Principio dell’apparenza del diritto e dell’affidamento: non invocabile nei casi in cui la legge prescrive speciali mezzi di pubblicità
Dario Bruno – avvocato del Foro di Salerno / Apparenza del diritto e affidamento incolpevole
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Corte di Cassazione, Sez. I, 14/06/2016 n.12273.
PRINCIPIO DELL’APPARENZA DEL DIRITTO E DELL’AFFIDAMENTO :
NON INVOCABILE NEI CASI IN CUI LA LEGGE PRESCRIVE SPECIALI MEZZI DI PUBBLICITÀ MEDIANTE I QUALI SI RENDA POSSIBILE, CON L’USO DELLA NORMALE DILIGENZA, LA VERIFCA DELLA ESISTENZA (E CONSISTENZA) EFFETTIVA DEGLI ALTRUI POTERI, IL CUI CONFERIMENTO RICHIEDA PARTICOLARI FORMALITA’ PUBBLICITARIE.
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Interessante pronunzia della Suprema Corte sull’applicazione del principio dell’apparenza del diritto e dell’affidamento – nell’ambito delle società di capitali soggetto al regime di pubblicità legale – attraverso l’esame della particolare disciplina dei poteri dei liquidatori di società e la loro pubblicità, in funzione della proposizione di una domanda di concordato preventivo, in relazione alla valenza, nei confronti di terzi, degli atti posti in essere da un soggetto privo del relativo potere, il cui conferimento sia soggetto a particolari formalità, anche pubblicitarie, la cui effettiva sussistenza sia, pertanto, verificabile con l’uso dell’ordinaria diligenza.
La massima:
“Il principio dell’apparenza del diritto e dell’affidamento, traendo origine dalla legittima e quindi incolpevole aspettativa del terzo di fronte ad una situazione ragionevolmente attendibile, ancorché non conforme alla realtà, non altrimenti accertabile se non attraverso le sue esteriori manifestazioni, non è invocabile nei casi in cui la legge prescrive speciali mezzi di pubblicità mediante i quali sia possibile controllare con l’ordinaria diligenza la consistenza effettiva dell’altrui potere, come accade nel caso di organi di società di capitali regolarmente costituiti; tuttavia, anche in tale ipotesi, il principio dell’affidamento può essere invocato, qualora il potere sulla cui esistenza si assume di aver fatto incolpevolmente affidamento possa sussistere indipendentemente dalla sua regolamentazione statutaria e possa essere conferito per determinati atti e senza particolari formalità.”.
Nella specie, la Suprema Corte, nel fare applicazione del principio dell’apparenza del diritto e dell’affidamento è posto a presidio delle regioni della parte contrattuale in buona fede, che sia indotto a ritenere reale un situazione giuridica non reale [1], ha ritenuto il difetto di buona fede[2] del difensore del liquidatore di una società poi fallita che, dopo avere presentato una proposta di concordato preventivo su incarico dello stesso liquidatore, aveva insinuato al passivo il proprio credito professionale facendo erroneo affidamento sull’esistenza di specifici poteri ex art. 152, comma 2, lett. b), l.fall., mai attribuiti a quest’ultimo dall’assemblea sociale, in sede di nomina.
L’art. 152 l.f. esige, infatti, che la presentazione di una domanda di concordato e le relative condizioni siano, nelle S.r.l., preventivamente deliberate, dall’organo amministrativo e che la relativa domanda sia sottoscritta dal soggetto che abbia la rappresentanza della società.
Senonchè, nel mentre gli amministratori sono dotati di un generale potere di gestione e rappresentanza della società, i poteri dei liquidatori sono limitati a quelli espressamente previsti dalla delibera che li nomina (art.2487 c.c., comma 1 lett.c.), sicchè gli stessi possono legittimamente compiere solo gli atti funzionali all’esercizio dei poteri loro conferiti, resi opponibili ai terzi (e da questi agevolmente conoscibili) mediante la previsione, ai sensi dell’art.2487bis c.c., dell’obbligo di iscrizione in registro imprese della deliberazione che assolve ad una funzione costitutiva (difatti solo all’atto dell’intervento di tale formalità, gli amministratori della società cessano dalla loro carica, con il conseguente inizio della gestione della fase liquidatoria – cfr.Cass. civ. Sez. II, Sent., 26-07-2013, n. 18124).
