Profili di inapplicabilità della “circolare Salvini”
È viva l’attenzione degli interessati alla circolare del Ministero dell’Interno del primo settembre di quest’anno. Si tratta della cd. “circolare Salvini” in materia di sgombero di occupazione abusiva degli immobili.
Alcune prime manifestazioni applicative del provvedimento hanno già messo in evidenza alcune criticità che consigliano una più esaustiva rilettura dell’atto al fine di correggerne taluni sviluppi non sempre coerenti, sia sotto il profilo eminentemente sostanziale, sia con riferimento ad alcune interpretazioni estemporanee ed esageratamente “aggressive” del documento.
I primi due paragrafi presentano il problema dell’occupazione abusiva fuori dalla sua cornice di riferimento (il disagio abitativo), equiparandolo (e così invece non sembra essere) a situazioni di degrado e condotte illecite.
In più si dice che il tema riguarda prevalentemente i grandi centri urbani ingenerando perciò l’idea che in essi sia più urgente una rimodulazione, subordinandovi le situazioni locali di minore sostanza numerica e quantitativa.
Le premesse non evidenziano, poi, la necessità di individuare la natura giuridica del bene immobile oggetto dell’occupazione, se pubblico o privato: ciò dà luogo a modalità procedurali anche significativamente diverse, delle quali, però, il testo non dà conto, né sembra fornire richiamo.
Nelle cartelle successive, c’è un’insistente attenzione al “censimento” complessivo degli occupanti, dalle questioni anagrafiche ai dati patrimoniali, reddituali e (almeno tacitamente) sanitari degli occupanti, per individuare le condizioni di più evidente “fragilità”.
Le modalità esecutive del “censimento” proposto enfatizzano inoltre la necessità di adottare azioni “info-investigative”, ma entrambe le terminologie proposte sembrano essere, almeno giuridicamente, da ripensare.
In primo luogo, molti dei dati richiesti dalla circolare sono pur a vario titolo già noti alle autorità locali; in seconda istanza, questa elefantiaca attività istruttoria impatta realtà ambientali dove rischia in sostanza di avere effetti di pressione, di minatorietà e, proprio in quelle situazioni più fragili, persino di “pericolosità”.
Pare inoltre che il documento non distingua – e invece dovrebbe farlo – i profili effettuali dell’occupazione abusiva, chiarendo, ad esempio, le condizioni igieniche delle medesime, il recepimento della attività appropriativa nel contesto concreto della comunità locale e delle relazioni sociali, l’andamento complessivo delle attività comunitarie.
L’occupazione di malintenzionati, con esercizio di violenza fisica contro cose e persone, non è in nulla assimilabile a un progetto abitativo che punta ad assicurare il riequilibrio dell’uso di una struttura pubblica dismessa.
Un bivacco di refurtive trafugate e un insediamento di realtà abitative integrato nella dinamica di quartiere non sono situazioni assimilabili e pare realisticamente inopportuno poter procedere con le medesime metodologie in casi tanto diversificati.
Invero, il documento fa riferimento ad un non meglio precisato orientamento giurisprudenziale che condannerebbe l’inerzia del dicastero nell’esecuzione degli sgomberi, ma in assenza di altre puntualizzazioni, il riferimento appare caduco e monco.
Proprio le indicazioni giurisprudenziali hanno infatti rimodellato la questione della riutilizzazione spontanea delle forme pubbliche di proprietà in attuazione dei diritti sociali, politici e civili previsti e tutelati dal disposto costituzionale ed, invero, costantemente richiamati persino nella legislazione attuativa e nelle regolamentazioni di dettaglio.
Questo deficit di raccordo sembra aggravarsi nella penultima cartella della circolare ed, in particolar modo, nel paragrafo antecedente alle conclusioni. Si avverte la massima premura nell’assicurare la “tempestività” degli sgomberi, anche in nome della ricordata “farraginosità” delle relative procedure.
In realtà, la giurisprudenza e la dottrina hanno spesso stigmatizzato in funzione di garanzia il caso opposto: procedure che non tutelano i diritti della persona per eccesso di sommarietà, e non per strumentale e presunta farraginosità.
Non appare efficace, ancora, che la circolare subordini l’attivazione degli strumenti sussidiari e di intervento dei servizi sociali e delle autorità comunali alla previa esecuzione dello sgombero, insistendo per altro verso sulla provvisorietà delle soluzioni che verranno adottate e proposte in capo agli occupanti.
Rende l’azione molto più efficace la modalità operativa contraria: chiarire il quadro delle alternative e l’individuazione delle necessità prima delle azioni da intraprendere, proprio al fine di renderne operante e incruento il contesto applicativo.
Questo orientamento è del resto oggi minoritario in un’ottica comparatistica. Anche in Paesi e in modelli di gestione della pubblica sicurezza cui le componenti dell’esecutivo ammettono di guardare con favore, le procedure vigenti sono di altro segno ed è limitatissimo – per quanto talvolta draconiano negli effetti – l’utilizzo della giurisdizione penale o dell’attività di polizia.
L’una e l’altra queste modalità di intervento possono al più configurarsi come un rimedio postumo in caso di omessa individuazione di una diversa soluzione esecutiva.
Alla luce delle suesposte aporie e contraddizioni che si individuano nell’atto, sarebbe di estremo beneficio per la collettività tutta sospendere azioni esecutive comunque inquadrate sul piano formale e ripensare la provvedimentazione attuativa.
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Domenico Bilotti
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