, comma 3, della Costituzione, in Federalismo fiscale, n. 1/2007, 139 ss.; S. Mangiameli, Appunti a margine dell’art. 116, comma 3, della Costituzione, in Le Regioni, n. 4/2017, 661 ss.; F. Palermo, Il regionalismo differenziato, in T. Groppi, M. Olivetti (a cura di), La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo Titolo V, Torino, 2003, 55 ss.; T.E. Frosini, La differenziazione regionale nel regionalismo differenziato, in Rivista giuridica del Mezzogiorno, 2002, 599 ss.; N. Zanon, Per un regionalismo differenziato: linee di sviluppo a Costituzione invariata e prospettive alla luce della revisione del Titolo V, in Aa.Vv., Problemi del federalismo, Milano 2001, 51 ss.; M. Cecchetti, La differenziazione delle forme e delle condizioni dell’autonomia regionale nel sistema delle fonti, in Osservatorio sulle fonti, 2002, 135 ss.; F. Cortese, La nuova stagione del regionalismo differenziato: questioni e prospettive, tra regola ed eccezione, in Le Regioni, n. 4/2017, 689 ss.; E. Catelani, Nuove richieste di autonomia differenziata ex art. 116 comma 3 Cost: profili procedimentali di dubbia legittimità e possibile violazione dei diritti, in Osservatorio sulle fonti, n. 2/2018; A. Napolitano, Il regionalismo differenziato alla luce delle recenti evoluzioni. Natura giuridica ed effetti della legge ad autonomia negoziata, in Federalismi.it, n. 21/2018; D. Mone, Autonomia differenziata come mezzo di unità statale: la lettura dell’art. 116, comma 3 Cost., conforme a costituzione, in Rivista AIC, n. 1/2019; M. Olivetti, Il regionalismo differenziato alla prova dell’esame parlamentare, in Federalismi.it, n. 6/2019.
[10] Lo scorso febbraio, infatti, tra il Governo e tali Regioni sono stati firmati tre preaccordi con i quali si è avviato il procedimento di differenziazione del regionalismo previsto dall’art. 116, terzo comma della Costituzione. Le bozze di intesa con le Regioni Lombardia, Veneto Emilia Romagna (consultabili all’indirizzo mail https://www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=38117) e, da ultimo, con la Campania appaiono sostanzialmente identiche. Tuttavia nelle prime tre è prevista l’adozione entro trenta giorni dalla data in cui entrerà in vigore la legge di approvazione dell’intesa, l’istituzione di una Commissione paritetica finalizzata al monitoraggio e all’individuazione delle risorse finanziarie, umane e strumentali nonché le forme di raccordo con le amministrazioni centrali, necessarie all’esercizio delle funzioni. Per la bozza di intesa con la Regione Campania, invece, si stabilisce solo che «al fine di verificare lo stato di attuazione del presente Accordo, lo Stato e la Regione, su richiesta di una delle due parti, effettuano un monitoraggio periodico sull’esercizio delle competenze attribuite, nonché verifiche su specifici aspetti o settori di attività».Circa le risorse finanziare si prevede poi che, nell’ottica di una più efficace ed efficiente erogazione di servizi pubblici ai cittadini, dovranno essere determinate per ogni singola materia, entro un anno dall’entrata in vigore dell’intesa, alla luce dei fabbisogni e dei costi standard.( in dottrina cfr. A. Zanardi, Il federalismo differenziato nell’articolo 116 della Costituzione: una breve nota, in Federalismi.it, 2006; Id., Le richieste di federalismo differenziato: una nota sui profili di finanza pubblica, in AstridRassegna,2017). In tema, la bozza di intesa con la Regione Campania prevede «l’attribuzione delle risorse finanziarie, umane e strumentali necessarie all’esercizio delle ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, trasferite o assegnate dallo Stato alla Regione, avviene sulla base di: a) livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, come sancito dall’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, e dalla legge delega n. 42 del 2009; b) fabbisogni e dei costi standard, calcolati in funzione dei livelli essenziali delle prestazioni come sopra definiti e non della spesa storica». Sul tema si rinvia anche a S. Mangiameli, L’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione con particolare riferimento alle recenti iniziative delle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Indagine conoscitiva della Commissione parlamentare per le questioni regionali. Audizione del 29 novembre 2017, in www.issirfa.cnr.it.;G. Pallotta, Autonomia, decentralizzazione e regionalismo differenziato, in Il diritto amministrativo, Rivista giuridica telematica; G. D’Angelo, Autonomia, decentralizzazione e regionalismo differenziato, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2019; A. Morelli, Ascese e declini del regionalismo italiano. Quali prospettive dopo i referendum di Lombardia e Veneto?, in Le Regioni, 3-2017, pp. 322-327; P. Giangaspero, Ancora sul processo di differenziazione dell’autonomia regionale ordinaria: le prospettive di applicazione dell’art. 116, comma 3, Cost. tra principio negoziale, vincoli procedurali ed impatto sul sistema delle fonti del diritto, in Le Regioni, 2018, p. 163 e ss.; T. Martines, L’«intreccio delle politiche» tra partiti e Regioni: alla ricerca dell’autonomia regionale, 1988; scritti raccolti in Opere, Giuffrè, Milano, 2000; L. Dainotti, L. Violini, I referendum del 22 ottobre: una nuova tappa del percorso regionale verso un incremento dell’autonomia, in Le Regioni, 4-2017, pp. 713-726. Si rinvia inoltre al Dossier numero 104 del 2019 del Servizio Studi del Senato, Ufficio ricerche sulle questioni regionali e delle autonomie locali, Il processo di attuazione del regionalismo differenziato.
