Principio di relatività contrattuale e contratto a favore di terzo

Principio di relatività contrattuale e contratto a favore di terzo

Premessi brevi cenni sul principio di relatività contrattuale, si andrà ad analizzare la disciplina giuridica del contratto a favore di terzo, nonché le figure affini allo stesso.

Il principio di relatività contrattuale (“il contratto ha forza di legge tra le parti”) viene sancito dal primo comma dell’art. 1372 c.c., e costituisce un fondamentale principio liberale, dal momento che sarebbe illiberale che un soggetto, per effetto di un contratto stipulato da altri soggetti, si trovasse ad assumere oneri non essendo stato parte dello stesso. Il secondo comma dell’art. citato ribadisce quanto sopra enunciato, ma introduce la possibilità che il contratto, nei casi previsti dalla legge, produca effetti in capo ai terzi, derogando alla regola del primo comma. Si pensi all’art. 1411 c.c., istituto oggetto del nostro esame, il quale rappresenta proprio uno di quei casi previsti dalla legge in cui la stipulazione di un contratto produce effetto diretto in capo al terzo, cdbeneficiario. Diversa è, invece, l’efficacia indiretta (o riflessa) di un contratto, la quale può essere conseguenza di qualsiasi stipulazione e può essere favorevole o meno ai terzi estranei.

Se è vero che il principio liberale di relatività contrattuale costituisce la ratiodell’autonomia privata e riempie di significato il concetto di libertà negoziale delle parti, è, altresì, vero che, nel caso concreto, possono sorgere altri interessi meritevoli di tutela, che permettono di derogare a tale principio. Nella realtà giuridico-economica attuale, sono sempre di più le ipotesi nelle quali un contratto produce effetti nei confronti del terzo e ciò si può spiegare in virtù della funzione sociale che connota lo schema contrattuale a favore di terzo. Esso mostra la sua utilità nel momento in cui permette di risolvere alcuni problemi sociali, consentendo: nell’ambito della cura di soggetti incapaci, di far acquisire loro, senza renderli parti contrattuali, diritti in assenza di autorizzazione giudiziale; di realizzare la causa donandi evitando un “doppio passaggio”; di adempiere ad un’obbligazione morale; nel campo dei trasporti di persone e/o cose, al terzo destinatario, che non è parte contrattuale, di esercitare l’azione di adempimento nei confronti del vettore.

Si tratta di verificare se l’istituto del contratto a favore di terzo, e le fattispecie assimilabili, costituiscano davvero un’eccezione al principio di relatività, ovvero se tale eccezione trovi, invece, giustificazione nelle peculiarità del caso concreto. Se è vero che il terzo diviene titolare del diritto sin dal momento della stipula tra altri soggetti (cdpromittente e stipulante), è pur vero che è nella facoltà dello stesso dichiarare di volerne o meno profittare. Valorizzando, allora, la seconda parte del c. II, art. 1411 c.c., l’autonomia del terzo sarebbe ben preservata. Si giunge a sostenere, quindi, che il principio di relatività risulta sì violato, ma per ragioni positive, poiché il beneficiario ottiene una posizione positiva. Ciò è valido, per esempio, nella costituzione di servitù, che attribuisce una situazione di vantaggio in capo al proprietario del fondo dominante, mentre nel caso di trasferimento di diritti di proprietà immobiliare, si renderebbe necessario effettuare un giudizio di comparazione tra i vantaggi e gli svantaggi fatti propri dall’acquirente. Ove i primi superassero i secondi, non si può escludere, sin dall’origine, l’ammissibilità del contratto a favore di terzo ad effetti reali, poiché il principio di relatività viene salvaguardato proprio dal confronto tra vantaggi ed oneri. L’illiberalità si manifesterebbe solo nel caso in cui un soggetto venisse gravato da pesi per un’obbligazione assunta da altri.

Dal punto di vista strutturale, il contratto a favore di terzo coinvolge tre distinti soggetti: promittente, stipulante e terzo. L’art. 1411 c.c. afferma che lo stesso è valido “qualora lo stipulante vi abbia interesse”. Il contratto viene stipulato tra promittente e stipulante, mentre il terzo non diviene mai parte contrattuale. I contraenti, quindi, decidono di concludere un contratto che, sin dal momento della stipula, fa acquisire il diritto oggetto dell’accordo al cdbeneficiario. Quest’ultimo ha la possibilità di dichiarare di voler profittare o meno della stipulazione in suo favore ma, finché ciò non avviene, lo stipulante conserva la facoltà di revocare il contratto a vantaggio del terzo. Si ravvisa, allora, una prima fase contrattuale instabile in cui i contraenti decidono di conferire il diritto al terzo, e una seconda fase in cui la stipulazione diventa stabile o in capo al terzo, che ha dichiarato di volerne profittare, o in capo allo stipulante, nel caso di revoca dello stesso o di rifiuto del beneficiario. Siamo in presenza di un contratto a natura bifasica; la dichiarazione del terzo di volerne profittare rende soltanto stabile la dichiarazione fatta dagli originari contraenti in suo favore, acquistando egli il diritto al momento della stipula del contratto.

