Profili civilistici del danno all’immagine
Sommario: 1. La costituzionalizzazione del diritto all’immagine – 2. La tutela indiretta – 3. L’immagine dell’ente collettivo – 4. Il petitium doloris per le persone giuridiche – 5. Il danno all’immagine come danno non patrimoniale – 6. Risarcibilità del danno all’immagine
1. La costituzionalizzazione del diritto all’immagine
L’avvento della Costituzione del 1948 ha fatto spazio all’entrata di un vero e proprio diritto all’immagine che seppur, non espressamente previsto, tutela l’immagine quale espressione della dignità della persona e del perseguimento del libero sviluppo della personalità. La tutela trova la sua espressione all’art. 10 c.c., il quale derubricato – Abuso dell’immagine altrui – dispone testualmente “Qualora l’immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l’autorità giudiziaria, su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento dei danni”[1].
Dalla lettura della fattispecie si evince come non venga fornita una definizione del concetto di diritto all’immagine, la quale si preoccupa di tutelare il diritto all’immagine in negativo, impedendone l’abuso. In altre parole, la norma tutela l’interesse del soggetto a che la sua immagine non venga diffusa o esposta pubblicamente, e va ricollegato con gli artt. 96-97 della legge sul diritto d’autore[2].
L’art. 96, nello specifico, impedisce che l’immagine di una persona possa essere esposta, pubblicata o messa in commercio senza consenso di questo, ovvero contra la volontà del medesimo[3]. Al contrario, l’articolo successivo, l’art. 97, permette la riproduzione dell’immagine se giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici e culturali, ovvero dal collegamento a fatti, avvenimenti o cerimonie di interesse pubblico[4]. D’altro canto, invece, vieta l’esposizione o la messa in commercio dell’immagine quando possa arrecare pregiudizio all’onore, alla reputazione e al decoro della persona ritratta[5].
La ratio è insita nella tutela sia dell’immagine reale e materiale che di quella virtuale che si consacra nell’onore, nella reputazione e nel decoro delle persone[6].
Alla luce di tali considerazioni, il diritto all’immagine diventa un vero e proprio veicolo di diffusione di quel complesso di connotati morali, intellettuali e sociali che caratterizzano la persona[7]. Si accede così ad una prospettiva ove l’immagine viene intesa come “complesso delle qualificazioni che individuano un soggetto”.
Sul punto la giurisprudenza è andata oltre, che ha parlato di un vero e proprio diritto all’identità personale in capo al soggetto: il diritto, dunque, di non vedere usata la propria immagine per l’attribuzione di posizioni morali, politiche e/o personali non corrispondenti alla realtà. In altre parole, è stato riconosciuto il diritto di ogni persona a non essere infedelmente rappresentato con attribuzioni di caratteri, qualità o aspetti inesistenti o che si scostano dalla realtà[8].
Sul punto la Suprema Corte è andata oltre sganciando la nozione dal concetto di identità personale, giungendo a quella di “immagine sociale”[9], che contempla l’aspetto fisionomico e quello figurato che attiene alle qualità e alle caratteristiche della persona. Una lettura combinata dell’art. 10 Cost. e degli artt. 96 ss. della Legge sul diritto d’autore da un lato e le previsioni costituzionali agli artt. 2 e 3 comma 2 della Costituzione[10].
2. La tutela indiretta
La tutela dell’immagine oltre ad essere materiale e reale assume anche un significato indiretto che si rispecchia nell’esposizione, nella pubblicazione dell’immagine allorquando possa pregiudicare l’onore, la reputazione ed il decoro del titolare. Sul punto la giurisprudenza ha dichiarato che “l’esposizione o pubblicazione dell’immagine altrui è abusiva … non soltanto quando avvenga senza il consenso della persona …, ma anche quando, … sia tale da arrecare pregiudizio all’onore, alla reputazione, al decoro della persona medesima”[11].
