Principio di legalità e prescrizione: il caso Taricco

Principio di legalità e prescrizione: il caso Taricco

Il diritto sovranazionale, di matrice comunitaria e convenzionale, costituisce una realtà in continua evoluzione, con cui il legislatore e l’interprete sono tenuti a confrontarsi, attesa la sua attitudine a produrre effetti diretti negli ordinamenti interni, limitando o estendendo l’applicazione di istituti già noti.

In particolare, con riguardo all’istituto della prescrizione, si segnala un’ importante pronuncia resa dalla Corte di giustizia nel caso Taricco, che ha dato luogo ad un significativo dibattito circa la natura sostanziale o processuale della fattispecie estintiva.

Giova preliminarmente rammentare che detto istituto è collocato, nel Codice penale italiano, fra le cause di estinzione del reato, agli artt. 157 e ss. cp.

Trattasi pertanto di circostanza obiettiva, la quale si applica a prescindere da un comportamento positivo dell’agente, determinando il venir meno dell’interesse dello Stato all’esercizio della potestà punitiva, decorso il tempo indicato dalla legge.

L’art. 159 cp disciplina i casi tassativi di sospensione della prescrizione, il cui relativo termine riprende a decorrere dal giorno della cessazione della causa sospensiva, rilevando altresì il tempo già decorso prima che essa si verificasse.

L’art. 160 cp si occupa invece della regolamentazione degli atti interruttivi della prescrizione, a fronte dei quali inizia a decorrere un nuovo termine dal giorno dell’interruzione.

La dilatazione del termine prescrizionale soggiace tuttavia a precisi limiti, atteso che l’art. 161 c. II cp specifica che, nonostante la verificazione di atti interruttivi, il tempo necessario a prescrivere non può comunque protrarsi di oltre un quarto, salvo che per taluni gravi reati tassativamente indicati, come quelli contemplati dall’art. 51 c. III bis cpp.

Poste tali premesse di carattere generale, può quindi procedersi all’esame della pronunzia resa dai giudici europei nel caso Taricco.

Detta sentenza ha affermato la incompatibilità della disciplina di cui al citato art. 161 c. II cp con il diritto UE, potendo determinare l’impunità per un numero rilevante di gravi fatti di frode fiscale e, consequenzialmente, un pregiudizio per gli interessi finanziari dell’Unione.

Ne consegue che, alla luce del principio di primazia del diritto comunitario su quello nazionale, sancito dalla Corte di giustizia con la nota sentenza Simmenthal del 1978 e recepito dalla Consulta con la successiva sentenza Granital, il giudice nazionale sarebbe tenuto a disapplicare la norma interna, allorchè la previsione di un termine massimo di durata della prescrizione non consenta il rispetto degli obblighi di contribuzione al bilancio comunitario sanciti dall’art. 325 TFUE.

L’accoglimento di siffatta impostazione, tuttavia, è suscettibile di sortire effetti in malam partem, rendendo punibili fatti che altrimenti non verrebbero sanzionati, in virtù del corso della prescrizione.

Ciò comporta il rischio di una frizione con il principio di legalità, di cui all’art. 25 c. II Cost., sotto il profilo della irretroattività della norma penale sfavorevole.

La questione deve essere esaminata alla luce della natura giuridica dell’istituto della prescrizione, opinandosi diversamente a seconda che vi si attribuisca rilievo sostanziale o processuale.

La Corte di giustizia propende per la qualificazione in termini processuali, dalla quale deriva la non operatività dei principi di legalità del reato e delle pene, sanciti dall’art. 49 della Carta di Nizza, cui il Trattato di Lisbona attribuisce il medesimo valore dei Trattati.

Ne consegue, secondo tale tesi, la soggezione della prescrizione alla regola tempus regit actum, che consente l’applicazione delle sopravvenienze ai processi pendenti, ancorchè comportanti un trattamento meno favorevole per l’imputato rispetto alla disciplina vigente al momento del fatto.

La lettura interpretativa fornita dai giudici europei non è in linea con quella della Corte costituzionale, secondo cui la prescrizione, pur non contribuendo a descrivere il precetto penale o le sanzioni a esso correlate, è comunque un elemento suscettibile di influenzare le determinazioni del reo, in quanto tale coperto dalle garanzie enunciate dall’art. 25 c. II Cost., sotto il profilo della prevedibilità delle conseguenze penali del fatto.

L’accoglimento di tale impostazione non consente pertanto l’applicazione di un termine prescrizionale più lungo di quello attendibile al tempo in cui la condotta fu posta in essere, dovendosi salvaguardare la libertà di autodeterminazione dell’individuo.

Nella giurisprudenza di merito sono emersi orientamenti non pacifici, come conseguenza del succitato contrasto.