In breve, con l’adesione il terzo diverrebbe parte contrattuale e non si ravviserebbe alcuna utilità pratica né peculiarità del contratto a favore di terzo, in cui, invece, il terzo non è parte ed acquista il diritto sin dalla stipula, essendo la sua adesione soltanto confermativa e non determinante il perfezionamento dell’accordo. Si ricalcherebbe, altrimenti, la figura della gestione in nome altrui posta in essere dal falsus procurator, che non ha alcun effetto nei confronti del rappresentato, salvo l’intervento, da parte sua, della ratifica. Se reputassimo l’adesione quale momento perfezionativo dell’efficacia, daremmo al terzo la possibilità di ratificare divenendo, così, parte del contratto e, invece, di non diventare parte caducando l’efficacia dell’atto ove non intervenisse alcuna ratifica.

La peculiarità del contratto oggetto di studio risiede nell’eventuale momento di caducità della dichiarazione iniziale dei contraenti, poiché il terzo può dichiarare di non “volerne profittare”, rimanendo il contratto valido e perfetto tra stipulante e promittente, oppure lo stipulante revocare la deviazione degli effetti, ma solo sino al momento in cui il terzo non abbia aderito o rifiutato la prestazione a proprio favore. Ove intervenga l’adesione del terzo, invece, lo stipulante perde la facoltà di revoca della stipula fatta in favore del primo, ed il terzo consuma il proprio potere di rifiuto, determinando l’estinzione del profilo di caducità dell’acquisto fatto in suo favore, e non incidendo, invece, sul perfezionamento del contratto.

Alla luce di queste premesse, e rigettando quell’orientamento dottrinale che reputa il contratto in esame un contratto con adesione (quest’ultimo, infatti, richiede, ai fini del suo perfezionamento, l’adesione del terzo), si tratta ora, brevemente, di individuare le azioni esperibili dal terzo, la causa del contratto, l’interesse dello stipulante, la prestazione a favore del terzo, per finire con lo studio della pubblicità/trascrizione.

Per effetto di tale contratto, il terzo acquista un vero e proprio diritto soggettivo, non un mero vantaggio e, quindi, può esercitare l’azione di adempimento nei confronti del promittente. Tuttavia, egli è non titolare del rapporto originario, in capo ai contraenti originari, pertanto, non può agire in risoluzione né far valere l’eventuale invalidità del contratto (nullità, annullabilità). Giungiamo, allora, ad uno dei temi più discussi in materia, quello della causa, dal momento che l’art. 1411 c.c., pare trarre in inganno con la locuzione “qualora lo stipulante vi abbia interesse”. Ci si domanda se l’interesse dello stipulante sia interno od esterno alla causa del contratto poiché, nel primo caso, ove mancasse, il contratto risulterebbe nullo per mancanza di un elemento essenziale. Il suo interesse è evidentemente esterno, poiché l’altro non spiegherebbe la facoltà di revoca in capo allo stesso, facendo questa venir meno gli effetti esterni a favore del terzo, non invalidando il contratto, il quale rimane valido ed efficace tra i contraenti originari. Siamo in presenza, quindi, di una doppia causa: la prima ravvisabile nel rapporto di valuta, che giustifica il trasferimento patrimoniale tra promittente e stipulante; la seconda nel rapporto di provvista (stipulante-terzo). Solo in questo secondo rapporto lo stipulante può determinare la nullità, revocando l’effetto a favore del terzo. È solo nel rapporto di provvista che dobbiamo ricercare l’interesse dello stipulante, potendo questi aver voluto deviare gli effetti in capo al beneficiario per interessi di liberalità (causa donandi), in ottemperanza a doveri morali o sociali (obbligazione morale) o per perfezionare una datio in solutum(causa solvendi). Mentre la giurisprudenza di legittimità costante ritiene, però, che l’interesse dello stipulante possa essere rappresentato anche da un’obbligazione naturale, la dottrina sostiene che vi sarebbe un quid plurisrispetto all’interesse non patrimoniale del creditore ex art. 1174 c.c., non potendo qualificarsi quest’ultimo come meramente soggettivo o capriccioso. Ad ogni modo, se ampio è lo spettro di interessi di cui può essere portatore lo stipulante, il promittente, invece, può non avere interesse alcuno nei confronti del beneficiario (cdasimmetria causale).

