Principio di anonimato, imparzialità e contestualità della selezione pubblica

Principio di anonimato, imparzialità e contestualità della selezione pubblica

Ciascuna Amministrazione ha il compito di garantire l’osservanza del cd. “principio dell’anonimato” impedendo il riconoscimento dei candidati da parte della Commissione esaminatrice, chiamata a valutare gli elaborati costituenti prove d’esame, assicurando, di fatto, non solo la par condicio dei partecipanti stessi ma anche la trasparenza del concorso.

Con l’osservanza dell’“anonimato” inoltre vengono garantiti gli scopi fondamentali perseguiti dalla Pubblica Amministrazione che sono la trasparenza e l’imparzialità del suo operato. Infatti i candidati sono posti tutti nella medesima condizione, senza privilegio alcuno e, con la garanzia di un equo trattamento nella valutazione delle prove scritte.

Viene in tal modo assicurata e garantita la tutela del loro interesse legittimo ad una imparziale procedura concorsuale.

Innanzi ad una procedura concorsuale pubblica, caratterizzata da un elevato numero dei partecipanti e da una successiva e casuale raccolta degli elaborati, non appare logico ritenere che la Commissione esaminatrice possa avere effettiva consapevolezza dei nominativi dei candidati, cui le singole prove fossero riconducibili.

Quand’anche i singoli candidati fossero individuati tramite un numero identificativo, in base alla presentazione della domanda di partecipazione, ciò non corrisponde all’ordine di correzione degli elaborati realizzati dai partecipanti, come sarebbe stato indispensabile, per una reale possibilità di anticipata identificazione dei concorrenti (Cfr. Consiglio di Stato, Sezione VI, 15 maggio 2015, n. 2473).

Al riguardo, la giurisprudenza è costante nell’affermare che la regola dell’anonimato degli elaborati scritti non può essere intesa in modo tanto tassativo e assoluto da comportare l’invalidità delle prove ogni volta che sussista un’astratta possibilità di riconoscimento, perché se così fosse sarebbe materialmente impossibile svolgere concorsi per esami scritti, giacché non si potrebbe mai escludere a priori la possibilità che un commissario riconosca una particolare modalità di svolgimento. E’ invece necessario che emergano elementi atti a provare in modo inequivoco l’intenzionalità di rendere riconoscibile un dato elaborato (Cfr. Consiglio di Stato, Sezione III, 17 luglio 2018, n. 4331)

A conti fatti, l’Amministrazione deve interpretare rigidamente l’ esigenza dell’anonimato, quale elemento costitutivo dell’interesse pubblico primario, al cui perseguimento le procedure selettive pubbliche risultano finalizzate, imponendo una serie minuziosa di cautele ed accorgimenti prudenziali (Cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, sentenza 5 novembre 2014, n. 11106)

Per quanto riguarda la disciplina del concorso pubblico si uniforma al principale presidio organizzativo, rappresentato appunto dall’espletamento della selezione in un unico momento, che è posto a tutela dei principi di imparzialità e contestualità, in quanto atto a scongiurare il rischio di inevitabili disparità di trattamento.

Di contro, le deroghe a tale regola di diritto sono soggette ad un irrinunciabile requisito di legittimità, dovendo essere sempre ragionevoli e rispettose del canone essenziale della par condicio.

Secondo la normativa vigente, “l’irripetibilità” della prova per coloro che, durante la effettuazione della stessa, la interrompono per qualsiasi causa, rappresenta un principio di bilanciamento che indirizza l’operato dell’amministrazione.

Invero, la deroga allo svolgimento contemporaneo delle selezioni concorsuali, prima ancora di tradire i principi di tempestività, economicità, celerità di espletamento, riconducibili in sintesi al “buon andamento” di cui all’art. 97 della Costituzione, avrebbe comportato una insanabile lesione del principio costituzionale d’imparzialità, cui è ampiamente e puntualmente informata la legislazione ordinaria in materia di reclutamento ed organizzazione del pubblico impiego.

Tutto ciò fornisce chiara dimostrazione del fatto che la contestualità della competizione costituisce un requisito irrinunciabile della procedura concorsuale, quale modulo efficiente ed imparziale di selezione di coloro che, in un dato momento storico e alle medesime condizioni di espletamento delle prove e di valutazione delle stesse, risultino i “migliori”. Sicché il giudizio di bilanciamento, necessariamente innescato dall’implicazione di interessi confliggenti di rango costituzionale, impone di considerare non soccombente il canone dell’imparzialità rispetto al principio di uguaglianza.

A ben vedere, infatti, il principio d’imparzialità è esso stesso una rifrazione del principio d’eguaglianza, poiché esprime la pari opportunità, cioè il diritto di ciascuno di competere alle stesse condizioni degli altri, di essere messo alla prova e giudicato in modo “eguale rispetto ai propri competitori, e, quindi, impone un correlativo dovere di rango costituzionale in capo a chi della competizione è giudice.

L’equilibrio di un siffatto bilanciamento non può che assestarsi, conformemente alla scelta operata dall’Amministrazione, sull’esigenza di garantire il pieno contemporaneo svolgimento delle prove di concorso ( Cfr. Consiglio di Stato, Sez. III – Parere 3 dicembre 2002 n. 2155)

Secondo la normativa vigente, “l’irripetibilità” della prova per coloro che, durante la effettuazione della stessa, la interrompono per qualsiasi causa, rappresenta un principio di bilanciamento che indirizza l’operato dell’amministrazione.

Invero, la deroga allo svolgimento contemporaneo delle selezioni concorsuali, prima ancora di tradire i principi di tempestività, economicità, celerità di espletamento, riconducibili in sintesi al “buon andamento” di cui all’art. 97 della Costituzione, avrebbe comportato una insanabile lesione del principio costituzionale d’imparzialità, cui è ampiamente e puntualmente informata la legislazione ordinaria in materia di reclutamento ed organizzazione del pubblico impiego.

Tutto ciò fornisce chiara dimostrazione del fatto che la contestualità della competizione costituisce un requisito irrinunciabile della procedura concorsuale, quale modulo efficiente ed imparziale di selezione di coloro che, in un dato momento storico e alle medesime condizioni di espletamento delle prove e di valutazione delle stesse, risultino i “migliori”. Sicché il giudizio di bilanciamento, necessariamente innescato dall’implicazione di interessi confliggenti di rango costituzionale, impone di considerare non soccombente il canone dell’imparzialità rispetto al principio di uguaglianza.

A ben vedere, infatti, il principio d’imparzialità è esso stesso una rifrazione del principio d’eguaglianza, poiché esprime la pari opportunità, cioè il diritto di ciascuno di competere alle stesse condizioni degli altri, di essere messo alla prova e giudicato in modo “eguale rispetto ai propri competitori, e, quindi, impone un correlativo dovere di rango costituzionale in capo a chi della competizione è giudice.

L’equilibrio di un siffatto bilanciamento non può che assestarsi, conformemente alla scelta operata dall’Amministrazione, sull’esigenza di garantire il pieno contemporaneo svolgimento delle prove di concorso ( Cfr. Consiglio di Stato, Sez. III – Parere 3 dicembre 2002 n. 2155)

Qualora si dovesse ritenere “trascurabile” il principio dello svolgimento contemporaneo delle prove, si metterebbe in discussione un principio fondamentale nell’espletamento dei concorsi pubblici nei quali tutti i partecipanti devono essere posti nelle medesime condizioni al fine di evitare disparità e disuguaglianze.

Il principio di anonimato, imparzialità e contestualità della selezione pubblica diventano, dunque, capisaldi dell’azione amministrativa in materia concorsuale.


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