Prospettive future medico-legali nella gestione della scena del crimine
Sul locus commissi delicti intervengono principalmente tre figure professionali, ciascuna con la propria specifica funzione: soccorritori, Forze dell’Ordine e Medico legale. In questo articolo si vogliono evidenziare in particolare le problematiche legate a ciascuna Professione e quelle che potrebbero essere le prospettive future applicabili in ambito sia medico sia giuridico durante la gestione della scena del crimine e finalizzate al superamento di tali criticità.
I primi ad intervenire, solitamente, sulla scena del crimine sono i soccorritori, i quali agiscono con l’unico ed esclusivo scopo di proteggere il fondamentale diritto alla vita e alla salute, riconosciuto a ciascun essere umano dalla Costituzione, anche se ciò implica il “famigerato” «inquinamento della scena del reato», di cui gli agenti e gli ufficiali di Polizia giudiziaria devono necessariamente prendere atto prima di iniziare le indagini, nonostante l’obiettivo di pervenire all’accertamento dei fatti presupporrebbe, quale aspetto irrinunciabile, la prevenzione verso qualsiasi atto di contaminazione sia sulla scena del crimine sia sull’eventuale cadavere.
I soccorritori intervengono in situazioni di emergenza-urgenza, assumono la qualifica di incaricati di un pubblico servizio, eppure in Italia (contrariamente a quanto avviene nel resto d’Europa e in buona parte del resto del mondo) la professione del “soccorritore” non è riconosciuta e non sono presenti né scuole o corsi di laurea ad hoc né un iter formativo strutturato secondo uno schema regolato dalla contrattazione nazionale o locale né un percorso formativo istituzionalizzato. Quello del soccorritore è un lavoro in piena regola, carico di responsabilità, piuttosto che un’attività da svolgere nel tempo libero. Di qui la necessità di un riconoscimento sul piano giuridico della costituzione di un’apposita scuola di formazione, verosimilmente un corso di laurea. Un adeguato iter formativo riconosciuto a livello Statale permetterebbe di garantire un soccorso uniforme su tutto il territorio nazionale e di evitare una formazione “a macchia di leopardo”.
Una causa della contaminazione della scena del crimine ad opera dei soccorritori sono i “rifiuti” del soccorso. Una soluzione ideale, in una prospettiva futura, seguendo le orme di alcuni Paesi americani ed europei, potrebbe essere quella di dotare i soccorritori di un cinturone cui attaccare, oltre a forbici taglia abiti, torcia, porta cellulare, etc., anche un cestino, eventualmente staccabile, dove gettare i rifiuti. In questo modo, il rifiuto non entrerà in contatto con la scena del crimine.
Documentare la scena del crimine, soprattutto nella sua versione originaria, attraverso fotografie o audio-video-registrazioni è uno dei passaggi fondamentali per ottenere buoni risultati dall’analisi di una scena del crimine. La scena del crimine originaria viene vista principalmente dai soccorritori, soggetti che, però, non possono e non devono occuparsi della documentazione della scena: effettuare fotografie o video-registrazioni potrebbe risultare pericoloso per il paziente se bisognoso di interventi tempestivi. Documentare lo stato delle cose è, tuttavia, necessario per consentire agli agenti di Polizia di constatare come si presentava la scena del crimine prima dell’arrivo dei soccorritori. Solo così la Polizia giudiziaria potrà venire a conoscenza di ciò che era presente sulla scena prima dell’arrivo dei soccorritori e di ciò che, invece, è stato portato da quest’ultimi. Documentare la scena del crimine, inoltre, è una garanzia anche per i soccorritori. A tal proposito una possibile soluzione futura potrebbe essere quella di dotare tutti i soccorritori di videocamere che si attivano con il movimento e che, se montate su caschi, divise o ambulanze, possono riprendere in autonomia gli eventi. Se sul proprio caschetto i soccorritori avessero installata una micro-telecamera, una volta giunti sul posto, essi potrebbero “portare sulla scena” gli investigatori, che si troverebbero in tal modo sulla scena fin dall’inizio e qualsiasi dichiarazione, videoripresa, potrebbe avere valore di prova in giudizio. Inoltre, la video-registrazione permetterebbe di visionare la scena del crimine per come è stata trovata anche in momenti successivi. Se si considerano alcuni noti casi di cronaca e i relativi processi, lunghi e tortuosi a causa dell’alterazione a più riprese subita dalla scena del crimine, si evince immediatamente quanto possa essere decisiva la videoregistrazione. Non solo: il sistema della video-registrazione potrebbe risolvere anche il problema dei ricordi sotto stress, perché permetterebbe di documentare ogni istante senza l’influenza delle emozioni.
