Progressioni verticali: rientra tra le scelte discrezionali dell’amministrazione di riservare l’accesso alla selezione ai soli funzionari titolari di incarichi
In tema di progressioni verticali, l’amministrazione può graduare autonomamente i requisiti di ammissione alle procedure di progressione verticale, nel rispetto delle disposizioni legislative e contrattuali vigenti.
1. Introduzione
La sentenza n. 342 dell’11 marzo 2025 del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Quarta) si inserisce nel dibattito giurisprudenziale relativo alle progressioni verticali del personale non dirigenziale nella pubblica amministrazione. La controversia ha avuto origine da una procedura comparativa indetta dall’Università degli Studi di Padova per il passaggio dall’area dei “funzionari” a quella delle “elevate professionalità”. Il nodo centrale della questione riguarda i requisiti di ammissione stabiliti dal bando, in particolare la necessità di essere titolari di un incarico di primo livello. Le ricorrenti, attualmente inquadrate nell’area dei funzionari con incarichi di secondo livello, hanno contestato tale previsione, ritenendola in contrasto con il principio di progressione di carriera sancito dall’art. 52, comma 1-bis, del D.lgs. n. 165/2001. Secondo le dipendenti escluse dalla selezione, l’Amministrazione avrebbe illegittimamente introdotto una condizione restrittiva, limitando in modo eccessivo la platea dei candidati e violando i principi di parità di trattamento e valorizzazione delle competenze. Il TAR Veneto, nel pronunciarsi sulla questione, ha analizzato il quadro normativo e contrattuale di riferimento, soffermandosi sull’interpretazione dell’art. 52 del D.lgs. 165/2001 e dell’art. 89 del CCNL, per stabilire se l’Università avesse agito entro i margini di discrezionalità amministrativa o se, al contrario, avesse posto in essere una restrizione arbitraria dei requisiti di accesso alla selezione.
2. Progressione verticale e discrezionalità amministrativa: il Tar Veneto sulla legittimità dei requisiti di accesso stabiliti dall’Università di Padova
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Quarta), con sentenza dell’11 marzo 2025, n. 342, si è pronunciato in merito a un contenzioso riguardante la procedura comparativa interna, indetta dall’Università degli Studi di Padova, per la progressione verticale del personale non dirigenziale dall’area dei “funzionari” all’area delle “elevate professionalità”. In particolare, l’art. 2, lett. f), del bando richiede tra i requisiti di ammissione quello di “essere titolare di un incarico di I livello (Direttore di Ufficio, Segretario di Dipartimento, Responsabile della Gestione Tecnica, Responsabile tecnico-gestionale, Direttore Tecnico) presso l’Università degli Studi di Padova alla data di scadenza del bando, ed aver ricoperto per almeno 3 anni nel quinquennio 2020-2024 un incarico di posizione organizzativa o funzione specialistica.”
Al riguardo, va detto che il modello organizzativo dell’Università di Padova primariamente prevede una suddivisione in “Macro-strutture tecniche e amministrative” (Amministrazione centrale, Dipartimenti, Centri di Ateneo, Poli multifunzionali e Scuole di Ateneo).
La “Macro-strutture tecniche e amministrative” sono articolate in “Aree” (per l’Amministrazione centrale) o in “Strutture” (per le altre macrostrutture), che in entrambi i casi sono rette da un dirigente. La “Aree” e le “Strutture” operano tramite “Uffici” i cui responsabili sono titolari degli incarichi di primo livello considerati dalla su indicata norma del bando. Gli “Uffici” sono composti da “Settori”, i cui responsabili sono titolari di incarichi di secondo livello.
Le ricorrenti sono dipendenti dell’Università inquadrate nell’Area dei funzionari, e ciascuna di esse è titolare di un incarico di secondo di livello in quanto responsabile di un Settore. Le ricorrenti, inoltre:
sostengono che l’art. 52, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001 riguarderebbe i dipendenti che, pur appartenendo a una qualifica inferiore, esercitano di fatto mansioni proprie di una qualifica superiore. La ratiosottesa alla norma sarebbe quella di permettere a tali dipendenti di ottenere, a tutti gli effetti giuridici ed economici, l’inquadramento professionale coerente con le mansioni svolte in concreto;
affermano che presso l’Università di Padova i funzionari con incarichi di secondo livello svolgerebbero mansioni proprie dei dipendenti dell’Area delle elevate professionalità. Da questo punto di vista, la titolarità di un incarico di primo livello previsto dall’art. 2, lett. f), tra i requisiti di accesso alla selezione contrasterebbe con le norme sopra indicate;
deducono che, ai sensi dell’art. 88 (“Incarichi al personale dell’Area delle Elevate Professionalità”) del C.C.N.L., l’amministrazione datrice di lavoro prima dovrebbe inquadrare nell’area delle elevate professionalità il personale a tal fine assunto in servizio e solo successivamente dovrebbe assegnare agli interessati gli “incarichi ad elevata autonomia e responsabilità che si configurano quale elemento sostanziale dell’appartenenza all’Area” ai quali si riferiscetale norma del contratto collettivo. Da questo punto di vista, richiedere la titolarità di incarichi per l’ammissione alla selezione per accedere all’area delle elevate professionalità significherebbe invertire la scansione procedimentale prevista dal contratto collettivo, perché gli incarichi assumerebbero rilievo nella fase precedente all’assunzione e non in quella successiva;
sostengono che al personale inquadrato nell’area delle elevate professionalità possono essere assegnati anche incarichi di secondo livello. Da questo punto di vista sarebbe irragionevole richiedere per l’accesso alla selezione la titolarità di un incarico di primo livello per accedere all’area delle elevate professionalità.