In particolare, nel caso in commento, un avvocato, reputando di aver legittimamente ricevuto l’incarico da un liquidatore di una S.p.a. di presentare una domanda di concordato preventivo nell’interesse della società, di poi dichiarata fallita, senza aver previamente curato di verificare se la delibera di nomina del liquidatore (soggetta ad iscrizione nel registro imprese ai sensi dell’art.2487 bis c.c.), gli avesse, o meno, conferito, nel rispetto della norma di cui all’art.2487 c.c., il potere di deliberare la presentazione della domanda (come richiesto dall’art. 152 l.f.), riteneva di aver, per conseguenza, maturato un credito professionale nei confronti della società assistito da privilegio ex art. 2751 bis c.c. n.2 (norma regimante il privilegio generale sui beni mobili dei crediti riguardanti le retribuzioni dei professionisti e di ogni altro prestatore d’opera intellettuale dovute per gli ultimi due anni di prestazione) che aveva insinuato al passivo della società fallita.
Reietta l’istanza di ammissione al passivo del preteso credito, proponeva opposizione allo stato passivo, rigettata dal Tribunale che la giudicava infondata per carenza assoluta di potere del liquidatore conferente l’incarico di deliberare la proposizione di una domanda di concordato preventivo (ancorchè liquidatorio), per difetto di espressa previsione di tale potere dalla delibera di sua nomina pubblicata in registro imprese.
Il Tribunale aveva, infatti, rilevato che l’assemblea straordinaria che aveva deliberato la messa in liquidazione della società aveva stabilito che il liquidatore avrebbe esclusivamente dovuto “provvedere alla convocazione dell’assemblea straordinaria per deliberare sull’eventuale approvazione del concordato preventivo“. Senonchè l’assemblea straordinaria all’uopo convocata dal liquidatore allo scopo di deliberare l’avvio del procedimento di concordato preventivo, ai sensi della L. Fall., art. 152, era andata deserta ma il liquidatore aveva unilateralmente deliberato la presentazione della domanda di concordato.
Per conseguenza giudicava insussistente l’affidamento incolpevole del professionista rispetto al potere esternato dal liquidatore, la cui effettiva esistenza poteva essere agevolmente verificata, con conseguente venir meno, in radice, della ragione di credito accampata dal professionista opponente.
Avverso tale provvedimento il professionista proponeva ricorso per Cassazione, censurando il disposto rigetto sostenendo che il Tribunale investito dell’opposizione allo stato passivo aveva operato una interpretazione restrittiva e contraria allo spirito della riforma della legge fallimentare (ispirata al superamento della crisi d’impresa) del riferimento agli “amministratori” contenuto nell’art.152 l.f., escludendo che tale norma, speciale e prevalente sulle regole ordinarie e codicistiche, estendesse il medesimo potere deliberativo e di sottoscrizione della proposta di concordato, anche ai liquidatori,
ed altresì sostenendo l’inopponibilità a sé di eventuali limitazioni dei poteri del liquidatore, sulla scorta dell’assunto che, l’art. 2489 c.c., attribuendo ai liquidatori il potere di compiere “tutti gli atti utili per la liquidazione della società“, includerebbe tra le operazioni di liquidazione anche la proposta di concordato preventivo con cessione dei beni.
La Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha ritenuto infondato e rigettato il gravame interposto dal ricorrente.
In primo luogo la sentenza de qua ha affrontato, con riferimento alla prima delle suddette censure, il tema della estensione dei poteri del liquidatore e del ruolo “conformativo” di essi che assume la delibera assembleare che li nomina, statuendo il principio per cui in materia di concordato preventivo, anche se liquidatorio, il potere dei liquidatori deve esser specificamente loro attribuito dall’assemblea, non potendosi esso considerare una sorta di naturalia negotii compreso nell’atto di nomina degli stessi, non potendo venire in rilievo la possibilità di estendere la previsione di cui alla L. Fall., art. 152, che sicuramente sarebbe speciale e prevalente, ma invero riguardante i soli amministratori, avendo costoro altro e diverso statuto legale, come si è visto, naturalmente assai più ampio e predeterminato, rispetto a quello dei liquidatori.