La stretta correlazione venutasi a creare nel corso dei secoli tra giustizia e scienza, segnatamente tra diritto e medicina, si sostanzia e si esprime nella contestuale presenza di Polizia giudiziaria e Medico legale sulla scena del crimine, locus in relazione al quale si impone la ineludibile necessità di bilanciare e far convivere gli specifici compiti di tali Professionalità, appartenenti ad ambiti diversi.
Alla Polizia giudiziaria – oggi distinta in molteplici settori, tra i quali si contraddistingue quello della sezione scientifica – è attribuito oggi il delicato compito di eseguire accertamenti e rilievi sulla scena del crimine, questi ultimi oggetto di una secolare dicotomia che ha fatto discutere per anni giurisprudenza e dottrina. A rendere indissolubile il già forte legame tra medicina e giustizia è il carattere rigorosamente scientifico che, nel corso del tempo, hanno assunto sulla scena del crimine le indagini di Polizia giudiziaria finalizzate anzitutto al repertamento di sufficienti elementi di prova affinché il Pubblico Ministero possa poi dare avvio al vero e proprio processo, essendo le indagini preliminari una fase di natura meramente procedimentale e non processuale.
Mancando uno strumento giuridico che indichi quando, dove e come intervenire sulla scena del crimine, oggi le indagini scientifiche del delitto non sono effettuate in modo uniforme: il rilievo e la repertazione dei dati in sede di sopralluogo giudiziario sono demandati alla sensibilità, alla soggettività ed alla preparazione dei singoli professionisti coinvolti, piuttosto che rifarsi, a garanzia della qualità delle prestazioni, a procedure codificate all’interno di modelli tecnico-operativi scientificamente condivisi[1].
Essendo la scena del crimine una realtà molto delicata, è indispensabile disporre di regole che disciplinino in modo preciso le modalità con cui condurre il suo esame, nonché di soggetti che vi intervengono, a vario titolo, adeguatamente formati. L’attività di sopralluogo giudiziario deve essere considerata una specializzazione da affidare a personale formato esclusivamente per tale finalità, pertanto, a tal fine sarebbe utile prevedere meccanismi di verifica della professionalità degli esperti che interagiscono con la scena del crimine o introdurre appositi albi cui attingere gli esperti[2]. A garanzia che il sopralluogo giudiziario dia esiti, oltre che affidabili, anche professionali, in una prospettiva futura, si potrebbe pensare ad un organismo terzo quale, ad esempio, una struttura pubblica indipendente, che verifichi la professionalità degli esperti che operano sulla scena del crimine. In passato si era proposto di far partecipare obbligatoriamente il difensore d’ufficio ad ogni atto d’indagine compiuto sulla scena del crimine, ma si sarebbe trattato di una soluzione difficilmente praticabile e di scarsa efficacia pratica, considerando che essa presuppone l’immediata individuazione di un indagato, il che non sempre accade.
Affinché i risultati dell’esame della scena del crimine siano affidabili, inoltre, è fondamentale che vengano riconosciuti protocolli condivisi riguardanti le singole metodiche d’investigazione tecnico-scientifica. I protocolli operativi elaborati a livello europeo non potranno essere elevati al rango di legge, sia per la loro analiticità sia per la loro suscettibilità ad essere costantemente modificati in ragione della inarrestabile evoluzione delle conoscenze scientifiche, ma potrebbero almeno acquisire rilevanza procedimentale e diventare cogenti se recepiti da norme regolamentari, mediante un rinvio a queste ultime in sede codicistica. Una soluzione praticabile potrebbe essere l’approvazione di decreti ministeriali ad hoc periodicamente aggiornati. Lo sviluppo tecnico-scientifico, per i suoi riflessi sulla contesa giudiziaria, impone di adottare regole comuni e quanto alle conseguenze di una loro eventuale violazione si potrebbe ricorrere alle categorie delle nullità di ordine generale e dell’inutilizzabilità[3].