Lamentano, inoltre, che la platea dei potenziali candidati ai quindici posti messi a bando sarebbe eccessivamente ristretta, considerato che i lavoratori inquadrati come funzionari titolari di incarichi di primo livello sarebbero cinquantadue e che taluni di essi mancherebbero dei titoli per accedere alla selezione perché non laureati o perché con un’anzianità nella qualifica inferiore ai cinque anni richiesta dal bando.
Secondo il Tar Veneto, in via preliminare, occorre dare conto del contenuto delle norme rilevanti ai fini del decidere, richiamate da entrambe le parti.
In particolare, l’art. 52, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001 prevede che “Fatta salva una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili destinata all’accesso dall’esterno, le progressioni fra le aree avvengono tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni di servizio, sull’assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli professionali e di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’area, nonché sul numero e sulla tipologia degli incarichi rivestiti. All’attuazione del presente comma si provvede nei limiti delle risorse destinate ad assunzioni di personale a tempo indeterminato disponibili a legislazione vigente”.
Il contenuto di tale norma di legge è ripreso dall’art. 89 (“Progressioni tra le Aree”), comma 1, del C.C.N.L., secondo cui “1. Ai sensi dell’art. 52, comma 1-bis del D.Lgs. n. 165/2001, fatta salva una riserva di almeno il 50 per cento delle posizioni disponibili destinata all’accesso dall’esterno, le progressioni tra un’Area e quella immediatamente superiore avvengono tramite procedura comparativa basata sulla valutazione positiva conseguita dal dipendente negli ultimi tre anni in servizio, sull’assenza di provvedimenti disciplinari, sul possesso di titoli o competenze professionali ovvero di studio ulteriori rispetto a quelli previsti per l’accesso all’Area dall’esterno, nonché sul numero e sulla tipologia degli incarichi rivestiti.”
Ai fini dell’interpretazione dell’art. 52, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001 (e dell’art. 89 del C.C.N.L. che ne riprende pedissequamente il contenuto), va innanzitutto tenuto presente il disposto dell’art. 12, comma 1, delle Preleggi, secondo cui “Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”.
Va altresì tenuto presente che “Ove l’interpretazione letterale sia sufficiente ad individuare, in modo chiaro ed univoco, il significato e la portata precettiva di una norma di legge o regolamentare, l’interprete non deve ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario della mens legis, il quale solo nel caso in cui, nonostante l’impiego del criterio letterale e del criterio teleologico singolarmente considerati, la lettera della norma rimanga ambigua, acquista un ruolo paritetico e comprimario rispetto al criterio letterale, mentre può assumere rilievo prevalente nell’ipotesi, eccezionale, in cui l’effetto giuridico risultante dalla formulazione della disposizione sia incompatibile con il sistema normativo, non essendo, invece, consentito all’interprete correggere la norma nel significato tecnico proprio delle espressioni che la compongono nell’ipotesi in cui ritenga che tale effetto sia solo inadatto rispetto alla finalità pratica della norma stessa”[1].
Fatta questa premessa metodologica, ritiene il Collegio che l’interpretazione letterale delle norme sopra indicate osti a ritenere corretta quella prospettata dalle deducenti. Infatti, tali norme non escludono la discrezionalità dell’Amministrazione di considerare (anche) gli incarichi rivestiti ai fini dell’accesso alla procedura comparativa di che trattasi.
Ad avviso del Collegio, il fatto che la procedura comparativa debba essere “basata” sugli aspetti tra i quali è compresa la titolarità di incarichi consente all’Amministrazione di dare rilievo a tale criterio non solo nel momento valutativo, ma anche in quello precedente dell’ammissione. Ritiene inoltre il Collegio che le norme in esame attribuiscano all’Amministrazione il potere discrezionale di “graduare e declinare in autonomia i titoli e le competenze professionali richiesti ai fini della progressione verticale interna” [2].