Con l’evolversi del tempo e dei costumi sociali questi concetti hanno mutato significato. La dottrina, infatti, ha qualificato l’onore come la dignità personale riflessa nel sentimento del soggetto stesso e la reputazione come la considerazione dei terzi nei quali si riflette la dignità personale[12]. Tali nozioni, però, non sono state definite dalla giurisprudenza civilistica che hanno trovato un approdo invece, nell’ambito penalistico che ha riempito sulla scorta del reato della diffamazione ex art. 594 c.p.[13].
L’onore, alla luce della predetta norma (oggi abrogata), trova la propria esplicazione nella personalità morale che si rappresenta sotto un duplice significato: quello soggettivo, nella dignità morale quale insieme di valori che il soggetto attribuisce a sé stesso e, quello oggettivo che si rispecchia nella stima, nell’opinione, quale patrimonio morale dell’altrui considerazione, che invece è la reputazione[14].
L’onore, in altre parole, è dunque, quell’attributo della personalità che fa riferimento alla dignità personale sia oggettivo che soggettivo. In senso oggettivo, assume il significato di reputazione quale “prodotto relativo e condizionato dell’appartenenza del soggetto ad un determinato gruppo”[15].
Questa seconda declinazione è volta unitamente a proteggere l’immagine mediata del titolare (come nel caso della P.A), ove l’immagine è mediata per mezzo dei pubblici funzionari che la rappresentano[16].
3. L’immagine dell’ente collettivo
Nel coniugare il diritto all’immagine, si è soliti escludere la sussistenza del diritto all’immagine degli enti collettivi sulla scorta del fatto che tale diritto ha come petitum le sembianze esteriori della persona. Partendo da tale assunto ed attesa l’assenza della corporeità delle persone giuridiche, dovrebbe essere negata la possibilità di rivendicare tale diritto. Alla luce di ciò, è nato un vivo dibattito sulla possibilità di ampliare i confini all’immagine come un’offesa al decoro, alla reputazione e/o all’onore della persona giuridica, ha provocato una frattura nella dottrina.
Appurato che la tutela all’immagine si atteggi in modo diverso a seconda che il titolare sia una persona fisica o giuridica quest’ultima, è connotata da un’autonoma soggettività rispetto ai componenti che la costituiscono[17]. La nozione fa spazio così al concetto di credibilità dell’ente o ancora meglio di prestigio dello stesso da intendersi come il buon nome, l’autorevolezza o la credibilità sociale.
Per arrivare a tale postulato, si è partiti dal falso presupposto che solo le persone fisiche siano in grado di percepire un patema d’animo e/o un patimento emotivo a seguito dell’aggressione della propria immagine. Ma così non è! La Cassazione, infatti, a seguito di un iter tormentato, ha sovvertito tale postulato affermando la possibilità anche gli enti di poter subire un’ingiusta lesione all’immagine e di conseguenza, di poter pretendere un risarcimento del danno non patrimoniale.
L’orientamento inaugurato dalla Cassazione del 2007 ha consacrato la sussistenza di un diritto delle persone giuridiche e degli enti a veder tutelata la propria immagine da condotte aggressive di terzi sia da un punto di vista contabile che amministrativo[18]. Lungimirante è stata la pronuncia della Corte dei conti che ha sostenuto che “in caso di lesione di un diritto inviolabile della persona giuridica, tra cui rientra l’immagine di essa, privata o pubblica, il pregiudizio si manifesta nelle conseguenze che genera nel soggetto, sotto il duplice profilo dell’incidenza negativa che tale diminuzione comporta nell’agire delle persone fisiche che agiscono per l’ente e della diminuzione della considerazione da parte dei consociati con i quali la persona giuridica di norma interagisca, in entrambi i casi non si tratta di danno-evento, ma di danno-conseguenza”[19].
Tuttavia, l’aggressione può essere posta in essere non solo da soggetti terzi, ma anche a causa della condotta penalmente rilevante tenuta da uno dei suoi organi[20].