In particolare, la Corte di appello di Milano ha sollevato questione di legittimità costituzionale della legge di esecuzione del TFUE, nella parte in cui impone al giudice di disapplicare gli artt. 160, ultimo comma, e 161 c. II cp, con conseguente effetto sfavorevole per l’imputato, derivante dal prolungamento della prescrizione, per violazione dell’art. 25 c. II Cost..

La pronunzia citata ha suscitato l’attivazione, da parte della Consulta, dei cosiddetti controlimiti, nel senso che, nonostante la primazia del diritto comunitario su quello nazionale, è fatta salva la possibilità di sollevare questione di costituzionalità, allorchè il diritto UE introduca principi confliggenti con l’ordinamento costituzionale italiano.

La questione non è stata peraltro affrontata direttamente dalla Consulta che, con ord. n. 24/2017, ha effettuato un rinvio pregiudiziale alla Corte di Lussemburgo, al fine di ottenere un chiarimento circa l’effettiva portata della sentenza Taricco.

In particolare, la Corte costituzionale ha sollevato dubbi di compatibilità del decisum di detta sentenza con l’art. 25 c. II Cost., sotto il profilo della prevedibilità della legge penale, nel senso che occorre stabilire se l’agente, al momento del fatto, si trovasse in condizione di conoscere, oltre alla condotta incriminata e alle conseguenze sanzionatorie della stessa, anche il limite temporale della sua perseguibilità da parte dello Stato.

In secondo luogo, è stato censurato il mancato rispetto del principio di determinatezza delle norme penali sostanziali, atteso che la sentenza Taricco non precisa a sufficienza gli elementi che il giudice nazionale deve prendere in considerazione per riscontrare il numero considerevole di casi cui è legata l’applicazione della regola tratta da tale sentenza, con la conseguenza che gli stessi sono rimessi alla valutazione discrezionale del giudice.

La questione è stata recentemente risolta dalla pronuncia della Grande sezione del 5 dicembre 2017, la quale ha chiarito che la normativa interna in materia di prescrizione deve essere disapplicata qualora non consenta la punibilità di un numero elevato di casi di grave frode fiscale, con pregiudizio degli interessi finanziari dell’Unione, salvo che la disapplicazione comporti la violazione del principio di legalità dei reati e delle pene, a causa della insufficiente determinatezza della fattispecie o della retroattività di un trattamento sanzionatorio più severo di quello previsto al momento del fatto.

Tale sindacato spetta al giudice nazionale, atteso che l’art. 325, paragrafi 1 e 2, TFUE, pone obblighi di risultato precisi a carico degli Stati membri, senza alcuna condizione circa l’applicazione di detta disposizione.

Si osserva che la sentenza non affronta direttamente la questione della natura sostanziale o processuale della prescrizione, precisando che, alla data dei fatti di cui al procedimento principale, il regime della prescrizione applicabile ai reati in materia di IVA non era stato oggetto di armonizzazione da parte del legislatore dell’Unione, armonizzazione intervenuta solo in seguito,  e pertanto  La Repubblica italiana era libera di prevedere che, nel suo ordinamento giuridico, detto regime ricadesse nel diritto penale sostanziale e fosse a questo titolo soggetto al principio di legalità dei reati e delle pene.

Dal decisum della Corte si evince tuttavia un limite all’operatività del principio di primazia del diritto dell’Unione sul diritto interno, rappresentato dal patrimonio dei diritti inviolabili riconosciuti dagli ordinamenti costituzionali degli Stati membri, quali la determinatezza, l’irretroattività e la prevedibilità della fattispecie incriminatrice.

Spetta pertanto al giudice nazionale valutare se la disapplicazione della disciplina in punto di prescrizione comporti un trattamento deteriore per l’imputato, con conseguente violazione delle garanzie proprie delle norme penali sostanziali.

Può quindi concludersi nel senso della persistente applicazione del regime prescrizionale vigente al momento del fatto alle condotte anteriori alla sentenza Taricco, in quanto più favorevole al reo.

Diversamente opinando, si incorrerebbe infatti nella violazione  dei principi sanciti dagli artt. 25 c. II Cost. e 2 c. I cp, rendendo punibili fatti di frode fiscale che, in base alla normativa vigente al tempo della condotta, risulterebbero ormai estinti in virtù del corso della prescrizione.

Il dibattito resta invece aperto sul versante del requisito della determinatezza, poichè la Corte di giustizia rimette ai giudici nazionali il compito di tracciare il perimetro applicativo dei principi enunciati nella sentenza Taricco e, segnatamente, i limiti di operatività della disapplicazione del diritto interno, onde evitare ulteriori conflitti con gli interessi dell’Unione.


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