Per ciò che concerne la prestazione a favore del terzo, torna in augeil criterio liberale sopra menzionato poiché la stessa, se si risolvesse in uno o più oneri, diverrebbe illiberale in violazione del principio di relatività contrattuale. Allora, dal momento che il diritto di proprietà o l’usufrutto, una volta trasferiti, determinano vantaggi in capo all’acquirente o all’usufruttuario, ma anche oneri fiscali e di manutenzione, la giurisprudenza ricorre al giudizio di comparazione, per evitare che, nel caso in cui il valore dell’immobile fosse molto modesto o le condizioni dello stesso pessime, il terzo si vedrebbe gravato soltanto da oneri. Qualora il terzo non intenda assolvere gli oneri di manutenzione, ma il bene è di grande valore, potrà decidere di alienare lo stesso ricavando un incasso di gran lunga superiore gli oneri.

Degne di nota sono le diverse ricostruzioni, in dottrina e giurisprudenza, in tema di trascrizione del contratto e relative annotazioni. Il problema, in primo luogo, si ravvisa nel periodo di caducità insito nella fattispecie contrattuale in analisi, poiché lo stipulante potrebbe revocare la dichiarazione o il terzo dichiarare di non volerne profittare. Il contratto, però, essendo perfetto e valido sin dall’origine, nel caso in cui abbia ad oggetto diritti immobiliari, dovrà essere immediatamente trascritto a favore del terzo e contro il promittente. Ove la trascrizione non venisse eseguita da promittente e stipulante, potrà essere fatta dal terzo, sebbene non parte contrattuale, applicando analogicamente l’art. 2648, c. IV, c.c., che consente al legatario di trascrivere il legato a suo favore tramite estratto autentico del testamento. Nel caso in cui, a trascrizione avvenuta, il terzo decidesse di aderire al contratto in suo favore, basterà procedere alla relativa annotazione, al fine di comunicare ai terzi che il contratto è divenuto stabile ovvero che il potere di revoca non risulta più esercitabile. Qualora il terzo, invece, rifiuti la stipula a proprio favore, il contratto non produrrà più effetti esterni, ma solo tra stipulante e promittente. In tale ipotesi, bisognerà procedersi alla trascrizione del rifiuto, poiché è quest’ultimo a far venir meno l’acquisto del terzo e a determinarlo in favore dello stipulante, non essendo sufficiente l’annotazione dato che, inizialmente, il contratto è stato trascritto a favore del terzo. Qualora, invece, sia lo stipulante a revocare la deviazione degli effetti in capo al terzo, basterà la relativa annotazione perché il terzo non è parte. Si sostiene, infatti, che la dichiarazione di revoca, elidendo la stessa il diritto del terzo e determinando l’acquisto dello stesso in capo all’originario stipulante, non manifesti un problema di trascrizione per l’opponibilità agli aventi causa dal terzo, poiché non è un nuovo atto dispositivo che trasferisce allo stipulante il diritto del terzo, ma un atto che fa venir meno retroattivamente l’acquisto di quest’ultimo, qualificando lo stipulante diretto acquirente del promittente. Dopo la revoca, allora, essendo chi ha acquistato dal terzo nella stessa situazione di chi ha acquistato da soggetto con titolo inefficace, non può prevalere sullo stipulante, che direttamente acquista dal promittente. La revoca andrebbe soltanto annotata, alla luce del principio di continuità delle trascrizioni, dimodoché l’originario stipulante, e i suoi aventi causa, possano ricorrere alla trascrizione del contratto, stipulato e trascritto in origine a favore del terzo beneficiario, contro altri eventuali aventi causa dal promittente.