Si è giunti così ad un diritto al ristoro a fronte di illecite aggressioni alla reputazione e all’onorabilità, prendendo le distanze dalla visione tradizionale dell’art. 2059 c.c.[21]. I giudici contabili, al fine di riconoscere il diritto di pretendere il risarcimento del danno dell’ente pubblico causato da condotte illecite dei dipendenti, hanno affermato che al fine di inquadrare correttamente la nozione di danno non patrimoniale si debba prescindere dal dolore o dalla sofferenza emotiva per poi contraddirsi ed identificare lo stesso con il danno morale soggettivo.
È nato così un vivace dibattito che, secondo un primo orientamento, superato dalla Corte di Cassazione, negava l’esistenza di un diritto al risarcimento del danno non patrimoniale legato alla sfera emozionale, in considerazione dell’impossibilità per l’ente di provare sofferenza[22]; mentre il secondo, divenuto poi il maggioritario, configuravano il danno non patrimoniale come un danno morale soggettivo insito nello stess, nel patema d’animo causato all’ente tramite le persone fisiche.
Tale soluzione prospettata tra perplessità e difficoltà applicative ha portato la Suprema Corte a chiarire la differenza tra danno non patrimoniale e danno morale soggettivo proprio in relazione al danno all’immagine degli enti collettivi e, infatti, ha statuito che “il danno non patrimoniale e il danno morale sono nozioni distinte: il primo comprende ogni conseguenza pregiudizievole di un illecito che, non prestandosi ad una valutazione monetaria di mercato, non possa essere oggetto di risarcimento sebbene di riparazione, mentre il secondo consiste nella cosiddetta “pecunia doloris”; poiché il danno non patrimoniale comprende gli effetti lesivi che prescindono dalla personalità giuridica del danneggiato, il medesimo è riferibile anche a enti e persone giuridiche”[23].
Il riconoscimento delle persone giuridiche private è stato esteso anche a quelle pubbliche collegato alla tutela civile dell’onore e della reputazione a seguito dell’accertamento di una fattispecie penalmente rilevante[24].
In particolare, la giurisprudenza ha riconosciuto la credibilità compromessa dell’ente pubblico considerando che “il danno non patrimoniale può essere subito anche da un’entità astratta, come tale spiritualmente sensibile … ne consegue che nel caso di reato contro la P.A”[25]. E dunque, La Cassazione, ha confermato tale assunto disponendo che “il danno non patrimoniale causato ad una persona giuridica va verificato nella sua oggettività, secondo “id quod plerumque accidit” sul piano del determinismo causale, in relazione a determinati comportamenti illeciti, indipendentemente, quindi, dal fatto che l’ente abbia effettivamente sentito l’aggressione del proprio diritto immateriale”[26].
4. Il petitium doloris per le persone giuridiche
L’ammissione della risarcibilità dell’immagine delle persone giuridiche ha avanzato l’idea di non poter concepire la lesione come sofferenza emotiva. Tuttavia, nonostante i dubbi avanzati precedentemente, la giurisprudenza ammettendo tale possibilità è giunta alla considerazione che gli enti personificati sono titolari di diritti non patrimoniali e possono, a seguito di una aggressione, subire un pregiudizio non patrimoniale e di conseguenza ottenere la riparazione del danno subito attraverso l’attribuzione da parte di un giudice di una somma di denaro[27]. Secondo i giudici contabili sorge in capo alle persone giuridiche un diritto di vedersi ristorare a fronte di illecite aggressioni della sfera della propria onorabilità e reputazione allontanandosi dall’art. 2059 c.c. Infatti, al fine di ricostruire la nozione di danno si ricorre al concetto di reputazione e di divulgazione di notizie riservate[28].
Secondo tale orientamento, il danno all’immagine sarebbe un danno non patrimoniale diverso dal dolore o della sofferenza fisica, ciò nonostante, la giurisprudenza successiva ha identificato la lesione nel danno morale soggettivo, inteso come il danno alla reputazione delle persone giuridiche private e pubbliche[29].
Tale soluzione ha avanzato diverse perplessità sulla scelta della Cassazione di considerare il diritto all’integrità del patrimonio morale di un’associazione, come una lesione di carattere personale ed individuale, appartenendo il bene offeso al patrimonio morale dell’ente, la cui personalità prescinde dei singoli associati[30].