Congelata la scena del crimine e raccolti gli elementi di prova gli agenti di polizia, con metodo e attraverso prove fisiche e deduzioni, cercano di ricostruire la dinamica del fatto. Grazie alla tecnologia, sempre più spesso al servizio delle forze di polizia e degli scienziati forensi, è stato possibile effettuare un notevole passo in avanti rispetto alla fotografia o alla video-registrazione: la scena del crimine oggi è ricostruibile in 3D, sistema che permette di immergersi più volte nella scena del crimine, esplorandola da diversi punti di vista, quali quello dell’autore del reato, o della vittima, o di eventuali testimoni. È accaduto anche che uno o più operatori indossassero tute dotate di sensori e, come fossero gli autori del reato, si muovessero nella stanza del delitto riproducendo, un numero indefinito di volte, l’azione criminosa scoprendo così dettagli diversi ogni volta.
Nel luglio 2019 la tecnologia ha reso possibile un ulteriore passo in avanti con la presentazione di Crime Training, un software che permette di ricostruire la scena di un crimine come cristallizzata dagli operatori di polizia e di esplorarla immergendosi in essa virtualmente con un visore VR (realtà virtuale), il quale consente agli operatori di polizia di compiere le medesime attività di sopralluogo che si svolgerebbero nella realtà. Indossando un semplice visore VR, che non è altro che una maschera con occhiali speciali, e maneggiando due dispositivi molto simili ai joycon della Wii, è possibile visionare ed ispezionare il locus commissi delicti, raccogliere oggetti, aprire cassetti e armadi, andare a caccia di tracce e prelevarle, attraverso l’ausilio di tamponi, macchine fotografiche, luminol.
Ad oggi Crime Training è utilizzato esclusivamente a scopo formativo, in ambito didattico, per consentire allo studente alle prime armi di entrare in contatto diretto con la scena del crimine allo scopo di suggerirgli quali errori non dovrà compiere, oltre a prepararlo all’impatto emotivo, sicuramente forte, che non può che accompagnare un’attività così complessa. Lo studente viene guidato nell’attività di sopralluogo simulata e gli viene consentito di condurre un’ispezione visiva senza entrare fisicamente nella scena del crimine.
In una prospettiva futura è chiaro che, un visore ed un software, e quindi una riproduzione artificiale, non potranno mai sostituire interamente l’attività del sopralluogo, la quale, per essere compiuta efficacemente, richiede una presenza effettiva sulla scena; sicuramente, però, l’utilizzo di un software di questo genere ridurrebbe sensibilmente i rischi di contaminazione della scena del crimine nel corso del suo esame e ciò rappresenterebbe un grosso balzo in avanti: una minore quantità di contaminazioni, più contenute perdite di tempo ad analizzare impronte che poi, magari, si scopriranno essere quelle di un soccorritore, minori sprechi in analisi inutili e, come è auspicabile, un minor numero di errori giudiziari.
Con riguardo all’istituto della catena di custodia, per effetto dell’art. 8, comma 7 della Legge n. 48 del 18 marzo 2008[4], nell’art. 259 c.p.p. è stato inserito anche quanto segue: “Quando la custodia ha ad oggetto dati, informazioni o programmi informatici, il custode è altresì avvertito dell’obbligo di impedirne l’alterazione o l’accesso da parte di terzi, salva, in quest’ultimo caso, diversa disposizione dell’autorità giudiziaria”. In una prospettiva futura il legislatore potrebbe estendere tale avvertimento anche ai casi in cui la custodia abbia oggetti diversi, come ad esempio una traccia biologica o un’arma o in generale qualsiasi cosa venga repertata sulla scena del crimine in qualità di fonte di prova.
Nel caso del sopralluogo giudiziario si è generata un’evidente asincronia tra quanto il Codice di rito consente di “fare” agli operatori sulla scena del crimine e quanto questi “potrebbero potenzialmente fare” se la normativa fosse meno contratta[5]. Non solo: le competenze specialistiche si concentrano in quelle stesse Forze dell’Ordine cui il legislatore aveva concesso ridotti spazi di autonomia operativa. Di qui l’occorrenza di rivedere il sistema normativo dedicato alle operazioni di sopralluogo giudiziario.
