PROCREAZIONE ASSISTITA: non è più reato selezionare gli embrioni
Corte Costituzionale, 11 novembre 2015, n. 229
a cura di Claudia Tufano
Con la sentenza n.229, 11 novembre 2015, la Consulta ha escluso la responsabilità penale della condotta del medico volta alla selezione di embrioni sani da trasferire nell’utero della donna, escludendo l’impianto di quegli embrioni affetti da malattie genetiche trasmissibili. Tuttavia la Corte Costituzionale non ha dichiarato illegittimo il divieto di soppressione degli embrioni soprannumerari affetti da malattie genetiche a seguito di selezione finalizzata ad evitarne l’impianto nell’utero della donna.
Il fatto
Il compito di sollevare questione di legittimità costituzionale è spettato al Tribunale di Napoli, nel corso di un processo penale nei confronti di un medico, per violazione degli artt. . 2, 3 e 32 Cost., nonché per contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 8 CEDU, degli artt. 13, commi 3 lett. b) e 4, dell’art. 14, commi 1 e 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) nella parte in cui prevedono quali ipotesi di reato rispettivamente, la selezione eugenetica e la soppressione degli embrioni soprannumerari, «senza alcuna eccezione», non facendo, quindi, salva l’ipotesi in cui una tale condotta «sia finalizzata all’impianto nell’utero della donna dei soli embrioni non affetti da malattie genetiche o portatori sani di malattie genetiche» e la soppressione riguarda, conseguentemente, gli embrioni soprannumerari affetti, invece, da siffatte malattie.
La decisione
La Consulta ritiene parzialmente fondata la questione di legittimità costituzionale. Sotto il primo motivo il remittente lamenta, in relazione all’art. 13, commi 3, lettera b), e 4, della legge n. 40 del 2004, che col sanzionare penalmente la condotta dell’operatore medico volta a consentire il trasferimento nell’utero della donna dei soli embrioni sani o portatori sani di malattie genetiche, la violazione degli artt. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, dell’art. 32 Cost. , per contraddizione rispetto alla finalità di tutela alla salute dell’embrione di cui all’art. 1 della medesima legge n. 40(che consente il ricorso alla procreazione medicalmente assistita secondo le regole dettate dalla stessa legge e nel rispetto dei diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso quello del concepito), e dell’art. 117 1 co. Cost. , in relazione all’ art. 8 CEDU laddove quest’ultimo ha affermato che, il diritto al rispetto della vita privata e familiare include il desiderio della coppia di generare un figlio non affetto da malattia genetica. I giudici costituzionali accolgono la questione. La stessa Corte aveva già rilevato, infatti, con sentenza n. 96/2015, l’incostituzionalità degli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della stessa legge n. 40 del 2004, «nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui all’art. 6, comma 1, lettera b), della legge 22 maggio 1978, n. 194, accertati da apposite strutture pubbliche». La ratio della decisione è proprio quella di evitare l’impianto, nell’utero della donna, di embrioni cui non risulti trasmessa la malattia del genitore comportante il pericolo di rilevanti anomalie o malformazioni (se non la morte precoce) del nascituro. Appare, pertanto, illegittimo sanzionare la condotta selettiva del medico volta esclusivamente ad evitare il trasferimento, nell’utero della donna, di embrioni che, dalla diagnosi preimpianto, siano risultati affetti da malattie genetiche trasmissibili rispondenti ai criteri di gravità.
Sebbene la Consulta abbia accertato l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, commi 3, lettera b), e 4 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, tuttavia non dichiara altrettanto fondata la seconda questione di legittimità costituzionale prospettata dal giudice a quo. Il Tribunale sottopone al vaglio di costituzionalità anche il successivo art. 14, commi 1 e 6, della predetta legge n. 40 del 2004, nella parte in cui contestualmente vieta e sanziona penalmente la condotta selettiva sanitaria di soppressione degli embrioni, anche ove trattasi di embrioni soprannumerari risultati affetti da malattie genetiche a seguito di selezione finalizzata ad evitarne, appunto, l’impianto nell’utero della donna. Secondo il remittente, la norma sospetta violerebbe il diritto di autodeterminazione, garantito dall’art. 2 Cost., e il principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost., rispetto al disposto dell’art. 6 l. 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza), in virtù del quale si consente agli operatori sanitari di praticare l’aborto terapeutico laddove sussistano i c.d. processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro. La norma censurata, a giudizio del Tribunale, violerebbe anche l’art. 117 1 co. Cost. per violazione del citato art. 8 CEDU, che tutela il desiderio della coppia di generare un figlio non affetto da malattia genetica, pertanto, sanzionare penalmente la condotta del medico che proceda alla soppressione degli embrioni soprannumerari affetti da malattie genetiche, significherebbe esporre la coppia, ed in particolare la donna, soprattutto sotto il profilo psicologico, ad un grave pregiudizio. Ciò nonostante, si pone in senso contrario l’orientamento dei giudici costituzionali. Questi ultimi rilevano, infatti, che la discrezionalità legislativa nel sanzionare condotte penalmente rilevanti, può essere censurata «solo quando il suo esercizio ne rappresenti un uso distorto o arbitrario, così da confliggere in modo manifesto con il canone della ragionevolezza». Nella fattispecie in esame, la Corte non ritiene censurabile la scelta del legislatore di vietare e sanzionale penalmente la soppressione di embrioni, seppure riferita a quelli affetti da grave malattia genetica. La scelta del legislatore è giustificata dall’esigenza di garantire una effettiva tutela anche alla dignità dell’embrione (ancorché malato), che non sarebbe assicurata qualora si ammettesse un trattamento deteriore rispetto a quello degli embrioni sani creati in «numero […] superiore a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto», ex comma 2 del medesimo art. 14. Il fondamento costituzionale della tutela della dignità dell’embrione è ravvisabile nell’art. 2 Cost., il quale, a parer della Corte, può subìre un affievolimento solo in caso di conflitto con altri interessi di pari rilievo costituzionale (come il diritto alla salute della donna) che, a seguito di un giudizio di bilanciamento di interessi, risulterebbero prevalenti.
E’ sulla base di tali motivazioni che la Corte dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 14, commi 1 e 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), sollevata in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione ed all’art. 117, 1 co. Cost., in relazione all’art. 8 CEDU.