Procedibilità a querela e giudizio di legittimità inammissibile. Profili di ius superveniens

Procedibilità a querela e giudizio di legittimità inammissibile. Profili di ius superveniens

Con la sentenza n. 40150 del 21 giugno 2018, le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione hanno stabilito che l’inammissibilità del ricorso per cassazione implica che non debba darsi alla persona offesa l’avviso previsto dall’art. 12, comma 2, del d.lgs. n. 36 del 2018, al fine di consentire l’eventuale esercizio del diritto di querela, ed inoltre che, ove occorra invece sospendere temporaneamente il procedimento, per accertare l’interesse della persona offesa alla prosecuzione dell’azione penale, il termine di prescrizione non resta sospeso.

L’intervento delle Sezioni Unite affronta, in generale, il rapporto tra l’inammissibilità del ricorso per cassazione e le cause di non procedibilità (consolidate o potenziali), le cause di non punibilità e le cause di estinzione del reato.

E tuttavia, per ragioni di continenza espositiva, si darà conto delle argomentazioni offerte dalla nomofilachia aventi stretta aderenza con i quesiti di diritto rimessi.

Di talché sarà oggetto del presente contributo il rapporto tra l’istituto, di matrice processuale, della inammissibilità del ricorso per cassazione e quello, squisitamente sostanziale, delle condizioni di procedibilità dell’azione penale, allorquando intervenga – successivamente al deposito del ricorso – una novella legislativa del reato che ne modifichi l’originario regime di procedibilità d’ufficio ad impulso di parte (id est: querela).

La vicenda storica trae origine da una sentenza di condanna, in primo grado, per il reato di appropriazione indebita.

Il costrutto accusatorio ipotizzava l’aggravante dall’aver commesso il fatto con abuso di relazioni di prestazioni d’opera, di cui all’art. 61 n. 11 c.p., che rendeva il reato procedibile d’ufficio, ai sensi dell’art. 646 terzo comma c.p., nella formulazione vigente sino alla pronuncia di secondo grado.

Nelle more del ricorso per cassazione interposto dell’imputato, entrava in vigore, da un lato, l’art. 10, comma 1, d.lgs. 10 aprile 2018, n. 36 che, come noto, ha disposto l’abrogazione del terzo comma dell’art. 646 c.p. rendendo con ciò il reato proseguibile a querela e, dall’altro, l’art. 12 di tale decreto il quale, nel regolare espressamente la disciplina transitoria per i procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto stesso, stabilisce che “per i reati perseguibili a querela in base alle disposizioni del presente decreto, commessi prima della data di entrata in vigore dello stesso, il termine per la presentazione della querela decorre dalla predetta data, se la persona offesa ha avuto in precedenza notizia del fatto costituente reato” (primo comma) e che “se è pendente il procedimento, il pubblico ministero, nel corso delle indagini preliminari, o il giudice, dopo l’esercizio dell’azione penale, anche, se necessario, previa ricerca anagrafica, informa la persona offesa dal reato della facoltà di esercitare il diritto di querela e il termine decorre dal giorno in cui la persona offesa è stata informata” (secondo comma).

La rimessione alle Sezioni Unite sarebbe giustificata in primo luogo dalla necessità di chiarire se – ritenuto l’incombente configurabile anche nella sede della legittimità – l’avviso alla persona offesa debba essere dato in relazione ai ricorsi che l’Ufficio spoglio della Corte di cassazione seleziona per l’inoltro alla speciale Sezione per le inammissibilità (eccetto quelli ivi destinati per la rilevazione della già maturata prescrizione del reato) e comunque, in generale, in relazione ai ricorsi inammissibili: ricorsi ai quali la giurisprudenza consolidata della Cassazione non riconosce l’inidoneità alla costituzione di un valido rapporto processuale e che quindi reputa insensibili ad una serie di eventi processuali successivi, quali il venire a maturazione del termine di prescrizione, cui potrebbe equipararsi il diritto alla proposizione della querela introdotto dalla novella legislativa in esame.

In secondo luogo la rimessione alle Sezioni Unite è volta a sollecitare la soluzione della questione riguardante la possibilità o meno di far operare, per il termine trimestrale di cui la persona offesa usufruisce per la proposizione della querela, il regime di sospensione del termine della prescrizione previsto dall’art. 159 c.p.

Al riguardo, le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione ritengono di dare risposta negativa ai quesiti “Se, in presenza di un ricorso inammissibile, debba darsi alla persona offesa l’avviso previsto dall’art. 12, comma 2, d.lgs. 10 aprile 2018 n. 36 per l’eventuale esercizio del diritto di querela” e “se durante i novanta giorni decorrenti dall’avviso dato alla persona offesa, ai sensi dell’art. 12 d.lgs. cit., operi la sospensione del termine di prescrizione”.