Viene quindi in rilievo una scelta espressione di discrezionalità amministrativa, di regola insindacabile se non per manifesta irragionevolezza, vista la natura stessa del procedimento (progressione interna), funzionale a valorizzare esperienza e professionalità di soggetti già dipendenti dell’Amministrazione.
A ben vedere, si tratta di un potere discrezionale analogo a quello considerato dall’art. 2, comma 6, del D.P.R. 9 maggio 1994 n. 487[3], secondo cui “ Le amministrazioni individuano, per ciascun profilo professionale, il titolo di studio o l’abilitazione professionale richiesti per accedere al concorso, in coerenza con la disciplina vigente in materia di pubblico impiego e di quanto stabilito nella contrattazione collettiva del relativo comparto, nonché con il sistema di classificazione adottato dall’amministrazione o dall’ente per le assunzioni, comprese quelle obbligatorie delle categorie protette. Per l’ammissione a particolari profili professionali di qualifica o categoria, gli ordinamenti delle singole amministrazioni possono prescrivere ulteriori requisiti. […]”.
Ferma restando la prevalenza del criterio di interpretazione letterale, ritiene inoltre il Collegio che la finalità sottesa alla procedura comparativa per le progressioni verticali introdotta dall’art. 52, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001 non sia quella prospettata dalle ricorrenti di sanare la situazione patologica (qualora non dettata da cause contingenti e qualora non temporanea) di lavoratori che di fatto svolgono mansioni superiori.
Piuttosto, ad avviso del Collegio la finalità perseguita dalla disposizione in commento sembra quella di introdurre una misura specifica per favorire il “percorso di crescita per gli interni all’amministrazione”[4].
Da questo punto di vista l’interpretazione teleologica proposta dalle deducenti è priva di fondamento. Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
3. Conclusione
Alla luce del quadro normativo esaminato, il TAR Veneto ha ritenuto infondate le doglianze delle ricorrenti, confermando la legittimità della previsione del bando. In particolare, il Collegio ha evidenziato come l’art. 52, comma 1-bis, del D.lgs. 165/2001 e l’art. 89 del CCNL consentano alle amministrazioni di stabilire criteri selettivi che valorizzino esperienza e professionalità già maturate. L’interpretazione letterale delle disposizioni non esclude la possibilità di considerare la titolarità di specifici incarichi quale requisito di accesso, rientrando tale scelta nella discrezionalità dell’ente. Inoltre, il Tribunale ha respinto l’argomentazione secondo cui la norma sulle progressioni verticali sarebbe finalizzata a sanare situazioni di esercizio di mansioni superiori, ritenendo invece che essa miri a favorire un percorso di crescita interno strutturato e regolamentato. In definitiva, la sentenza conferma che, salvo evidenti profili di irragionevolezza, l’amministrazione può graduare autonomamente i requisiti di ammissione alle procedure di progressione verticale, nel rispetto delle disposizioni legislative e contrattuali vigenti. Ne consegue il rigetto del ricorso, con la conferma della validità del bando impugnato.
[1] Consiglio di Stato, Sez. II, 3 luglio 2023, n. 6454.
[2] cfr. T.A.R. Catania, sez. III, 3 gennaio 2024, n. 12, che ha considerato legittimo, ai fini dell’accesso di una procedura di progressione verticale ex art. 52, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001 un titolo di studio ulteriore rispetto a quello valido per l’accesso all’area dall’esterno.
[3] Recante “Regolamento recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi”.
[4] cfr. il “Parere in merito all’applicazione dell’articolo 52, comma 1-bis, del d.lgs. n. 165 del 2001, come modificato dal decreto-legge n. 80 del 2021, convertito con legge n. 113 del 2021”, reso dal Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri (DFP-0066005-P6/10/2021)” richiamato da T.A.R. Catania, sez. III, 3 gennaio 2024, n. 12.
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Dott. Armando Pellegrino
Elevata Professionalità (EP)
Elevata Professionalità (quarta area EP). Dipendente pubblico dal 01.06.2017. Si occupa principalmente di appalti, anche come Rup, e contabilità. Laureato magistrale, con lode, in (1) Scienze delle Pubbliche Amministrazioni, (2) Economia Aziendale e (3) Giurisprudenza, è inoltre in possesso di vari titoli di master (5) aventi ad oggetto la pubblica amministrazione. Dottorando di ricerca in diritto pubblico, curriculum diritto amministrativo. Autore di pubblicazioni giuridiche per varie riviste scientifiche.
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