In merito la giurisprudenza ha affrontato la differenza esistente tra il danno non patrimoniale e quello morale soggettivo stabilendo che: il primo, comprende ogni conseguenza pregiudizievole dell’illecito che, non potendo essere valutato in termini monetari, deve essere ristorato tramite la riparazione; mentre il secondo, è insita nella “pecunia doloris”[31].
5. Il danno all’immagine come danno non patrimoniale
L’evoluzione dell’interpretazione del diritto all’immagine ha attribuito al risarcimento del danno una lettura bipolare. Sul punto le Sezioni Unite nel 2008 in ambito del risarcimento del diritto all’immagine hanno statuito che “anche nei confronti della persona giuridica, ed in genere dell’ente collettivo, è configurabile la risarcibilità del danno non patrimoniale allorquando il fatto lesivo incida su una situazione giuridica che sia equivalente ai diritti fondamentali della persona umana garantiti dalla Costituzione”. Verificatisi la lesione, “oltre all’eventuale danno patrimoniale, è risarcibile, in via equitativa, anche quello non patrimoniale costituito dalla diminuzione della considerazione della persona giuridica o dell’ente che costituisce la sua immagine, … tanto nell’agire delle persone fisiche che ricoprono organi della persona giuridica …, quanto sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei consociati con i quali la persona giuridica o l’ente … interagisce”[32].
A tal proposito la Suprema Corte aveva riconosciuto la risarcibilità del danno non patrimoniale di una società di capitali in relazione alla commissione del reato di diffamazione, quale fatto idoneo alla lesione dell’immagine e della credibilità della persona giuridica che, successivamente è stato chiarito dai Giudici contabili che lo stesso è qualificabile come danno non patrimoniale a prescindere dalla commissione del reato (art. 185 c.p.)[33]. Orbene, si è giunti gradualmente all’ammissione dinanzi la lesione della reputazione e della credibilità dell’ente collettivo, la risarcibilità del pregiudizio arrecato della persona giuridica che, come per la persona fisica, trova il suo fondamento nella Carta Costituzionale[34].
Sulla base di tale ragionamento, sarebbe contraddittorio ammettere la risarcibilità di codeste situazioni giuridiche per le persone fisiche garantite costituzionalmente e, negare al contempo, la medesima tutela alle persone giuridiche che altro non sono che espressione delle “formazioni sociali” decantate nell’art. 2 della Costituzione, all’interno della quale si svolge la loro personalità.
È stata così affermata, sulla scorta del suesposto ragionamento, l’autonomia del danno all’immagine inteso come danno non patrimoniale tout court, inteso come petitum doloris subito dalla persona fisica che come lesione alla reputazione e all’onorabilità della persona giuridica[35].
6. La risarcibilità del danno all’immagine
La questione della risarcibilità del danno all’immagine è stata più volte affrontata dalla Suprema Corte. La stessa, infatti, è stata letta alla luce della risarcibilità del danno non patrimoniale della lettura combina dell’art. 2043 c.c. e 2059 c.c., quale conseguenza immediata e diretta della lesione di diritti fondamentali della persona, garantiti da copertura costituzionale, con riferimento alla violazione del diritto alla immagine o della reputazione sociale di una società commerciale (inteso come diritto della personalità, rinveniente fondamento nell’art. 2 Cost. e nell’art. 8 par. 1 della Carta dei diritti fondamentali della UE)[36].
La disputa sulla qualificazione del danno stesso verteva si è palesata tra orientamenti ove, parte della dottrina, qualificava il danno reputazione come di danno-evento, o danno “in re ipsa”, coincidente con la condotta violativa del diritto, ovvero con il perfezionamento della fattispecie illecita, e l’altra parte come “danno conseguenza”, quale ulteriore effetto ontologicamente distinto, e cronologicamente successivo, rispetto alla violazione del diritto.