[11] Art. 116 Cost., comma 3, ultima alinea: “La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessa”. Tale legge atipica o rafforzata può ricondursi ad un atto normativo facente parte della categoria delle fonti rinforzate. Sul punto si veda N. Zanon, Per un regionalismo differenziato: linee di sviluppo a Costituzione invariata e prospettive alla luce della revisione del Titolo V, in AA.VV., Problemi del federalismo, Giuffrè, Milano, 2001. F. Palermo, Il regionalismo differenziato, in T. Groppi, M. Olivetti (a cura di), La repubblica delle autonomie, Giappichelli, Torino, 2001; U. De Siervo, Il difficile regionalismo dalla Costituente ad oggi, in G. C. Feroni, G. Tarli Barbieri (a cura di), Le Regioni dalla Costituente al nuovo Senato della Repubblica, ESI, Napoli, 2016; S. Agosta, L’infanzia «difficile» (…ed un’incerta adolescenza?) del nuovo art. 116, comma 3, Cost., tra proposte (sempre più pressanti) di revisione costituzionale ed esigenze (sempre più sentite) di partecipazione regionale alla riscrittura del quadro costituzionale delle competenze, in F. Bettinelli, F. Rigano (a cura di), La riforma del titolo V della costituzione e la giurisprudenza costituzionale, Giappichelli, Torino, 2004, p. 321 e ss.; A. Barbera, C. Fusaro, Corso di diritto pubblico, il Mulino, Bologna, 2006.
[12] Cfr. A. Cariola, F. Leotta, Art. 116, nel vol. R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, Commentario alla Costituzione, Utet, Torino, 2006.
[13] Sono le le materie indicate dal secondo comma dell’ art. 117 Cost. alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s). In dottrina si veda R. Bifulco, M. Cecchetti, Le attuali prospettive di attuazione dell’art. 116, comma 3, della Costituzione: una ipotesi di intesa nella materia tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, in Le Regioni, 4-2017, pp. 757-770; S. Mangiameli, Appunti a margine dell’art. 116, comma 3 della Costituzione, in Le Regioni, 4-2017, pp. 669-671.
[14] M. Cecchetti, Attuazione della riforma costituzionale del titolo V e differenziazione delle regioni di diritto comune, in
www.federalismi.it, 2002.
[15] L. Elia, Audizione, in Indagine conoscitiva sugli effetti nell’ordinamento delle revisioni del titolo V della parte II della Costituzione, Senato della Repubblica, 23 ottobre 2001, ora in T. Groppi, M. Olivetti (a cura di), La Repubblica delle autonomie, Giappichelli, Torino, 2001, pp. 18- 19.
[16] A. Morrone, Il regionalismo differenziato. Commento all’art. 116, comma 3, della Costituzione, in Federalismo fiscale, 1, 2017, p. 139 e ss.. Il caso previsto dall’art. 116, co. 3, Cost., dunque, non sarebbe nuovo. L’art. 73, ult. co., Cost., ad esempio, autorizza la legge ordinaria a derogare il termine di vacatio legis stabilito in quindici giorni; l’art. 122, ult. co., Cost., proprio per effetto della legge cost. n. 1 del 1999, consente agli statuti delle regioni ordinarie di derogare la regola dell’elezione del presidente della giunta regionale a suffragio universale e diretto. Ipotesi simili, più che violazioni della rigidità costituzionale, rappresentano casi di autorizzazione da parte della stessa Costituzione di deroghe puntuali a disposizioni di rango costituzionale. Cfr. sul tema F. Modugno, Ricorso al potere costituente o alla revisione costituzionale?, in Giur. it., 1998, 1, p. 620 e ss.
[17] A tale riguardo si rinvia a A. Morrone, Statuti regionali o chimere federali?, in «il Mulino», 2005, 2, p. 229 e ss.
[18] Sul tema si rinvia alla nota n. 10
[19] Consultabile liberamente all’indirizzo http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/DOSSIER/0/1103442/index.html.
[20] Circa le analogie sussistenti tra le intese dell’art. 116 e quelle dell’art. 8, co. 3, Cost., cfr. F. Palermo, Il regionalismo differenziato, in T. Groppi, M. Olivetti (a cura di), La Repubblica delle autonomie. Regioni ed enti locali nel nuovo Titolo V, Giappichelli, Torino, 2003, p. 58 e ss.. Per le differenze che intercorrono tra questi due tipi di intesa si veda invece G. D’Angelo, L’utile “fine del monopolio delle scienze ecclesiasticistiche”. Prime riflessioni su diritto ecclesiastico e autonomia differenziata delle Regioni ordinarie, in Rivista telematica Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2019. Il termine “intesa”, poi ricorre anche in altre disposizioni costituzionali. Si pensi, ad esempio: all’art. 117, co. 8 e 9, dove l’intesa è modulo organizzatorio sia delle relazioni interregionali, sia delle relazioni internazionali o di «politica estera» regionale; all’art. 118, co. 3, che prevede «forme di intesa e coordinamento nella materia dei beni culturali» tra lo stato e le regioni disciplinate con legge statale.
