Punibile l’avvocato che diserta l’udienza grazie al falso certificato medico
1. LA MASSIMA
In tema di reati contro l’Amministrazione della Giustizia, risponde di false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’Autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale (art. 374 bis c.p.) e non di falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità (art. 481 c.p.) colui che chiede ad un medico di redigere una certificazione nella quale venga attestata una falsa diagnosi, dichiarando, poi, tramite il citato certificato medico prodotto dall’A.G., di essere affetto da un patologia, in realtà inesistente e di essere impedito a partecipare ad un’udienza (Cass. pen., sez. VI, sent. 9 marzo 2017, n. 11540).
2. L’ART. 374 BIS C.P.
Il delitto di “false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria” di cui all’art. 374 bis c.p. statuisce che è punito con la reclusione da uno a cinque anni chiunque dichiara o attesta falsamente in certificati o atti destinati a essere prodotti all’Autorità giudiziaria o alla Corte penale internazionale condizioni, qualità personali, trattamenti terapeutici, rapporti di lavoro in essere o da instaurare, relativi all’imputato o al condannato o alla persona sottoposta a procedimento di prevenzione. La fattispecie incriminatrice in questione riguarda due specifiche attività documentative ossia “dichiarare” e “attestare” e due tipi di documenti cioè atti e certificati. La ratio è quella di garantire la funzione probatoria di detti documenti (FIANDACA MUSCO, Diritto penale, parte speciale, vol I, p. 389; Cass. sez. VI, 13 luglio 2001, n. 32962, C. E. D.). L’elemento oggettivo, invece, si riferisce all’attività di documentazione (derivante, appunto, da atti e certificati) di circostanze che non corrispondono al vero e richiede che la suddetta attività sia realizzata con la finalità della destinazione ad essere prodotta all’autorità giudiziaria perché ne possano derivare effetti favorevoli all’interessato (TRAMONTANO, Codice professionale Studium: prima edizione 2017). E’ un reato di pericolo che si perfeziona tutte le volte che si forma la falsa documentazione: la destinazione dell’atto all’autorità giudiziaria deve risultare in modo specifico ed univoco dal contesto dello stesso atto in virtù del suo tenore oggettivo. Il documento falso può essere redatto anche per finalità concorrenti alla presentazione all’autorità giudiziaria.
3. L’ART. 481 C.P. E LA GIURISPRUDENZA MENO RECENTE
Integra il reato di cui all’art. 481 c.p. chiunque nell’esercizio di una professione sanitaria o forense o di un altro servizio di pubblica necessità, attesta falsamente, in un certificato, fatti dei quali l’atto destinato a provare la verità. La norma è finalizzata a garantire la fiducia dei consociati nei riguardi degli atti pubblici, specie in ordine alla veridicità degli atti.
LA GIURISPRUDENZA MENO RECENTE:
– In tema di opere soggette a presentazione di denuncia di inizio attività (DIA), assume la qualità di persona esercente un servizio di pubblica necessità e risponde, quindi, del reato di falsità ideologica in certificati, il progettista che, nella relazione iniziale di accompagnamento di cui all’art. 23, comma primo, del D.P.R. n. 380 del 2001, renda false attestazioni, sempre che le stesse riguardino lo stato dei luoghi e la conformità delle opere realizzande agli strumenti urbanistici e non anche la mera intenzione del committente o la futura eventuale difformità di quest’ultima rispetto a quanto poi in concreto realizzato (Cass. n. 27699/2010);
– I delitti contro la fede pubblica tutelano direttamente non solo l’interesse pubblico alla genuinità materiale e alla veridicità ideologica di determinati atti, ma anche quello del soggetto privato sulla cui sfera giuridica l’atto sia destinato a incidere concretamente, con la conseguenza che egli, in tal caso, riveste la qualità di persona offesa dal reato (Cass. n. 2076/2009: nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto l’incidenza diretta sulla sfera giuridica della società assicuratrice costituitasi parte civile del falso ex art. 481 c.p.);
– In materia di falso, la relazione d’asseverazione del progettista allegata alla denuncia d’inizio d’attività edilizia (DIA) ha natura di “certificato”, sicché risponde del delitto previsto dall’art. 481 c.p. il professionista che redige la suddetta relazione di corredo, attestando, contrariamente al vero, la conformità agli strumenti urbanistici (Cass.n. 1818/2009);
– Integra il reato di cui all’art. 481 c.p. la falsa attestazione, da parte di un esercente la professione legale, dell’autenticità della firma figurante in calce ad un atto di conferimento di procura speciale apparentemente proveniente dalla persona offesa di un reato, nulla rilevando, ai fini della pretesa innocuità del falso, il fatto che, per errore, l’atto anzidetto sia stato redatto su di un modulo predisposto per l’imputato, Cass. n. 15150/07.
4. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sent. del 21/10/2015 la Corte di Appello di Milano ha confermato quella del Tribunale di Milano del 21/02/2012 con cui un S. A. è stato riconosciuto colpevole dei delitti di cui agli artt. 481 e 374 bis cod. pen., previa unificazione ex art. 81 c.p. e previa concessione delle attenuanti generiche, alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione.
S. ha presentato ricorso. Deduce vizio di motivazione in relazione alla partecipazione concorsuale nel reato di cui all’art. 481 c.p. e, conseguentemente, in merito alla sussistenza del delitto di cui all’art. 374 bis c.p. nonché violazione di legge in merito al mancato assorbimento dell’ipotesi di cui all’art. 481 c.p. nel secondo delitto.
Il ricorrente, ricostruito il ragionamento logico della Corte territoriale, sottolinea l’illogicità dell’affermazione secondo cui l’essere affetto da sciatalgia violenta dovuta ad ernia discale con prescrizione di riposo implicasse l’incompatibilità della patologia, con spostamenti anche repentini del paziente.
La circostanza che S. avesse ottemperato alla prescrizione non postula l’insussistenza della sciatalgia e, dunque, la falsità della certificazione. La mancanza di prova della suddetta falsità era da riverberarsi anche sul delitto di cui all’art. 374 bis c.p.
Il ricorrente osserva, infine, che la fattispecie sub1 avrebbe dovuto ritenersi assorbita nella più ampia fattispecie sub2 con necessità di allungamento della pena irrogata a titolo di aumento per la continuazione. La prevalenza dell’art. 374 bis c.p. corrisponde alla maggior specialità della fattispecie a tutela dell’amministrazione della giustizia.
5. MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Il ricorso è inammissibile, salvo che con riguardo al tema del concorso dei due reati.
2) Si osserva che il ricorrente è stato riconosciuto colpevole del delitto di cui all’art. 481 c.p.
3) Il ricorrente è stato riconosciuto colpevole del reato di cui all’art. 481 c.p. per aver chiesto ad un medico di redigere una certificazione nella quale era stata attestata una falsa diagnosi nonché del delitto di cui all’art. 374 bis c.p. per aver dichiarato tramite il citato certificato medico prodotto dall’A.G. di essere affetto da una patologia – in realtà inesistente – e di essere impedito a partecipare ad un’udienza dinanzi al Tribunale di Parma.
Il ricorso, pur non occupandosi direttamente del secondo reato, pretende di contestarne la configurabilità sulla base di doglianze riferite al primo.
Sta di fatto che si formulano censure di merito e comunque manifestatamente infondate, in ordine ai temi sui i quali i Giudici di merito si sono soffermati. Costoro hanno rilevato, infatti che il ricorrente (a suo dire), adducendo di non sentirsi troppo bene, aveva chiesto un certificato medico per giustificare la sua assenza al Tribunale di Parma ed hanno aggiunto anche che il suddetto certificato medico non era stato preceduto da alcuna visita del paziente e recava la diagnosi di “sciatalgia violenta dovuta ad ernia discale” e la prescrizione di riposo per la terapia del caso, da ritenersi incompatibili con i frenetici spostamenti dello S. nei giorni 14 e 15 gennaio (attestati dalle diverse celle telefoniche) e con l’osservazione diretta da parte della PG nei giorni immediatamente precedenti e successivi.