La conoscenza approfondita della realtà investigativa consente di re-interpretare le norme nella misura più corretta ed aderente allo spirito accusatorio del nostro sistema. Senza alcun dubbio le problematiche connesse all’attività d’indagine della Polizia giudiziaria sulla scena del crimine partono dalla confusione normativa dei concetti di accertamento e rilievo, distinzione, tuttavia, che oggi non è più così attuale. Il distinguo che oggi si rileva è più quello riguardante i presupposti e le diverse finalità cui tendono le operazioni di Polizia giudiziaria. Le Forze dell’Ordine hanno una prerogativa nel compimento delle attività tecnico-scientifiche quasi a sfiorare gli spazi di un potere investigativo esclusivo, ma tale potere non può spingersi oltre le operazioni urgenti, che sono le sole a poter giustificare l’attenuazione delle garanzie difensive. La distinzione andrebbe fatta tra: a) le attività tecnico-scientifiche compiute nella condizione di periculum in mora, ossia in situazioni di urgenza dettate dall’elevata labilità delle tracce da repertare, b) le attività tecnico-scientifiche compiute in condizioni di “urgenza investigativa”, che è l’urgenza dettata dalla necessità di dare immediato corso alle indagini in seguito ad una valutazione specialistica dell’investigatore, e c) ogni altra attività scientifica compiuta al di fuori delle prime due situazioni.
Questa tripartizione corrisponde ai tre diversi momenti di intervento tecnico degli organi di Polizia giudiziaria che, già da anni, è stata testata ed applicata nei Paesi di common law[6]. Il primo intervento tecnico della Polizia giudiziaria è finalizzato al congelamento, descrizione iniziale ed assicurazione delle fonti di prova labili ed è di competenza delle Forze dell’Ordine che sopraggiungono sulla scena (cosiddetti first intervener). Anche il secondo intervento è tempestivo ed è dedicato ad un’analisi più attenta e specialistica delle tracce con relativa raccolta e repertazione ed è assegnato agli ufficiali di Polizia giudiziaria aventi maggiore cognizione tecnico-scientifica (cosiddetti scene examiner) e può consistere, anch’esso, in attività irripetibili da dovesi compiere tempestivamente sul campo. Infine, il terzo intervento è destinato ad ottenere il risultato probatorio proveniente dalle tracce repertate attraverso l’analisi di laboratorio effettuata dai reparti tecnici della Polizia giudiziaria sotto la direzione del Pubblico ministero (cosiddetti forensic scientist).
Si potrebbe criticare che tale tripartizione pone problemi normativi, non tanto per la prima attività, che rientra nelle procedure disciplinate dall’art. 354 c.p.p., perché agisce con urgenza su ciò che è destinato a svanire in poco tempo, quanto per la seconda che non troverebbe una copertura legislativa dal momento che non rientrerebbe né nell’art. 354 c.p.p., perché trattasi di operazioni in cui l’urgenza è dettata dal contesto e non dalla natura deperibile della traccia ed è eseguita alla presenza del Pubblico ministero, né nell’art. 360 c.p.p. che mal si adatta, per le lunghe procedure di cui è dotato, ad esecuzioni operative rapide.
Una soluzione prospettabile potrebbe essere il combinato disposto degli artt. 244 e 370 c.p.p., lì dove consente una delega del Pubblico ministero alla Polizia giudiziaria nel compimento di “rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici e ogni altra operazione tecnica” in sede di ispezione; rilievi che, come ripetuto spesso anche dalla dottrina[7], sono atti irripetibili per definizione o frequentemente irripetibili.