[21] M. Tedeschi, Manuale di diritto ecclesiastico, Giappichelli, Torino 2010; S. Landolfi, L’intesa tra Stato e culto acattolico: contributo alla teoria delle fonti del diritto ecclesiastico italiano, Jovene, Napoli, 1962, p. 89 e ss; C. Cardia, Stato e confessioni religiose, il Mulino, Bologna, 1990; N. Colaianni, Confessioni religiose e intese, Cacucci, Bari, 1990; P. A. D’Avack, nella voce Concordato ecclesiastico, dell’Enciclopedia del diritto (1961, vol. VIII).
[22] M. Tedeschi, Manuale di diritto ecclesiastico, Giappichelli, Torino 2010; S. Landolfi, L’intesa tra Stato e culto acattolico: contributo alla teoria delle fonti del diritto ecclesiastico italiano, Jovene, Napoli, 1962, p. 89; P.A. D’Avack, La libertà religiosa nella normativa della costituzione repubblicana italiana, in Studi per il ventesimo anniversario dell’Assemblea Costituente, Vallecchi, Firenze, 1969, vol. II, Le libertà civili e politiche, p. 176; G. Ferrari, Le leggi rinforzate nell’ordinamento italiano, in Studi sulla Costituzione, Giuffrè, Milano, 1958, vol. II, p. 479 e ss.; E. Spagna Musso, Costituzione rigida e fonti atipiche, Morano, Napoli, 1966, p. 88; V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, Cedam, Padova, 1984, p. 214 e ss.; L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, il Mulino, Bologna, 1996, p 195; V. Onida, Profili costituzionali delle intese, in C. Mirabelli (a cura di), Le intese tra Stato e confessioni religiose: problemi e prospettive, Giuffrè, Milano, 1978, p. 27 e ss.
[23] S. Landolfi, L’intesa tra Stato e culto acattolico: contributo alla teoria delle fonti del diritto ecclesiastico italiano, Jovene, Napoli, 1962, p. 95 e ss. che cita, criticandole, le opinioni di V. Del Giudice, Manuale di diritto ecclesiastico, Giuffrè, Milano, 1960, p. 59 e ss., seguito poi da M. Petroncelli, Manuale di diritto ecclesiastico, Jovene, Napoli, 1965, p. 137 e ss. Per un esame approfondito delle diverse opinioni dottrinali sulla natura dell’intesa ex art. 8 Cost. e sul relativo rapporto con la legge approvata sulla base di essa, v. B. Randazzo, La legge «sulla base» di intese tra Governo, Parlamento e Corte costituzionale. Legge di approvazione?, in Quad. dir. pol. eccl., 2001, 213 ss.; G. V. Patierno, L’attuazione delle disposizioni costituzionali in tema di rapporti tra Stato e confessioni religiose diverse dalla cattolica, in Amministrativamente, n. 6/2009.
[24] F. Finocchiaro, Commento all’art. 8, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Zanichelli, Roma-Bologna, 1975, pp. 416-417; S. Lariccia, Intese con le confessioni religiose diverse dalla cattolica, Intese con le confessioni religiose diverse dalla cattolica, in S. Cassese (a cura di), Dizionario di Diritto pubblico, Giuffrè, Milano, 2006, p. 3223 e ss..
[25] N. Colaianni, Confessioni religiose e intese, Cacucci, Bari, 1990, p. 148 e ss.
[26] In sostanza la Legge di approvazione è una norma di «compartecipazione alla decisione o alla scelta politica consacrata nell’atto che forma il contenuto della legge». Con la conseguenza che «l’atto approvato con legge […] fa corpo con la legge che l’approva sicché nessuna modifica se ne rende possibile se non con l’impiego della forma propria dell’atto legislativo, o ad esso equivalente». Cfr. C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Cedam, Padova, vol. II, 1976, p. 670 e ss.
[27] In tal senso «l’intesa tra lo stato e la regione interessata, in sé autonoma e efficace, di autonomia senza la legge del parlamento che sanzioni l’accordo, immettendone il contenuto nell’ordinamento giuridico sotto forma di disposizioni normative. La norma costituzionale prescrive che la legge sia «sulla base» dell’intesa: espressione questa che non equivale alla formula «in conformità», perché indica solamente la volontà che la legge sia approvata solo se c’è un’intesa, tenendo conto delle risultanze dell’intesa, apprezzate però complessivamente. In sintesi: non siamo in presenza di intese normative, che assurgono a autentiche fonti del diritto, come – sia pure in maniera non pacifica – si riconosce nei confronti degli accordi per il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, in ragione del rinvio mobile ad essi effettuato da parte della legge. Nell’art. 116 Cost. l’intesa è parte di un procedimento sulla produzione normativa, nel quale le norme giuridiche vere e proprie derivano dalla legge, quale unica fonte del diritto abilitata a innovare l’ordinamento giuridico, sia pure previa intesa tra lo stato e le regioni». Ancora « L’unico vincolo che deriva dall’art. 116, co. 3, Cost., è la previa intesa, nel senso che la legge di autonomia negoziata non potrebbe essere adottata in assenza di un accordo di base tra Stato e Regione interessata. Per il resto il parlamento resta libero di decidere».Così A. Morrone, Il regionalismo differenziato. Commento all’art. 116, comma 3, della Costituzione, in Federalismo fiscale, 1, 2017, p.164. Allo stesso modo G. D’Angelo, L’utile “fine del monopolio delle scienze ecclesiasticistiche”. Prime riflessioni su diritto ecclesiastico e autonomia differenziata delle Regioni ordinarie, in Rivista telematica Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2019.