Il nesso di causalità, fondato sulla relazione “condotta materiale – evento lesivo – conseguenza dannosa” per come disposto dall’art. 2043 c.c. si applica analogicamente alla fattispecie in esame, senza nessuna distinzione in termini di prova tra danno patrimoniale e non patrimoniale, in quanto degno di tutela[37].
Chiarificatrici in tal senso sono state la Sezioni Unite che con la sentenza n. 26972 del 11 novembre 2008, hanno declinato l’applicabilità dell’art. 2059 c.c. in tre casi:
– illecito astrattamente configurabile come reato, ex art. 185 coma 2 c.p.[38];
– illecito, non qualificabile come reato, ma che per espressa previsione di legge impone il ristoro di un danno non patrimoniale;
– illecito – non bagatellare- che abbia leso diritti inviolabili della persona, oggetto di tutela costituzionale).
Il principio ha trovato seguito nella giurisprudenza di legittimità, per cui può conclusivamente affermarsi che il “danno non patrimoniale”, costituendo anch’esso pur sempre un danno-conseguenza, deve essere specificamente allegato e provato ai fini risarcitori, anche mediante presunzioni, non potendo considerarsi in re ipsa .
Di recente sulla scorta del ragionamento sopra evidenziato la Cassazione Civile è ritornata sull’argomento.
Nello specifico gli ermellini sulla scia della sentenza già citata, la numero 12929 del 4 giugno 2007, ha puntualizzato come anche nella lesione della “reputazione personale”, che si manifesta nel foro interno dell’interessato, quale sentimento di appartenenza all’organismo collettivo dei titolari degli organi amministrativi e della reputazione sociale, quale immagine di serietà ed affidabilità dell’ente collettivo proiettata all’esterno, della persona giuridica o di centri dotati comunque di livelli differenti di soggettività, il danno-conseguenza deve essere provato. A tal fine, la Suprema Corte, esclude l’ipotesi del danno in re ipsa, potendo però il titolare dimostrare anche attraverso presunzioni le conseguenze pregiudizievoli derivate – ex art. 1223 c.c.- dalla diffusione arbitraria della propria immagine.
Il danno è da individuarsi, tanto nella lesione della reputazione personale, quanto nella “incidenza negativa sull’agire delle persone fisiche che ricoprano gli organi della persona giuridica o dell’ente collettivo” che “rappresenta un danno non patrimoniale che non si identifica nella lesione dell’immagine in sè, ma ne rappresenta una conseguenza a detta lesione ricollegata da un nesso causale”[39].
In merito alla lesione, il danno si realizzerebbe con l’effettiva diffusione della notizia screditante.
[1] Art. 10 c.c., www.altalex.it.
[2] Legge n. 633/1941.
[3] Articolo 96 – Legge 633/1941 sul diritto d’autore (copyright)
“Il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa, salve le disposizioni dell’articolo seguente.
Dopo la morte della persona ritrattata si applicano le disposizioni del secondo, terzo e quarto comma dell’art. 93”, www.normattiva.it.
[4] Art. 97– Legge 633/1941 sul diritto d’autore (copyright)
“Non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico.
Il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l’esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione od anche al decoro della persona ritrattata”, www.normattiva.it.
[5] F. AVERSANO, A. LAINO, A. MUSCIO, Il danno all’immagine delle persone giuridiche, 2012, 3 ss.
[6] Tuttavia, non può non far riferimento ad una serie di previsioni normative (artt. 2,3, co. 2,18 e 97 Cost.) che implicitamente tutelano questa situazione giuridica.
[7] L. BIGLIAZZI GERI, U. BRECCIA, F.D. BUSNELLI, U. NATONI, Diritto civile 1, Norme e soggetti e rapporto giuridico, Torino, 1987, 166.
[8] L’esigenza di configurare un nuovo diritto, quale quello dell’identità personale, nasce con lo scopo di ampliare i poteri concessi al titolare per tutelarsi da aggressioni e condizionamenti volti alla modifica di rilevanti aspetti della personalità e dell’identità.