Un’altra soluzione normativa percorribile potrebbe essere quella che fa leva sull’interpretazione estensiva del comma 3 dell’art. 348 c.p.p., così come modificato dalla legge n. 128/2001, lì dove separa l’operato autonomo della Polizia giudiziaria dalla presenza o dalla direzione del Pubblico ministero consentendo “di svolgere di propria iniziativa, informandone prontamente il Pubblico ministero, tutte le altre attività di indagine per accertare i reati ovvero richieste da elementi successivamente emersi e assicurare le nuove fonti di prova”. A quest’ultima finalità possono ben ricollegarsi le attività tecnico-scientifiche connotate dal carattere dell’urgenza investigativa, poiché hanno ad oggetto quelle tracce del reato cui solo il vaglio attento e specialistico degli esperti intervenuti sulla scena del crimine in seconda battuta, può riconoscere la valenza di atto urgente. Si tratta di nuove fonti di prova non palesatesi agli occhi del primo operatore. Le attività appartenenti all’ultimo intervento scientifico, quindi quello di laboratorio, possono avere sia valenza ripetibile, quindi lasciate anch’esse alle iniziative della Polizia giudiziaria secondo la disciplina di sistema dell’art. 348 c.p.p., sia valenza irripetibile, e pertanto eseguibili solo nelle forme garantite dall’art. 360 c.p.p.[8]
Entrambe le soluzioni potrebbero essere soggette a critica: la prima, poiché è legata alla natura vaga dei concetti di urgenza che ciascun operatore può allestire come meglio crede senza eccessivi margini di controllo; la seconda, in quanto è dettata dal sensibile ampliamento degli spazi investigativi della Polizia giudiziaria nelle prime fasi delle indagini preliminari. Tuttavia, queste soluzioni riescono a conciliare tutte le diverse ed opposte esigenze insite nelle attività di sopralluogo giudiziario ed appaiono coerenti, poiché alla stessa conclusione il legislatore era giunto già nel 1992 per le indagini cosiddette tradizionali, ammettendo attività di Polizia giudiziaria successiva e parallela a quella del Pubblico ministero[9].
È chiaro che l’eccesso di autonomia degli organi di Polizia giudiziaria sulla scena del crimine, indiscutibile quanto inevitabile, deve essere mitigato ed a tal fine sono necessarie indagini caratterizzate da un’elevata dose di “qualità” investigativa, cui lavora a livello europeo l’ENFSI per quanto riguarda sia le procedure di laboratorio sia le procedure operative d’indagine sul locus commissi delicti. Una volta entrata a regime, tali procedure certificate saranno garanzia della corretta esecuzione delle operazioni o, per contro, della loro inaffidabilità.
Se la scena del crimine è oggetto di un’attenta e specifica analisi da parte della Polizia giudiziaria, è invece alla figura professionale del Medico legale che è attribuito l’altrettanto delicato compito di intervenire in essa ed ispezionare il cadavere, indiscutibilmente il miglior “testimone oculare” del reato: “perché anche quando la biologia umana appare disgregata, quando ciò che un tempo era vita è ridotto a decomposizione, disfacimento e vecchie ossa rinsecchite, i morti possono sempre rendere una testimonianza, possono ancora raccontare una storia”[10] e il compito del Medico legale è riuscire ad interpretarla. In primis il Medico legale constaterà l’avvenuto decesso (essendo la sua figura professionale l’unica preposta a tale compito), in secundis accerterà l’epoca e la causa della morte, ed identificherà, se sconosciuta, la vittima del reato. Modalità e circostanze del decesso, nonché identità della vittima, sono informazioni necessarie affinché la Polizia giudiziaria possa poi proseguire efficientemente ed efficacemente con le indagini preliminari.
In una prospettiva futura medico – legale, una tecnica che nel tempo porterà enormi miglioramenti qualitativi nelle indagini patologico-forensi[11] è la cosiddetta “autopsia virtuale” o “virtopsy” (termine futuristico che combina l’aggettivo “virtuale” e il sostantivo “autopsia”), una tecnica all’avanguardia, elaborata a Berna dal Professore Michael Tali, che sta rapidamente guadagnando importanza in ambito forense per la sua idoneità ad applicare nel campo medico-legale metodi virtuali di indagine clinica allo scopo di individuare la causa del decesso di un individuo. Oltre a quest’ultima la tecnica consente di determinare il sesso, l’età, la lunghezza delle ossa e del loro tessuto, il peso degli organi, le caratteristiche ereditarie, nonché eventuali corpi estranei. Gli organi interni del cadavere possono essere visualizzati anche eseguendo preventivamente un esame RM (più conosciuto come risonanza magnetica), utilizzato quest’ultimo spesso anche per la valutazione di vittime superstiti di azioni violente, in quanto permette di individuare lesioni interne. La virtopsy è una tecnica che sicuramente si contraddistingue per la sua multidisciplinarietà – carattere proprio di un po’ tutto ciò che riguarda nel complesso l’esame di una scena del crimine – coinvolgendo allo stesso tempo plurime materie, quali la medicina forense, gli aspetti patologici, il computer e la grafica, la biomeccanica e la fisica. Al fine di creare una serie di immagini del cadavere osservabili in 3D, essa si avvale anche di plurime strumentazioni, quali la tomografia computerizzata (indicata con l’acronimo “TC” oppure “CT” dall’inglese Computed Tomography), la risonanza magnetica, la radiologia, la tac, le scansioni RD della superficie del corpo.