[28] N. Zanon, Per un regionalismo differenziato: linee di sviluppo a Costituzione invariata e prospettive alla luce della revisione del titolo V, in AA.VV., Problemi del Federalismo, Giuffrè, Milano, 2001, p. 54; cfr. S. Agosta, L’infanzia «difficile» (…ed un’incerta adolescenza?) del nuovo art. 116, comma 3, Cost., tra proposte (sempre più pressanti) di revisione costituzionale ed esigenze (sempre più sentite) di partecipazione regionale alla riscrittura del quadro costituzionale delle competenze, in F. Bettinelli, F. Rigano (a cura di), La riforma del titolo V della costituzione e la giurisprudenza costituzionale, Giappichelli, Torino, 2004, p. 334; G. Giangaspero, Ancora sul processo di differenziazione dell’autonomia regionale ordinaria: le prospettive di applicazione dell’art. 116, comma 3, Cost. tra principio negoziale, vincoli procedurali ed impatto sul sistema delle fonti del diritto, in Le Regioni, 2018, p. 163 e ss.; F. Cortese, La nuova stagione del regionalismo differenziato: questioni e prospettive, tra regola e eccezione, in Le Regioni, 4-2017, p. 706 e ss.; G. Piccirrilli, Gli “Accordi preliminari” per la differenziazione regionale. Primi spunti sulla procedura da seguire per l’attuazione dell’art. 116, terzo comma Cost., in Quaderni costituzionali, 2018, 2, p. 10 e ss.
[29] M. Tedeschi, Manuale di diritto ecclesiastico, Giappichelli, Torino, 2010; S. Landolfi, L’intesa tra Stato e culto acattolico: contributo alla teoria delle fonti del diritto ecclesiastico italiano, Napoli, 1962, p. 89; P.A. D’avack, La libertà religiosa nella normativa della costituzione repubblicana italiana, in Studi per il ventesimo anniversario dell’Assemblea Costituente, Firenze, 1969, p. 176 e ss.; C. Cardia, Stato e confessioni religiose, Il Mulino, Bologna, 1990, p. 158; N. Colaianni, Confessioni religiose e intese, Bari, 1990, p. 185 e ss. Cfr. altresì F. Bolognini, I rapporti tra Stato e confessioni religiose nell’art. 8 della Costituzione, Giuffrè, Milano, 1981, p. 145; S. Lariccia, Diritto ecclesiastico, Cedam, Padova, 1986, pp. 372-373.
[30] A. Amorth, La Costituzione italiana. Commento analitico, Giuffrè, Milano, 1948, p. 53; P. Barile, Appunti sulla condizione dei culti acattolici, in Id, Scritti di diritto costituzionale, Cedam, Padova, 1967, p. 145 e ss.; F. Finocchiaro, Diritto ecclesiastico, Zanichelli, Bologna, 1996, p. 105.
[31] Così P. Giangaspero, Ancora sul processo di differenziazione dell’autonomia regionale ordinaria: le prospettive di applicazione dell’art. 116, comma 3, Cost. tra principio negoziale, vincoli procedurali ed impatto sul sistema delle fonti del diritto, in Le Regioni, 2018, p. 168; contra F. Gallarati, Il ruolo del Parlamento nell’attuazione del regionalismo differenziato tra Italia e Spagna, in DPCE online, 2019/1.
[32] Cfr. A. Zanardi, Le richieste di federalismo differenziato: una nota sui profili di finanza pubblica, in Astrid-Rassegna, 11-2017 consultabile all’indirizzo http://www.upbilancio.it/wp-content/uploads/2018/03/zanardi_intervento-tavola-rotonda.pdf.
[33] Si pensi, ad esempio, alla delibera della giunta della Regione Veneto del marzo 2016 con cui si avvia la procedura per la negoziazione con il governo e il referendum consultivo del prossimo ottobre. Questa delibera prevede semplicemente l’attribuzione alla Regione Veneto dei 9/10 dei gettiti dei principali tributi erariali (Irpef, Ires, Iva) raccolti dai contribuenti regionali. Si veda anche l’articolo 2 della delibera del Consiglio Regionale del Veneto n. 155 del 15 novembre 2017.
[34] Ciò comprometterebbe il paradigma previsto dagli artt. 116 e 119 Cost. che differenzia il trasferimento delle competenze da quello dei finanziamenti poiché determinerebbe nelle Regioni meno sviluppate l’impossibilità di raggiungere quei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili.
[35] Inoltre, l’attuale modello di regionalismo differenziato oltre a ridisegnare i rapporti tra legislazione statale e regionale determina sia una riconfigurazione dei vincoli che la legislazione statale può imporre alle Regioni sia problemi inerenti al criterio per materia in base al quale sono individuate le competenze proprie della legislazione statale e quelle proprie della legislazione regionale ( sul tema si rinvia a L. Rampa, Q. Camerlengo, Dopo il referendum costituzionale: ripensare le competenze in un’ottica di efficienza, in Le Regioni, 2017, 3 , p. 328 e ss.).