[9] L’interesse della persona sia fisica che giuridica, a preservare la propria identità personale, intesa come immagine sociale, quale coacervo di valori rilevanti nella rappresentazione che di essa viene data nella vita di relazione, nonché correlativamente, ad insorgere contro comportamenti altrui che menomino tale immagine, pur senza offendere l’onore e la reputazione, deve intendersi qualificato come posizione di diritto soggettivo, alla stregua dei principi fissati dall’art. 2 Cost. in tema di difesa della personalità nella complessità ed unitarietà di tutte le sue componenti, ed inoltre tutelabile in applicazione analogica con l’art. 7 c.c. con riguardo al diritto al nome, con l’esperibilità, contro i suddetti comportamenti dell’azione inibitoria e del risarcimento del dann; [9] F. AVERSANO, A. LAINO, A. MUSCIO, Il danno all’immagine delle persone giuridiche, 2012, 13.
[10] Si allarga la locuzione di danno all’immagine che individua diverse lesioni di diritti inerenti alla personalità, quali il diritto all’identità personale, all’onore e alla reputazione. La lesione delle suddette categorie, ha rilevanza costituzione in forza del dettato di cui all’art. 2 Cost, risulta risarcibile quale danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., sicche sul piano probatorio, trattati di un danno risarcibile in re ipsa solo ove tale lesione derivi da una fattispecie di reato; cfr. Trib. Palermo, 7 febbraio 2011, in www.leggidiitalia.it.
[11] Cass. civ., 5 aprile 1978, 1557, in Dir. autore, 1979, 38.
[12] A. DE CUPIDIS, i diritti della personalità, Giuffrè, 1982, 251.
[13] Art. 594 c.p. – Ingiuria [Articolo abrogato dal D.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7]
“Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 516.
Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa.
La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a milletrentadue euro, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato.
Le pene sono aumentate qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone”, www.altalex.it.
[14] Tribunale Genova, 15 luglio 2010, www.leggiditalia.it.
[15] Cass. pen. 4 luglio 2008, n. 34599, in CED Cass. pen., 2008.
[16] F. AVERSANO, A. LAINO, A. MUSCIO, Il danno all’immagine delle persone giuridiche, 2012, 8.
[17] W. CORTESE, la responsabilità per danno all’immagine della Pubblica Amministrazione, Padova, 2004, pag. 72.
[18] Cass. civ., 4 giugno 2007, n. 12929 in Nuova giur. civ. comm., 2008, 1 con nota di S. Oliari, Danno non patrimoniale alle persone giuridiche per errata segnalazione alla Centrale Rischi.
[19] Corte conti, sez. giurisd., Lombarda, 16 novembre 2007, n. 546, in www.corteconti.it.
[20] Cass. civ., 26 giugno 2007, n. 14766: “La condotta penalmente rilevante, tenuta dall’amministratore di una persona giuridica nell’esercizio delle proprie funzioni, p di per sé idonea a legittimare la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale ed all’immagine proposta dall’ente, a prescindere dalla circostanza che i fatti commessi dal responsabile abbiano avuto o meno diffusione sui mezzi informatici”, www.onelegale.it.
[21] Art. 2059 c.c. – Danni non patrimoniali
“Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge”, www.altalex.it.
[22] Cass. civ., 13 febbraio 2003, n. 2130 la persona giuridica non può lamentare di aver subito danni non patrimoniali dall’eccessiva durata di un processo in cui è stata parte, ricollegati a situazioni di ansia, stress, patema d’animo (esclusivamente proprie della persona fisica) suscettibili di essere dimostrate in via presuntiva sulla base di elementari e diffuse cognizioni di psicologia, ma può invocare soltanto le lesione dei diritti fondamentali (come quello all’immagine, al prestigio) che richiedono di essere specificamente e rigorosamente provati”, www.onelegale.it: “
[23] F. AVERSANO, A. LAINO, A. MUSCIO, Il danno all’immagine delle persone giuridiche, 2012, 27.
[24] L. CIRILLO, Il danno all’immagine della Pubblica Amministrazione: sulla configurazione dommatica alla luce della più recente giurisprudenza, in Foro amm. CDS 2003, 6.