Nella pratica, il primo passo per eseguire una virtopsy è preparare il cadavere per l’imaging. A tal fine, lungo la parte esterna del corpo, vengono posizionati dei piccoli dischi che permettono l’allineamento della scansione della superficie del corpo e della scansione delle parti interne. Per ottenere risultati più standardizzati, nonché accurati, sulla superficie del corpo vengono posizionati dei marcatori che permettono di calibrare la scansione esterna del cadavere ed ottenere poi un modello a colori 3D del cadavere. Per la scansione, e la cattura dell’immagine a colori, si utilizzano telecamere stereoscopiche aventi una risoluzione di 0,02 mm e successivamente un proiettore lancia un modello di mesh (modello di computer grafica in 3D) sul corpo. La macchina robotica si muove sopra il corpo creando, in pochissimi secondi, un’immagine 3D, dotata di una risoluzione elevatissima, che, rappresentando l’intero corpo, permette di identificare le lesioni parenchimali maggiori o eventuali corpi estranei, come ad esempio un proiettile esploso da un’arma da fuoco (il proiettile viene visualizzato in 3D e, con un semplice click del mouse, sul monitor è possibile visionare gli strati virtuali di pelle e muscoli). Terminata la scansione superficiale, il corpo viene sottoposto a tecniche di imaging, allo scopo di ricavare una serie di immagini, ognuna delle quali rappresenta una sottilissima sezione del cadavere. Le informazioni provenienti dalle scansioni interne e superficiali vengono poi elaborate mediante appositi software, ricreando un modello virtuale del corpo[12].
Questa tecnica virtuale funge da strumento complementare e di supporto alla tradizionale autopsia, potendo sostituirla o migliorarla in casi selezionati a seconda delle necessità investigative. Tra i plurimi vantaggi di cui è dotata la virtopsy occorre rilevare in primis che essa opera in maniera del tutto non invasiva, contrariamente all’autopsia tradizionale, la quale implica una inevitabile e permanente manomissione del cadavere, tale da rendere l’esame autoptico tradizionale un accertamento tendenzialmente irripetibile. L’autopsia virtuale risparmia ai familiari del defunto l’idea che il corpo del proprio caro venga “aperto” ed ispezionato nei minimi dettagli su un tavolo settorio. La documentazione ottenuta in seguito all’esame autoptico virtuale, invece, grazie anche alla sua elevata risoluzione, è permanente e, nell’eventualità in cui dovesse rendersi necessario un secondo parere o un approfondimento, essa potrà essere valutata nuovamente anche a distanza di anni, anche dopo che il corpo dovesse essere stato tumulato o cremato, essendo quest’ultimo stato scansionato nella sua completezza, dal cranio ai piedi. La tecnica permette un più rapido e agile flusso di informazioni tra i colleghi, consentendo di richiedere seconde opinioni di esperti e di specialisti distanti dalla sede nella quale viene svolto l’esame autoptico (si parla a tal proposito di “teleradio-pathology” e “tele-forensic”). Vengono, inoltre, forniti dati oggettivi, che non dipendono dalla valutazione soggettiva di nessun operatore, a differenza dell’indagine autoptica tradizionale, la quale è, invece, fortemente soggettiva. Archiviando i dati ottenuti dalle autopsie virtuali possono crearsi dei database, i quali potrebbero fungere da supporto per attività di insegnamento, formazione, aggiornamento: lo studio delle immagini post mortem può permettere di acquisire nuove conoscenze applicabili alla clinica e al paziente vivente. “And last but not least” la virtopsy potenzia e migliora la qualità dell’abituale attività necroscopica medico-legale, tale che se eseguita prima dell’indagine autoptica tradizionale, il medico legale, previamente informato dei reperti più significativi, potrà effettuare un esame mirato anche solo ad una parte del corpo specifica, riducendo così il tempo ed i costi necessari per l’autopsia tradizionale.