[36] Ne parla diffusamente G. Casuscelli, s.v. Diritto ecclesiastico regionale, in Digesto delle discipline pubblicistiche, V, 1990, p. 246 e ss.
[37] Espressione adoperata da A. Licastro , Libertà religiosa e competenze amministrative decentrate, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it,) 2019.
[38] Sulla riforma del titolo V della Costituzione e sulle competenze delle Regioni in materia religiosa si rinvia a A. Bettetini,Tra autonomia e sussidiarietà: contenuti e precedenti delle convenzioni a carattere locale tra Chiesa e Istituzioni pubbliche, in Stato, Chiese e Pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2010.
[39] Per uno studio sulle leggi regionali che tutelano gli interessi religiosi nel sistema delle fonti del diritto ecclesiastico cfr. G. Casuscelli, Interessi religiosi e legislazione regionale (Relazione introduttiva), in AA.VV., Interessi religiosi e legislazione regionale (Atti del Convegno di studi – Bologna, 14-15 maggio 1993), a cura di R. Botta, Giuffrè, Milano, 1994, p. 16 e ss.. Si veda inoltre P. Floris, Laicità e collaborazione a livello locale. Gli equilibri tra fonti centrali e periferiche nella disciplina del fenomeno religioso, in Stato, Chiese e Pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), febbraio 2010.
[40] G. Cimbalo, Riti religiosi e benedizione pasquale nelle scuole pubbliche, in Diritto e Religioni, 1, 2016, pp. 105-121; N. Fiorita, Scuola pubblica e religioni, Tricase, Libellula, 2012; L. Zannotti, Le cerimonie religiose nella scuola pubblica, in Dir. eccl., 1993, II, p.215 e ss.; D. Ferrari, Scuola pubblica e convinzioni religiose: i nuovi orizzonti della laicità francese, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 24/2016, pp. 465-80; P. Cavana, Libertà religiosa e scuola pubblica. La piccola querelle delle benedizioni pasquali, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 2/2017, 23 gennaio 2007; P. Cavana, Benedizioni pasquali, libertà religiosa e scuola laica, in Il diritto di famiglia e delle persone, 2016, 45, 2, pp. 501-517; P. Lillo,
Le istituzioni educative nella Costituzione italiana, in Stato, Chiese e Pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2019.
[41] F. Petroncelli Hubler, I beni culturali religiosi. Quali prospettive di tutela, Jovene, Napoli, 2008; I. Bolgiani, I beni culturali di interesse religioso tra Intesa nazionale e accordi regionali, in Stato, Chiese e Pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2012; A. G. Chizzoniti, Il nuovo Codice dei beni culturali e del paesaggio: prime considerazioni di interesse ecclesiastico, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 2004, fasc. 2, p. 399 e ss.; Id., L’intesa del 26 gennaio 2005 tra Ministero per i beni e le attività culturali e Conferenza episcopale italiana: la tutela dei beni culturali di interesse religioso appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche tra continuità ed innovazione, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 2005, fasc. 2, p. 387 e ss.; G. Feliciani, Beni culturali di interesse religioso: legislazione dello Stato ed esigenze di carattere confessionale, Il Mulino, Bologna, 1995; A. Bettetini, Tra autonomia e sussidiarietà: contenuti e precedenti delle convenzioni a carattere locale tra Chiesa e Istituzioni pubbliche, in collaborazione a livello locale. Gli equilibri tra fonti centrali e periferiche nella disciplina del fenomeno religioso, in Stato, Chiese e Pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2010; E. Camassa, I beni culturali di interesse religioso. Principio di collaborazione e pluralità degli ordinamenti, Giappichelli, Torino, 2013; F. Passaseo, La tutela dell’interesse religioso dei beni culturali. Riflessioni tra ius conditum e ius condendum, in Stato, Chiese e Pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2018; I. Vecchio Cairone, Principio di bilateralità e processi di innovazione. Il caso emblematico del patrimonio culturale a valenza religiosa, in Diritto e Religioni, 1-2014, p. 251 e ss.; B. Serra, La protección de los bienes culturales de la Iglesia católica: la experiencia italiana, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2017; L. Baraldi, A. Pignatti, Il patrimonio culturale di interesse religioso. Sfide e opportunità tra scena italiana e orizzonte internazionale, Franco Angeli, Milano, 2017; M. Pedini, Il problema della tutela dei beni culturali, in La Chiesa e i beni culturali, Atti del Convegno di Studio organizzato dalla Regione Ecclesiastica Toscana in collaborazione con la Commissione Pontificia Centrale per l’Arte Sacra in Italia, Massimo, Milano, 1978, p. 30; M. Piacenza, Istituzione e sinergia nella cura dei beni culturali fra Chiesa e Pubblica Amministrazione,2006, in www.vatican.va, p. 1 e ss.; A. Paolucci, Interesse culturale e valenza religiosa: problemi di applicazione della normativa vigente, in Beni culturali di interesse religioso: legislazione dello Stato ed esigenze di carattere confessionale, a cura di G. Feliciani, il Mulino, Bologna, 1995, p. 211.
