Processo o procedimento penale?

Ebbene sì, c’è un’importante differenza tra le due espressioni e, per renderla comprensibile, è importante chiarire un momento indispensabile: il  “procedimento per le indagini preliminari”.

Il procedimento per le indagini preliminari è la fase che muove dall’acquisizione della notizia di reato (ad opera della polizia giudiziaria o del Pubblico Ministero), protraendosi per il tempo necessario al compimento delle indagini stesse, e si compone sia degli atti che il magistrato del Pubblico Ministero compie (anche avvalendosi della P.G.), sia delle investigazioni svolte.

È una fase che vede il magistrato del Pubblico Ministero in una posizione di assoluta preminenza sulla polizia giudiziaria ma anche sui soggetti interessati allo svolgimento delle indagini (persona che vi è sottoposta e offeso del reato) e che lo eleva ad esclusivo dominus delle indagini medesime.

In relazione alla singola notizia di reato è il Magistrato del Pubblico Ministero che individua gli accertamenti da compiere o prende atto che le indagini non occorrono, perché la notizia di reato è già suffragata da elementi idonei a consentire l’immediato esercizio dell’azione penale o, al contrario, si rivela infondata.

Le indagini sono vincolate a quanto enunciato dal principio della necessarietà (art. 326 c.p.p.) che costituisce dunque una limitazione: esse devono essere necessarie alle determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale.

Da ciò si evince che non si tratta di un procedimento “a schema fisso”, vincolato da passaggi obbligati, tutti ineliminabili, cronologicamente e logicamente concatenanti. Ampiezza ed entità delle indagini variano a seconda del singolo accertamento.

Il procedimento per le indagini preliminari è quindi la fase destinata al compimento delle indagini necessarie che il magistrato del Pubblico Ministero, coadiuvato dalla polizia giudiziaria, pone in essere, una volta pervenuta od acquisita una notizia di reato, per verificare la corrispondenza ad un modello legale d’incriminazione e determinarsi sul se richiedere l’archiviazione degli atti o esercitare l’azione penale, formulando l’imputazione.

Le indagini poi possono confluire tutte in un’unica direzione, dando luogo all’esercizio dell’azione penale e introducendo quindi la successiva fase, ovvero il processo, oppure possono dar vita ad una richiesta di archiviazione, se la notizia di reato non sia confortata da elementi idonei a sostenere l’accusa.

È evidente che questa fase non mira alla raccolta di dati aventi valore o consistenza di prova, ma all’individuazione degli elementi di accusa utili a giustificare l’agire del P.M. in favore del processo.

È nel processo e in vista del giudizio di un organo diverso dal dominus delle indagini che vanno raccolti (ad iniziativa del P.M. e del soggetto al quale questi imputa la responsabilità del fatto reato) i dati aventi valore o consistenza di prova.  È qui, nel “processo” e alla presenza di un giudice che si decide sulla rilevanza penale del fatto oggetto di imputazione e sulla responsabilità del soggetto, al quale il fatto è stato imputato dal magistrato del P.M. che ha esercitato l’azione penale.

Se il procedimento per le indagini preliminari  è quell’espressione utilizzata per designare lo spazio riservato al P.M. per la raccolta di elementi che gli occorrono per decidere se promuovere o meno l’azione penale, il processo costituisce la fase successiva all’esercizio dell’azione penale.

Alla luce di quanto appena detto, il “procedimento” ingloba l’intera estensione del procedimento penale e descrive fenomeni distinti, richiamando sia l’attività di indagine compiuta dal magistrato del P.M., sia la fase del processo. Di qui l’uso della locuzione “procedimento penale”, comprensiva del procedimento per le indagini preliminari e del processo.