Protezione internazionale: illegittimo il diniego anche se l’omosessualità non è un reato nel Paese d’origine
Cass. civ., sez. I, 23 aprile 2019, n. 11176
La vicenda. La Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Crotone negava il riconoscimento della protezione internazionale e di quella sussidiaria ad un cittadino ivoriano. L’uomo, di religione musulmana e coniugato con due figli, riferiva di avere intrattenuto una relazione sentimentale omosessuale, così divenendo oggetto di disprezzo e di accuse da parte di sua moglie nonché di suo padre, Imam del paese.
La decisione di fuggire era giunta a seguito del reperimento del cadavere del proprio partner, ucciso in circostanze non note e, a detta del ricorrente, ad opera di suo padre.
Il Tribunale di Catanzaro rigettava la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato e quella di protezione sussidiaria ritenendone insussistenti i presupposti. La decisione veniva poi confermata anche in appello.
La decisione. La Corte territoriale, dopo aver compiuto una ampia ricostruzione storica, politica e sociale del Paese di origine del ricorrente, ha escluso che sussistessero i presupposti della protezione internazionale, poiché dal racconto del ricorrente non poteva evincersi una situazione di pericolo grave alla persona derivante da violenza in discriminata in situazioni di conflitto armato o interno: il ricorrente, in sede di audizione dinanzi alla Commissione territoriale non aveva fatto alcun cenno a situazioni di violenza generalizzata, limitandosi ad esporre le ragioni che lo avevano indotto a lasciare il proprio Paese, a causa della propria omosessualità, disprezzata e non condivisa dai propri famigliari; in forza di ciò, ad avviso della Corte, considerato l’ambito strettamente familiare delle minacce, doveva escludersi la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di una forma di protezione internazionale.
La Corte territoriale, in particolare, ha accertato che in Costa d’Avorio, al contrario di altri stati africani, l’omosessualità non è considerata un reato, né lo Stato presenta generali problematiche di sicurezza, facendo da ciò discendere il rigetto della protezione internazionale.
La Suprema Corte non ha ritenuto tale decisione conforme a diritto.
Se infatti, <<qualora un ordinamento giuridico punisca l’omosessualità come reato, questo costituisce, di per sé una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini, che ne compromette la libertà personale e li pone in una situazione di oggettivo pericolo (Cass. 26969/2018), l’assenza di norme che vietino direttamente o indirettamente i rapporti consensuali tra persone, dello stesso sesso, non è, di per sé, risolutivo ai fini di escludere la protezione internazionale, dovendo altresì accertarsi se lo Stato, in tale situazione, riconducibile alla previsione dell’art. 8, lett. d), non possa o non voglia offrire adeguata protezione alla persona omosessuale, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 5, lett. c), e dunque se, considerata la concreta situazione del richiedente e la sua particolare condizione personale, questi possa subire, a causa del suo orientamento sessuale, ex art. 8, lett. d), la minaccia grave ed individuale alla propria vita o alla persona e dunque l’impossibilità di vivere nel proprio paese d’origine senza rischi effettivi per la propria incolumità psico-fisica la propria condizione personale>>.
Nel caso di specie la Corte territoriale ha escluso che si versasse in una situazione di oggettivo pericolo, non sussistendo in Costa d’Avorio una situazione di conflitto armato o di violenza diffusa, attribuendo rilievo meramente personale e familiare ai gravi rischi lamentati dal ricorrente.
Non risulta peraltro che la Corte, che pure non ha espresso riserve sulla credibilità del ricorrente, abbia considerato la specifica situazione di quest’ultimo ed abbia adeguatamente valutato la sussistenza di rischi effettivi per la sua incolumità in caso di rientro nel paese di origine, a causa dell’atteggiamento persecutorio nei suoi confronti, senza la presenza di adeguata tutela da parte dell’autorità statale.
Non appare sufficiente l’accertamento che nello stato di provenienza del ricorrente, la Costa d’Avorio, l’omosessualità non è considerata alla stregua di reato, dovendo altresì accertarsi la sussistenza, in tale paese, di adeguata protezione da parte dello Stato, a fronte delle gravissime minacce provenienti da soggetti privati.
La Corte territoriale ha, infatti, omesso di valutare la sussistenza della condizione di vulnerabilità del ricorrente, alla luce della particolare situazione personale prospettata nel ricorso e del concreto pericolo che egli possa subire, in conseguenza della propria condizione di omosessualità, trattamenti degradanti e la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto dello statuto della dignità personale in caso di rimpatrio.
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