[42] A. Fuccilo, Le proiezioni collettive della libertà religiosa, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2019; F. Balsamo, Enti religiosi e tutela dell’ambiente, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2015; A. P. Tavani, “Frate sole” e il fotovoltaico. Il ruolo della parrocchia e la tutela dell’ambiente tra normativa statale e Magistero della Chiesa cattolica, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2012.
[43] M .C. Folliero, Enti religiosi e non profit tra welfare state e welfare community. La transizione, Giappichelli, Torino, 2002.
[44] N. Colaianni, Divieto di discriminazione religiosa sul lavoro e organizzazioni religiose, in Stato, Chiese e Pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2018 ; L. Saporito, F. Sorvillo, L. Decimo, Lavoro, discriminazioni religiose e politiche d’integrazione, in Stato, Chiese e Pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2017; A. Licastro, Quando è l’abito a fare il lavoratore. La questione del velo islamico, tra libertà di manifestazione della religione ed esigenze dell’impresa, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (wwww.statochiese.it), 2015; F. Pastore, S. Tenaglia, Appartenenza religiosa e scelte lavorative delle donne: ora et non labora?, in AA. VV, Esercizi di laicità interculturale e pluralismo religioso, a cura di A. Fuccillo, Giappichelli, Torino, 2014, p. 47 e ss.; A. De Oto, Precetti religiosi e mondo del lavoro, EDiesse, Roma, 2007; A. Bettetini, Identità religiosa del datore di lavoro e licenziamento ideologico nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in I quaderni europei, aprile 2011, n. 30, p. 10.
[45] B. Serra, Sanità, religione, immigrazione. Appunti per una realizzazione equa e sostenibile del diritto alla salute, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2016; D. Durisotto, Il valore del dissenso al trattamento sanitario nell’ordinamento giuridico. Un difficile bilanciamento di principi, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), maggio 2009; G. Anello, Multiculturalità, “diritti” e differenziazioni giuridiche: il caso dei trattamenti sanitari, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 29 aprile 2013; E. Camassa, Le questioni bioetiche: direttive anticipate di trattamento e libertà religiosa, in V. Tozzi, G. Mscrì, M. Parisi, Proposte di riflessione per l’emanazione di una legge generale sulle libertà religiose, Giappichelli, Torino, 2010; G. Carobene, Sul dibattito scientifico e religioso in tema di “fine vita”: accanimento terapeutico, stato vegetativo ed eutanasia, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), n. 9/2015,16 marzo 2015; A. Palma, Finis vitae. Il biotestamento tra diritto e religione, Artetetra, Capua, 2018; L. M. Guzzo, Prime osservazioni sul Protocollo d’intesa tra la Regione Calabria e la Conferenza Episcopale Calabra per la disciplina dell’assistenza religiosa cattolica nelle strutture sanitarie, in Stato, Chiese e Pluralismo Confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2017;
[46] A. Fuccillo, Il cibo degli dei. Diritto, religioni, mercati alimentari, Giappichelli, Torino, 2016; c. Del Bò, Le regole alimentari religiose e i menù delle mense scolastiche: una sfida per la laicità, in Stato, Chiese e Pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2019; A. Chizzoniti, M. Tallacchini, Cibo e religione: diritto e diritti, Libellula Edizioni, Tricase (LE), 2010; E. Ceva (a cura di), Pluralismo alimentare: giustizia,tolleranza e diritti, in Notizie di Politeia, 114/2014; M. Bottiglieri, The protecion of the Right to adequate food in the Italian Constitution, in Forum di Quaderni Costituzionali – Rassegna n. 11/2015, su www.forumcostituzionale.it.; Id., Diritto al cibo adeguato e libertà religiosa nella Costituzione italiana, in Orientamenti sociali sardi, 1-2015; A. Ferrari, Cibo, diritto, religione. Problemi di libertà religiosa in una società plurale, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2016; M. C. Giorda, L. Bossi, Mense scolastiche e diversità religiosa. Il caso di Milano, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it),2016.
[47] M. C. Ivaldi, Discriminazione e propaganda religiosa nel diritto calcistico, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), febbraio 2015; C. Gagliardi, “Sport e Religioni”, in Diritto e Religioni, 2013, p. 223 e ss.; C. Gagliardi, “Il simbolismo religioso nello sport: il caso Chahida”, in Diritto e Religioni, 2014, p. 205 e ss.; N. Fiorita, Non solo per gioco: la religione nell‟ordinamento sportivo, in Stato, Chiese e Pluralismo confessionale, Rivista Telematica (www.statoechiese.it), ottobre 2015; a. De Oto, Sport, religione e pluralismo culturale: le molteplici forme di lotta alla discriminazione etnico-confessionale, in Stato, Chiese e Pluralismo confessionale, Rivista Telematica (www.statoechiese.it), 2017.
[48] R. Mazzola, Laicità e spazi urbani. Il fenomeno religioso tra governo municipale e giustizia amministrativa, in Stato, Chiese e Pluralismo confessionale, Rivista Telematica (www.statoechiese.it), 2010; N. Marchei, La legge della Regione Lombardia sull’edilizia di culto alla prova della giurisprudenza amministrativa, in Stato, Chiese e Pluralismo confessionale, Rivista Telematica (www.statoechiese.it), 2014.