Nei casi esaminati fino ad oggi[13], la virtopsy si è rivelata uno strumento utile per affrontare un’ampia gamma di quesiti medico-legali: dall’identificazione del soggetto e la ricerca di corpi estranei, nello studio dei corpi carbonizzati o nelle vittime da arma da fuoco, alla delineazione del pattern lesivo complessivo e la ricostruzione della dinamica del trauma, nello studio delle vittime dei grandi traumatismi da incidenti del traffico stradale, incidenti aviatori e da precipitazione.
Le criticità analizzate relative all’intervento di ciascuna figura professionale che interviene sulla scena del crimine dimostrano come, nel locus commissi delicti, soccorritori, Forze dell’Ordine e Medico legale non sono altro che “anelli” di una stessa “catena”: ciascuna Professionalità è un “anello” autonomo, ha la propria funzione da svolgere, le proprie regole da seguire, i propri obiettivi da raggiungere, ma affinché l’esame di una scena del crimine dia risultati ottimali è necessario che queste tre figure professionali collaborino tra di loro e cerchino di coordinare i propri ruoli, prendendo atto – come avviene in una vera “catena” – anche dei vincoli che derivano da una tale collaborazione, essendo Professionalità appartenenti ad ambiti sensibilmente diversi. Come potrebbero le Forze dell’Ordine effettuare un idoneo sopralluogo giudiziario senza l’apporto dei soccorritori che, dopo aver garantito il fondamentale diritto alla vita e alla salute della vittima del reato, spesso forniscono importanti informazioni circa l’originario aspetto del locus commissi delicti? Dall’altra parte, le Forze dell’Ordine devono prendere atto dei vincoli derivanti dalla collaborazione con i soccorritori, i quali, al fine di salvare la vita al paziente, spesso contaminano la scena del crimine. Quanto, invece, al legame con il Medico legale, come potrebbero le Forze dell’Ordine proseguire con le indagini preliminari senza l’ausilio del Medico Legale, le cui competenze in materia di identificazione della vittima (se sconosciuta), o di determinazione dell’epoca e della causa della morte, si rivelano imprescindibili per giungere al fine ultimo di assicurare alla giustizia il responsabile del reato e allo stesso tempo dare giustizia alla vittima?
La stessa necessaria collaborazione che vi deve essere tra soccorritori, Forze dell’Ordine e Medico legale si impone tra il diritto e la scienza, due ambiti che ormai da secoli hanno intrapreso il loro percorso di correlata crescita, pervenendo a risultati un tempo inimmaginabili. La crescita non deve, però, arrestarsi e, grazie soprattutto all’apporto della tecnologia, le innovazioni in campo sia medico sia giuridico potrebbero essere molte.
Premesso che la costante e inarrestabile evoluzione della tecnologia e della scienza rende difficile far venir meno l’evidente asincronia tra quanto il Codice di procedura penale consente di “fare” agli operatori sulla scena del crimine e quanto questi “potrebbero potenzialmente fare” se la normativa fosse meno contratta, a garanzia di sopralluoghi giudiziari efficienti ed efficaci, le modalità d’investigazione tecnico-scientifica con le quali condurre l’esame della scena del crimine dovrebbero essere regolate da norme di legge o, perlomeno, da norme regolamentari, le quali, recependo i Protocolli operativi elaborati a livello europeo, potrebbero far acquisire a questi ultimi rilevanza procedimentale.
A garanzia della massima professionalità, inoltre, la scena del crimine dovrebbe essere esaminata da personale specializzato esclusivamente nel compimento di attività di rilevamento e repertazione sul locus commissi delicti e l’operato e la professionalità di tali esperti dovrebbero poter essere verificati da un organismo terzo, quale ad esempio una struttura pubblica indipendente.
A tutela della genuinità della scena del crimine, la quale deve essere preservata il più possibile da contaminazioni, per il suo esame potrebbero utilizzarsi dei software virtuali (come, ad esempio, Crime Training, attualmente adoperato a soli fini didattici) che consentono agli esperti di introdursi virtualmente sulla scena e di ispezionarla, come se vi fossero realmente all’interno, senza tuttavia incorrere nel rischio di contaminare eventuali tracce suscettibili di acquisire valenza probatoria in giudizio.