A tale affermazione la sentenza in commento è addivenuta richiamandosi ai precedenti giurisprudenziali cha avevano già affermato la facoltà dell’assemblea di imporre limitazioni ai poteri dei liquidatori – ad es. riguardo alla rappresentanza, sia sostanziale che processuale della società (Cass. Sez. 1, Sentenze nn. 12534 del 2002 e 3813 del 2016) – sicchè ha precisato che, pur avendo la riforma del diritto societario innovato, consentendo una più duttile attività da parte dei liquidatori, comunque essa ha dato all’assemblea un penetrante ruolo conformativo del potere gestorio dei liquidatori, con la necessaria previsione di una deliberazione che delinei i criteri in base ai quali deve svolgersi la liquidazione, conferendo ai liquidatori specifici poteri, con particolare riferimento alle attività di cessione dell’azienda sociale (o di rami di essa).
Osserva, infatti, la sentenza in commento come dalla norma di cui all’art. 2487 bis c.c., disciplinante la pubblicità della nomina dei liquidatori ed i relativi effetti, si ricavi la differenza tra la posizione degli amministratori i cui poteri sono generali e si ritraggo direttamente dalla legge,
da quella dei liquidatori, i cui poteri sono, invece, specificamente stabiliti dalla delibera assembleare che li nomina, e soggiacciono alle regole previste dalle lettere a), b), c) dall’art. 2487 c.c..
Con la conseguenza che – precisa ancora la Suprema Corte – il compimento di attività liquidatorie che si sostanzino, in base alla previsione di cui all’ art.2487 c.c. lettera c), nella cessione dell’azienda sociale, di rami di essa, ovvero anche di singoli beni o diritti, o blocchi di essi, attuabili anche per mezzo della procedura di concordato preventivo con cessione dei beni, esigono l’attribuzione ai liquidatori dei relativi, specifici poteri da parte della delibera di nomina, non potendosi ricavare dalla norma di cui all’art.2489 c.c. (che attribuisce ai liquidatori il potere di compiere tutti gli atti utili per la liquidazione della società) la legittimazione (rectius: il potere) al compimento di tali attività, che – come detto – abbisognano, inderogabilmente, di esplicita previsione nella deliberazione di nomina ai sensi dell’art.2487 c.c., comma 1, lett. C).
Sulla scorta di tali premesse, quindi, la Sentenza in parola, ha affermato la inesistenza dei poteri dei liquidatori che esorbitino dall’ordinario esercizio dell’attività di liquidazione (come nel caso di predisposizione e deposito di una domanda di concordato preventivo) ove non iscritti in registro imprese, sussistendone l’obbligo ai sensi dell’art.2487 bis c.c., che assolve funzione di pubblicità costitutiva [3].
Per tali ragioni, trattandosi di poteri il cui conferimento richiede particolari formalità e la cui esistenza è, conseguentemente, agevolmente accertabile con l’uso dell’ordinaria diligenza, ha ritenuto il difetto di buona fede di colui il quale sull’esistenza di detto potere abbia fatto erroneamente affidamento senza curare di verificarne preventivamente l’effettiva sussistenza.
Ha, così, ri-affermato la regola (già espressa con la sentenza n. 10297 del 2010) secondo cui il principio dell’apparenza del diritto e dell’affidamento non può essere invocato liddove legge prescrive speciali mezzi di pubblicità mediante i quali sia possibile controllare, con l’ordinaria diligenza, la consistenza effettiva dell’altrui potere, come accade nel caso di organi di società di capitali regolarmente costituiti, la cui istituzione ed i relativi poteri sono soggetti ad un preciso regime pubblicitario che assolve funzioni finanche costitutive.
Tale regola, però, come chiarito dalla suddetta sentenza n.10297 del 2010, subisce l’eccezione, espressamente richiamata dalla sentenza in commento (cfr. secondo periodo della massima sopra trascritta), del caso in cui il potere sulla cui esistenza si assume di aver fatto incolpevolmente affidamento, possa sussistere indipendentemente dalla sua regolamentazione statutaria e possa essere conferito per determinati atti e senza particolari formalità, con conseguente invocabilità del principio dell’affidamento e dell’apparenza del diritto.