[25] F. AVERSANO, A. LAINO, A. MUSCIO, in “Il danno all’immagine delle persone giuridiche”, 2012, 28.
[26] F. AVERSANO, A. LAINO, A. MUSCIO, in “Il danno all’immagine delle persone giuridiche”, 2012, 30.
[27] Cass. 5 dicembre 1992, n. 12951, in Corr. Giur., 1993, 584, con nota di V. ZENO ZENCOVICH, I limiti della critica di associazioni scientifiche e in Foro.it, 1994, I, 561.
[28] Corte dei conti, sez. I, 13 maggio 1987, n. 91, in Foro amm., 1987, 2442.
[29] F. AVERSANO, A. LAINO, A. MUSCIO, Il danno all’immagine delle persone giuridiche, 2012, 24 -25.
[30] Cfr. Tar Sicilia, sez. Catania, 7 giugno 1985, n. 573, in TAR, 1985, I, 3099 ss.
[31] Cass. civ., 3 marzo 2000, n. 2367, www.onelegale.it.
[32] Cass., S. U., 11 novembre 2008, n. 26972, in Fam. E dir., 2009 con nota di G. FACCI, Il danno non patrimoniale nelle relazioni familiari dopo le sentenze delle sezioni unite dell’11 novembre 2008. Cass. civ., 3 marzo 2000, n. 2367, in danno e resp., 2000, 5, 490 con nota di V. CARBONE, Il pregiudizio all’immagine e alla credibilità di una s.p.a. costituisce danno non patrimoniale e danno non morale.
[33] Art. 185 c.p. – Restituzioni e risarcimento del danno
“Ogni reato obbliga alle restituzioni, a norma delle leggi civili.
Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui”, www.altalex.it.
[34] Cass. civ., 4 giugno 2007, n. 490, “il danno non patrimoniale, direttamente riconducibile all’art. 2043 c.c., è quello che si concretizza quale conseguenza del fatto illecito di tipo economico, facendo rifluire nella nozione di danno non patrimoniale, oltre naturalmente al danno morale in senso soggettivo, quelle fattispecie di danno che l’evoluzione della giurisprudenza identificava come danni patrimoniali in senso non economico … Nel caso in cui vi sia una lesione dei diritti della persona aventi fondamento nella Costituzione, si deve affermare la risarcibilità della lesione dello stesso diritto all’esistenza nell’ordinamento come soggetto, del diritto all’identità,, del diritto al nome e del diritto all’immagine della persona giuridica ed in genere dell’ente collettivo. Tale risarcibilità va riconosciuta a prescindere dalla verificazione di eventuali danni patrimoniali conseguenti – per la configurabilità di un danno di natura non patrimoniale, rappresentato dalla deminutio di tali diritti che di per sé è idonea ad arrecare quale danno-conseguenza”, www.onelegale.it.
[35] Tribunale Terni, 30 marzo 2004, in Riv. Pen., 2004, 1003 “il danno alla lesione di immagine accusato da una persona giuridica ha natura non patrimoniale e diverse sia da quello morale in senso stretto (pecunia doloris), sia da quello, di natura strettamente patrimoniale, eventualmente accertato e liquidato nel processo svoltosi avanti le giurisdizioni contabili, che abbiamo ravvisato nel fatto che il danno erariale sotto il profilo della spesa necessaria per il ripristino del bene giuridico”, www.onelegale.it.
[36] Art. 2 Cost:
“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”, www.altalex.it.
Art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU)
“1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”, www.altalex.it.
[37] Art. 2043 c.c. – Risarcimento per fatto illecito “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno, www.altalex.it.
La norma introduce la c.d. responsabilità extracontrattuale che sorge quando un soggetto subisce un danno dalla condotta di altri e tra di essi manca un rapporto obbligatorio. Essa si contrappone alla responsabilità contrattuale che nasce quando vi è tale rapporto ed esso è inadempiuto (1218 c.c.).
[38]Dalla lettura della norma: “Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui”, www.altalex.it.
[39] Cass. civ., n. 12929 del 4 giugno 2007, www.onelegale.it.
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