Spesso il rischio di contaminazioni viene attribuito all’intervento dei soccorritori, i quali, avendo quale unico compito quello di tutelare la salute e la vita del paziente, non si preoccupano di evitare possibili inquinamenti della scena del crimine. Se la contaminazione ad opera dei soccorritori costituisce oggi un rischio pressoché ineliminabile, nonché un dato di cui le Forze dell’Ordine, che arrivano successivamente sulla scena del crimine, devono prendere atto, è però vero che un’adeguata documentazione dell’operato dei soccorritori, ad esempio attraverso l’installazione di micro-videocamere sui caschetti indossati durante il soccorso, potrebbe aiutare le Forze dell’Ordine a ricostruire la scena del crimine prima dell’intervento dei soccorritori.
Infine, in ambito medico legale la tradizionale autopsia, in casi specifici e a seconda delle necessità d’indagine, potrebbe essere sostituita dalla cosiddetta “virtopsy”, una nuova tecnica all’avanguardia che, grazie all’ausilio di metodi virtuali di indagine clinica non invasivi, consente, tra le altre cose, di determinare la causa del decesso di un individuo, tutelandone l’integrità fisica.
[1] F. COLAIUDA, Il sopralluogo giudiziario, p. 2.
[2] S. LORUSSO, L’esame della scena del crimine nella contesa processuale, in Diritto penale e processo 2011, p. 277.
[3] S. LORUSSO, L’esame della scena del crimine nella contesa processuale, cit., p. 274.
[4] Legge 18 marzo 2008, n. 48 Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla criminalità informatica, fatta a Budapest il 23 novembre 2001, e norme di adeguamento dell’ordinamento interno, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 80 del 4 aprile 2008 – Supplemento ordinario n. 79.
[5] D. CURTOTTI NAPPI – L. SARAVO, Mezzi di ricerca della prova, L’approccio multidisciplinare nella gestione della scena del crimine, in Dir. Pen. Proc. 2001, p. 632.
[6] Ibidem.
[7] L. CARLI, Le indagini preliminari nel sistema processuale penale. Accusa e difesa nella ricerca e predisposizione della prova penale, Giuffrè, 2005, p. 319. In giurisprudenza vedi Cass., Sez. IV, 4 luglio 1997, Bellocci, in Rivista penale, 1998, p. 100.
[8] Il Tribunale di Milano, il 20 gennaio 1996, Grignaschi, in Arch. N. proc. Pen., 1996, p. 269, ha ritenuto l’accertamento di tipo medico ginecologico effettuato su minore non operabile con lo strumento della consulenza tecnica ex art. 359 c.p.p., bensì con quello dell’art. 360 c.p.p.
[9] D. CURTOTTI NAPPI – L. SARAVO, Mezzi di ricerca della prova, L’approccio multidisciplinare nella gestione della scena del crimine, cit., p. 633.
[10] S. BECKETT, Scritto nelle ossa, Bompiani, 2015.
[11] C. POMARA – V. FINESCHI – G. SCALZO – G. GUGLIELMI, Virtopsy versus digital autopsy: virtual autopsy, Radiol med, 114, 2009, p. 1367, su https://doi.org/10.1007/s11547-009-0435-1.
[12] R. K. BADAM – T. SOWNETHA – D. B. G. BABU – S. WAGHRAY – L. REDDY – K. GARLAPATI – S. CHAVVA, Virtopsy: touch-free autopsy, J Forensic Dent Sci, 2017.
[13] La prima autopsia virtuale è stata eseguita a Trapani nel marzo 2020, nell’Ospedale a Sant’Antonio Abate, con esame TC total body della salma. Le indagini erano relative al decesso di Rosalia Garofalo, la donna mazarese uccisa di botte dal marito nei giorni prima. Il radiologo dell’Unità operativa complessa di Radiologia del presidio ospedaliero trapanese ha eseguito una virtopsy.
Il 9 settembre 2020 è stata effettuata la riesumazione del corpo di Aldo Naro, giovane medico ucciso nel 2015 nella discoteca Goa di Palermo, per eseguire una virtopsy in formato 3D. La salma – su ordine della Procura della Repubblica di Palermo – è stata estumulata presso il cimitero di San Cataldo e poi trasportata presso la sede del dipartimento di medicina legale dell’Università Magna Grecia dove è stata sottoposta a esame diagnostico mediante il moderno metodo della “virtopsy” in formato 3D.
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Giulia Groppelli
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