[49] Si pensi, ad esempio, alla materia dell’urbanistica e dell’edilizia di culto e alle recenti Leggi regionali del Veneto ( Legge n. 12 del 2016), della Lombardia (Legge n. 2 del 2015) e della Liguria (Legge n. 23 del 2016) in materia di edilizia di culto. Sulla parziale illegittimità costituzionale delle leggi regionali del Vento e della Lombardia cfr. Corte Cost. sentenze numero 67 del 2017 e numero 63 del 2016 ( si veda in dottrina. F. Oliosi, Libertà di culto, uguaglianza e competenze regionali nuovamente al cospetto della Corte Costituzionale: la sentenza n. 67 del 2017, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2017; Id., La Corte Costituzionale e la legge regionale lombarda: cronaca di una morte annunciata o di un’opportunità mancata?,in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2016; N. Marchei, Le nuove leggi regionali antimoschee, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2017; Id., La normativa della Regione Lombardia sui servizi religiosi: alcuni profili di incostituzionalità alla luce della recente novella introdotta dalla legge «anti-culto», in Quad. dir. e pol. eccl., 2/2015, pp. 411-421; A. Fabbri,La Corte costituzionale di fronte alla “legge anti-moschee” della Lombardia, in Newsletter OLIR.it, Anno XIII, n. 4/2016; M. Croce, L’edilizia di culto dopo la sentenza n. 63/2016: esigenze di libertà, ragionevoli limitazioni e riparto di competenze fra Stato e Regioni,in Forum di Quaderni costituzionali, 3 maggio 2016; G. Monaco, Confessioni religiose: uguaglianza e governo del territorio (brevi osservazioni a margine della sentenza della Corte costituzionale n. 63/2016), in forumcostituzionale.it, 2 luglio 2016; G. Casuscelli, La nuova legge regionale lombarda sull’edilizia di culto: di male in peggio, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), n.14/2015, 27 aprile 2015; A. Fossati, Le nuove norme, asseritamente urbanistiche, della Regione Lombardia sulle attrezzature religiose, in Quad. dir. e pol. eccl., 2/2015, pp. 425-439;F. Oliosi, La legge regionale lombarda e la libertà di religione: storia di un culto (non) ammesso e di uno (non?) ammissibile, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, cit., n. 3/2016; A. Tira, La nuova legge regionale lombarda sull’edilizia di culto: profili di illegittimità e ombre di inopportunità, in Newsletter OLIR.it,Anno XII, 2015). Ulteriore esempio sul tema sono poi le cosiddette ordinanze comunali antikebab. Sul tema cfr. M. Magrassi, Le c.d. «ordinanze anti-kebab», in Le Regioni, 2010, 2, pp. 325-332.
[50] G. Casuscelli, Diritto ecclesiastico ed attuazione costituzionale tra de-formazione e proliferazione delle fonti, in Stato, Chiese e Pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2010.
[51] R. Botta, “Regionalismo forte” e tutela del sentimento religioso dei cittadini, in Pol. dir., 1996/1, p. 136 e ss.
[52] Cfr. sul tema G. Casuscelli, Il diritto alla moschea, lo Statuto lombardo e le politiche comunali: le incognite del federalismo, in Stato, Chiese e Pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2009; G. D’Angelo, Uniformità della reazione ed incidenza delle differenziazioni territoriali: l’interpretazione “locale” del divieto di comparire “mascherati” in luogo pubblico al cospetto del valore costituzionale del diritto di libertà religiosa, in AA.VV., Multireligiosità e reazione giuridica, a cura di A. Fuccillo, Torino, Giappichelli Editore, 2008, p. 361; G. CIMBALO, Introduzione, in AA.VV., Federalismo fiscale, principio di sussidiarietà e neutralità dei servizi sociali erogati. Esperienze a confronto. Atti del Convegno di Ravenna, 4-6 maggio 2006, a cura di A. De Oto e F. Botti, Bologna, Bononia University Press, 2007, p. 27 e p. 31 s.; N. Colaianni, Eguaglianza e diversità culturali e religiose. Un percorso costituzionale, Bologna, Il Mulino, 2006, G. D’Angelo, Il principio di sussidiarietà tra “devoluzione” ed “integrazione”: recenti sviluppi normativi e giurisprudenziali, in AA.VV., Federalismo, regionalismo e principio di sussidiarietà orizzontale, Atti del Convegno di Ravenna, 4-6 maggio 2006, a cura di A. De Oto e F. Botti, Bologna, Bononia University Press, 2007 p. 445.
[53] N. Fiorita, La legislazione regionale di attuazione del D.Lgs. n. 112/1998: una breve rassegna, in Quad. dir. pol. eccl., 2/2001, p. 395.
[54] G. Pastori, Regioni e confessioni religiose nel nuovo ordinamento costituzionale, in Quad. dir. pol. eccl., 1/2003, p. 5; U. De Siervo, Il fattore religioso nella prospettiva del federalismo, in AA.VV., Confessioni religiose e federalismo, a cura di G. Feliciani, Il Mulino, Bologna, 2000.