Si ritiene, ora, opportuno individuare le figure affini al contratto a favore di terzo, ovvero le fattispecie che ripropongono lo schema contrattuale della deviazione degli effetti in capo al terzo.In primo luogo, si pensi all’assicurazione sulla vita a favore di terzo ex art. 1920 c.c., che permette all’assicurato/stipulante di designare, nel contratto assicurativo, con successiva dichiarazione scritta o con testamento, il terzo che riceverà l’indennità dal promittente/assicuratore. L’art. 1920, c. III, c.c., affermando che il diritto del beneficiario sorge dal momento della designazione, richiama l’operatività dello schema del contratto a favore di terzo, acquistando il terzo il diritto iure proprioe non iure successionis.Lo schema in questione viene largamente utilizzato anche nell’ambito del trasporto di cose a favore del terzo ex art. 1689 c.c., ma, a differenza di quanto previsto dall’art. 1411 c.c., il terzo/destinatario non acquista il diritto già al momento della stipula tra vettore/promittente e mittente/stipulante, bensì solo quando riceve la cosa o, scaduto il termine entro cui doveva essere consegnata, egli ne domanda la riconsegna. Ciò comporta diverse conseguenze ex art. 1685 c.c., ovvero che sino a uno di questi due eventi, il mittente può cambiare destinazione, oppure sospendere il trasporto e chiedere la restituzione della cosa; su di esso incombe ancora il rischio del trasporto, ma conserva la possibilità di esercitare le azioni contro il vettore. Si è discusso se il contrordine (ultima parte del c. I, art. 1685 c.c.) equivalga alla revoca ex art. 1411, c. III, c.c., e si è risposto in senso affermativo poiché, quando la cosa arriva al terzo, i diritti dello stipulante/mittente vengono meno, cristallizzandosi la deviazione contrattuale degli effetti nei confronti del terzo/destinatario. La giurisprudenza di legittimità sostiene che l’unica differenza ravvisabile tra le due fattispecie risieda nel fatto che nell’art. 1685 c.c., non è presente la possibilità del terzo di dichiarare di voler profittare della stipulazione, determinando l’irrevocabilità del beneficio a suo favore. Anche l’accollo esterno ex art. 1273 c.c., riproduce lo schema del contratto oggetto della nostra analisi, poiché se il creditore/terzo aderisce all’accordo, raggiunto tra debitore originario/stipulante/accollato e terzo/promittente/accollante, di assunzione del debito altrui, tale stipula a suo favore diviene irrevocabile; con la conseguenza che egli potrà domandare l’adempimento del credito direttamente all’accollante/promittente. Secondo la tesi prevalente, l’atto di adesione del creditore equivarrebbe alla dichiarazione di voler profittare di cui al contratto a favore di terzo e, pertanto, l’accordo tra accollato ed accollante risulta modificabile o risolubile per mutuo consenso soltanto prima di tale dichiarazione. Anche la rendita vitalizia può essere costituita a favore di un terzo ex art. 1875 c.c., qualora il vitaliziato/stipulante ceda un bene immobile, mobile o un capitale, al vitaliziante/promittente, il quale erogherà al terzo/beneficiario le somme di denaro, con il vantaggio che la legge non richiede le forme della donazione per tale costituzione. Quindi, anziché cedere direttamente il bene al terzo, il vitaliziato lo trasferisce al promittente/vitaliziante, il quale, poi, andrà ad erogare le somme al terzo per un importo pari al bene stesso. Come nel contratto a favore di terzo, il terzo acquista il diritto iure propriosin dal momento della stipula tra vitaliziato e vitaliziante.In tema di donazione modale, invece, la tesi tradizionale tende a negare la configurabilità della deviazione degli effetti in capo al terzo, poiché lo stipulante/onorato non riceverebbe nulla per sé, diversamente da quanto accade nella donazione stessa, in cui l’attribuzione principale è a suo favore. Diversamente sostengono altri autori, differenziando il caso in cui il beneficiario risulta individuato da quello in cui non lo è: solo nel primo caso si configurerebbe un contratto a favore di terzo, perché il donatario sarebbe lo stipulante che eroga a favore del terzo, mentre il donante il promittente, il quale non riceve nulla non dovendo ricevere nulla. Questi conserva solo l’azione di adempimento nei confronti del donatario se quest’ultimo non adempie spontaneamente nei confronti del terzo.L’ultima figura che riproduce l’esternalità degli effetti è la polizza fideiussoria, poiché l’impresa assicuratrice/promittente, dietro compenso dello stipulante/debitore, garantisce al terzo/beneficiario, che rimane estraneo al contratto, ma ne è a conoscenza, il pagamento del debito dello stipulante. Tale contratto si perfeziona al momento dell’incontro delle volontà di promittente e stipulante, mentre il beneficiario si limita a ricevere gli effetti di un accordo già perfetto ed operante, cosicché la sua dichiarazione di volerne profittare è necessaria solo per rendere l’acquisizione del diritto irrevocabile ed immodificabile ex art. 1411, c. III, c.c.

Concludendo, il concetto di relatività contrattuale affermato dall’art. 1372, c. I, c.c., esprime sì un fondamentale principio liberale connotante l’autonomia negoziale e la libertà contrattuale delle parti ma, in alcuni casi, può subire delle deroghe. Si fa riferimento al contratto a favore di terzo e a tutte quelle fattispecie affini che ne riproducono lo schema per risolvere esigenze sociali, ravvisandosi un’illiberalità solo ove non fosse concesso al terzo di rifiutare la prestazione a suo favore, in caso di svantaggi superiori ai vantaggi, o di dichiarare di volerne profittare per esercitare il diritto attribuitogli o per cederlo. La giurisprudenza di legittimità, infatti, non esclude in origine il contratto a favore di terzo ad effetti reali, se non dopo aver compiuto un giudizio di comparazione tra oneri e vantaggi, come accade nel caso di trasferimento del diritto di proprietà e di usufrutto (non così nel caso di servitù, che attribuisce solo una posizione di vantaggio al proprietario del fondo dominante).


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Martina Maria Mancassola

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