In relazione alla prima quaestio iuris, si osserva, preliminarmente, l’assenza di contrasto a che la disciplina introdotta dal combinato disposto degli artt. 10 e 12 del d.lgs. 10 aprile 2018 n. 36 si applichi retroattivamente per effetto della normativa transitoria e che riguardi anche il giudizio di legittimità, sicché il dubbio si concentra sulla eventuale rilevanza di limiti alla operatività della detta norma transitoria in relazione a procedimenti per i quali sia stato presentato ricorso per cassazione inammissibile.

Ciò posto, va evidenziato che onde evitare conseguenze aberranti derivanti da una interpretazione formalistica della norma transitoria, l’avviso alla persona offesa non debba essere dato quando risulti dagli atti che il diritto di querela sia già stato formalmente esercitato; che l’offeso abbia, in qualsiasi atto del procedimento, manifestato la volontà di instare per la punizione dell’imputato; che l’offeso abbia rinunciato al diritto di querela in modo espresso o tacito ai sensi dell’art. 124 c.p.; che il diritto di querela sia estinto a norma dell’art. 126 c.p.; che sia intervenuta remissione della querela; che la persona offesa non sia stata identificata ovvero risulti irreperibile.

Nelle indicate situazioni deve essere immediatamente dichiarata l’improcedibilità dell’azione penale per mancanza o per remissione di querela.

In tale prospettiva, non vi è dubbio che l’inammissibilità dovuta a tardività del ricorso per la sua intempestiva presentazione costituisce una ipotesi di indiscussa ostatività alla rilevazione di cause di non punibilità o improcedibilita, atteso che il decorso del termine derivante dalla mancata proposizione del ricorso determina, secondo la lettera dell’art. 648, secondo comma, c.p.p, il formarsi del giudicato formale ed il ricorso presentato con le dette modalità non è altro che un “simulacro di gravame” sicché il provvedimento giudiziale di inammissibilità che ne consegue, per la sua natura dichiarativa, non fa altro che rimuoverlo dalla realtà giuridica fin dal momento della sua origine (così Cass. Pen., SS.UU., sent. n. 47766 del 26/06/2015).

La Suprema Corte offre una lettura di “pendenza” del ricorso coerente con norme che regolano le impugnazioni, ed in particolare con gli artt. 581, 591, 606, comma 3, c.p.p,, nonché con la giurisprudenza comunitaria della CEDU escludendo che “in presenza di ricorso inammissibile – e senza che si apprezzi alcuna novità normativa o sistematica atta a riaprire il dibattito sulla eventuale distinguibilità fra cause di ontologica invalidità del ricorso (come nel caso di atto non sottoscritto o presentato da soggetto non legittimato) e cause che richiedano un meno evidente apprezzamento da parte del giudice (come nel caso di manifesta infondatezza dei motivi) – possa affermarsi, nell’ottica dell’attivazione della disciplina transitoria posta dal citato art. 12, che, alle condizioni suddette, il procedimento sia “pendente”.

Infatti, – fermo il fatto che una volontà espressa in senso affermativo dalla persona offesa nulla apporterebbe all’interesse dell’imputato al proscioglimento – in caso invece di esito negativo, a fronte pure di un prolungamento sine die dei tempi processuali, si consentirebbe il consolidarsi di una condizione di improcedibilità con impropri effetti sananti delle inammissibilità che affliggevano il ricorso proposto.

Venendo alla seconda questione di diritto rimessa (e cioè se sia possibile o meno di far operare, per il termine trimestrale di cui la persona offesa usufruisce per la proposizione della querela, il regime di sospensione del termine della prescrizione previsto dall’art. 159 c.p.), le Sezioni Unite motivano la risposta negativa osservando che la norma codicistica che regola la sospensione del corso della prescrizione (l’art. 159 c.p.) lo fa in relazione ad una casistica molto dettagliata e di stretta interpretazione, andando ad incidere sul diritto dell’imputato di vedere definito il processo in tempi ragionevoli e, in caso contrario, di vedere riconosciuta la cessazione dell’interesse dello Stato all’accertamento della responsabilità e alla punizione.

Non è sufficiente, in altri termini, che il d.lgs. n.36/2018 preveda, o meglio imponga, una determinata attività processuale a carico della autorità giudiziaria con riferimento ai processi in corso, per inferirsene che tale previsione comporti, di per sé, la sospensione della prescrizione.

E’ richiesto, piuttosto, che il legislatore abbia previsto, unitamente a quella, la sospensione del procedimento o del processo.

Ciò che, il legislatore delegante non ha fatto, con la conseguenza che l’impiego di un termine per l’informativa alla persona offesa e per consentirle di esprimersi nel trimestre successivo, allo scopo di far proseguire il processo pendente, non può gravare sull’imputato, sterilizzando sine die il corso della prescrizione, con una interpretazione analogica in malam partem dell’art. 159 c.p.


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