[55] Per la inclusione fra tali diritti di quelli attinenti alle libertà religiose, P. Consorti, Nuovi rapporti fra la Repubblica e le confessioni religiose? Sui riflessi ecclesiasticistici della riforma del Titolo V, parte seconda, della Costituzione, in Quad. dir. pol. eccl., 1/2003, p. 17; G. Dalla Torre, P. Cavana, Conoscere il diritto ecclesiastico, Roma, Edizioni Studium, 2006, p. 145;
[56] La salvaguardia di standard territorialmente uniformi di tutela dei diritti civili e sociali in genere, potrebbe suggerire di guardare alla riserva in questione come ad una sorta di clausola generale o ad una materia c.d. trasversale, che incide cioè su porzioni o ambiti di (altre) materie, e anzi, tendenzialmente, di tutte le altre materie, rientranti nella competenza delle Regioni.
[57]Sul tema si rinvia a P. Consorti, Nuovi rapporti fra la Repubblica e le confessioni religiose? Sui riflessi ecclesiasticistici della riforma del Titolo V, parte seconda, della Costituzione, in Quad. dir. pol. eccl., 1/2003, p. 17; M. Luciani, Sui diritti sociali, in Scritti in onore di M. Mazziotti, II, Cedam, Padova, 1995; A. Baldassarre, Diritti sociali, in Enc giur. Treccani, Roma, 1989.
[58] P. Consorti, Diritto e Religione, Laterza, Roma-Bari, 2014, p. 242.
[59] Così A. Licastro, Libertà religiosa e competenze amministrative decentrate, in Stato, Chiese e Pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), novembre 2010.
[60] Sul tema si rinvia a B. Randazzo, Diversi ed eguali. Le confessioni religiose davanti alla legge, Giuffrè, Milano, 2008.
[61] «In attuazione degli articoli 8 e 7, poi, questa legge ordinaria, di carattere generale, dovrà anche stabilire i requisiti necessari per l’attribuzione della peculiare qualifica di “confessione religiosa” alle forme apicali della religiosità collettiva, al fine di dare rilievo alle loro più specifiche esigenze, garantendole più puntualmente, rispetto alle altre soggettività collettive di questo genere, meno strutturate, ma non meno protette». Così V. Tozzi, Cosa intendo per disciplina democratica della libertà di pensiero e di religione, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, rivista telematica (www.statoechiese.it), 14 aprile 2014; cfr. anche V. Tozzi, Libertà religiosa e proposte di riforma della legislazione ecclesiastica in Italia, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, rivista telematica (www.statoechiese.it), 2017.
[62] G. Casuscelli, Una disciplina-quadro delle libertà di religione: perché, oggi più di prima, urge “provare e riprovare” a mettere al sicuro la pace religiosa, in Rivista Telematica Stato, Chiese e pluralismo confessionale, www.statoechiese.it., n. 26-2017, pp. 1-26; V . Tozzi, La nostra proposta di riflessione per l’emanazione di una legge generale sulle libertà religiose, in V. Tozzi, G. Macrì, M. Parisi, Proposta di riflessione per l’emanazione di una legge generale sulle libertà religiose, Giappichelli, Torino, 2010; A. Ferrari, Una «legge quadro» per il diritto di libertà religiosa. La proposta del gruppo di studi Astrid, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 2-2017, pp. 377-402; Id., La proposta di legge in materia di libertà religiosa nei lavori del gruppo di studio Astrid. Le scelte di fondo, in Stato, Chiese e Pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2017.
[63] S. Domianiello, Le garanzie della laicità civile e della libertà religiosa nella tensione fra globalismo e federalismo, in Stato, Chiese e Pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 2007.
[64] F. Petroncelli Hubler, Intorno a una legge quadro sulla libertà religiosa, in Quaderni del Dipartimento di filosofia dei diritti dell’uomo e delle libertà di religione, università Federico II, 9, Napoli, 2004, p. 37 ss.; M. Tedeschi, Per uno studio del diritto di libertà religiosa, in Revista Española de Derecho Canónico, 1990, 47, pp. 169-198.
[65] P. L. Consorti, La libertà religiosa fra democrazia bloccata e globalizzazione, in M. Pavese, Per una disciplina democratica delle libertà di pensiero e di religione: metodi e contenuti, AGR, 2014, pp. 45- 58.
[66] Ivi, p. 49.
[67] A. Licastro, Libertà religiosa e competenze amministrative decentrate, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it,) 2019.
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Avv. Alessandro Palma
Alessandro Palma, avvocato del Foro di Napoli e specializzato in professioni legali, è dottore di ricerca in Filosofia del Diritto presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II. Presso lo stesso Ateneo si è perfezionato in Amministrazione e Finanza degli Enti Locali ed è cultore della materia in Diritto Ecclesiastico ed in Diritti Confessionali.
E’ Tutor di Diritto Costituzionale alla Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II nonché Tutor di Diritto Ecclesiastico presso l’Università Telematica Pegaso. Per l’a. a. 2018/2019 è docente a contratto sulla cattedra di Diritto Ecclesiastico presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Cassino.
I suoi interessi di ricerca vertono principalmente su questioni di bioetica e biodiritto, con particolare riguardo alle tematiche della fine vita e dei diritti fondamentali, sull’esperienza religiosa alla luce delle neuroscienze e della psicologia evoluzionistica e cognitiva, sui rapporti tra diritto e religione e sugli strumenti di inclusione giuridica delle diversità culturali nelle società multiculturali.
E’ autore di molteplici recensioni e pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e di una monografia intitolata Finis Vitae. Il Biotestamento tra diritto e religione, Artetetra, Capua, 2018.
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