Si tratta, tuttavia, di deroga che non altro fa che rimarcare la specificità della disciplina dei poteri dei liquidatori di società di capitali, rispetto ai quali il regime pubblicitario assolve a funzione costituiva degli stessi, e che, come visto, rappresenta argomento specificamente trattato dalla sentenza in commento .
Benvero, infatti, la sentenza n. 10297/2010 ha fatto applicazione di tale “eccezione” in relazione alla fattispecie, regolata dalla norma di cui all’art.1189 c.c., del pagamento effettuato da un terzo in buona ad un soggetto – al quale era stata riconosciuta la qualità di amministratore di fatto – privo di formali cariche di rappresentanza della società ma che aveva esternato una condotta tale da apparire come legittimato a rappresentare la società e quindi a ricevere il pagamento (che perciò assumeva la veste del cd. “creditore apparente”), con l’effetto di far conseguire effetto liberatorio a quel pagamento, siccome effettuato dal terzo che in buona fede aveva ritenuto che il ricevente fosse legittimamente autorizzato a ricevere la prestazione.
In effetti, a tale conclusione la detta sentenza è pervenuta differenziando l’ipotesi in cui la legittimazione rappresentativa sia sottoposta a particolari forme di pubblicità legale, dirette a rendere conoscibili ai terzi le relative vicende,
dall’ipotesi in cui il potere sulla cui esistenza si assume di aver fatto incolpevolmente affidamento possa sussistere indipendentemente dalla sua regolamentazione statutaria e possa essere conferito per determinati atti e senza particolari formalità, alla stregua del soggetto la cui legittimazione a ricevere il pagamento trovi la sua fonte in una procura speciale hoc, non soggetta, a differenza degli organi istituzionalmente investiti del potere di rappresentare la società, ad iscrizione nel registro delle imprese (cfr.Cass., 24.11.1981, n. 6244, in Rep. Foro it., 1981, Contratto in genere, 59) – .
Nel caso, invece, di atti posti in essere dal Liquidatore di una società, l’esistenza dei cui poteri è condizionata alla iscrizione in registro imprese della deliberazione di nomina, risulta pienamente operativo il limite di applicabilità ed invocabilità del principio dell’affidamento che non tutela il terzo il quale, abbia omesso di verificare diligentemente, mediante ispezione in registro imprese, la sussistenza, o meno, dei poteri esternati dal Liquidatore.
[1] Cfr. in dottrina: Falzea, in Apparenza, in Enc. dir., II, Milano, 1958, 687; per Bolaffi, in Le teorie sull’apparenza giuridica, in Riv. dir. comm., 1934, I, 132, «l’affidamento consiste nella convinzione che quello che si manifesta corrisponda a quello che è, che l’apparenza corrisponda alla legittima situazione giuridica».
[2] Dovendosi intendere per buona fede, il ragionevole convincimento del debitore che lo stato di fatto rispecchia la realtà giuridica e che, quindi, il ricevente sia il creditore o sia, comunque, legittimamente autorizzato a ricevere la prestazione il ragionevole convincimento del debitore che lo stato di fatto rispecchia la realtà giuridica (cfr. Corte d’App. Milano, 28.9.2007, in Rep. Foro it., 2009, Contratto in genere, 427. Cfr. Cass., 30.5.1969, n. 1934, inRep. Giust. civ., 1969, Obbligazioni e contratti, 27; in dottrina Bigliazzi Geri, Osservazioni in tema di buona fede e diligenza del pagamento al creditore apparente, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1968, 1318, secondo cui la buona fede non coincide con l’errore (o l’ignoranza), ma l’errore (o l’ignoranza) rappresentano la situazione intellettiva base, su cui s’innesta la situazione finale di buona fede, in una prospettiva dinamica, quale componente del comportamento (positivo o negativo) di un soggetto).
[3] Cfr. Proietti, sub art. 2487-bis, Pubblicità della nomina dei liquidatori ed effetti, in Cendon, Commentario al codice civile artt. 2484-2510 Scioglimento e liquidazione. Trasformazione, fusione e scissione, Milano, 2010.
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