La circostanza che fosse stata chiesta una certificazione medica con scopo preciso, non preceduta da alcuna visita, vale di per sé a sgomberare il campo della deduzione difensiva secondo cui l’inosservanza della prescrizione da parte del ricorrente non varrebbe ad attestare la falsità di una diagnosi che il medico non avrebbe compiutamente formulare.
D’altro canto, la Corte territoriale ha avuto modo di precisare che neppure il ricorrente in sede di interrogatorio aveva in qualche guisa giustificato i propri movimenti, di per sé incompatibili con la prescrizione (adducendo di essersi spostato in macchina o con l’ausilio di un’autista.
3. Ma se ciò vale a suffragare la valutazione dei giudici di merito, in ordine alla penale responsabilità dello S., deve procedersi sulla scorta di quanto dedotto nel ricorso, alla qualificazione giuridica dei fatti.
3.1. Per quanto qui ci riguarda l’art. 374 bis c.p., contempla, salvo che il fatto costituisca più grave reato, la condotta di chi dichiara o attesta falsamente in certificati o atti destinati ad essere prodotti all’autorità giudiziaria condizioni, qualità personali, trattamenti terapeutici, rapporti di lavoro in essere o da instaurare relativi all’imputato.
La pena va da anni uno ad anni 5 di reclusione, aggravata da anni due ad anni sei se il fatto è commesso da pubblico ufficiale, da incaricato di pubblico servizio o da esercente la professione sanitaria.
L’art. 481 c.p. contempla, invece, la condotta di chi, nell’esercizio della professione forense o sanitaria o in un servizio di pubblica necessità, attesta in certificato fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità.
La pena è alternativa e quella detentiva arriva ad un anno di reclusione.
3.2 Ciò posto, appare evidente che entrambe le fattispecie risultano integrate, in quanto è in concreto ravvisabile una certificazione redatta da esercente la professione sanitaria e destinata ad essere prodotta all’AG nella quale sono falsamente attestati una condizione ed un trattamento terapeutico dell’imputato. Si tratta di stabilire, però, se tra le due norme possa stabilirsi un rapporto in forza del quale una sola di esse risulti applicabile. Va, comunque, osservato che oltre i canoni legalmente definiti “i giudizi di valore che i criteri di assorbimento e consunzione richiederebbero sono tendenzialmente in contrasto col principio di legalità, in particolare con quello di determinatezza e tassatività, perché fanno dipendere da incontrollabili valutazioni intuitive del giudice l’applicazione di una norma penale” (Cass. sez. Unite, n. 47164 del 20.12.2005, Marino, rv, 232302-4).
Ne discende che ai fini della corretta opzione ermeneutica non possono utilizzarsi intuitive valutazioni, ma deve prendersi in considerazione la regola citata dall’art. 15 c.p. che dà prevalenza alla disposizione di legge speciale. In tale prospettiva, si tratta, dunque, di verificare se possa o meno dirsi che le due fattispecie prese in considerazione in questa sede disciplinino la stessa materia.
Deve peraltro escludersi rilievo l’identità del bene protetto (Cass. sez. Un. n. 1904/2007, Carchivi, rv. 235962 cit.).
Deve, invece, aversi riguardo al fatto tipico nel quale si realizza l’ipotesi di reato (Cass. sz. Un. 1963 del 28.10.2010, dep. nel 2011 Di Lorenzo, rv 248722).
D’altro canto, una volta individuata la medesima materia, si deve se del caso stabilire quali delle disposizioni possa essere speciale. In tali valutazioni occorre avere riguardo all’oggettività giuridica e al profilo strutturale (Cass., sez. Un. 248722 del 2011, Di Lorenzo, cit.). Possono così configurarsi casi di specialità unilaterale ovvero bilaterale o reciproca. Ed invero l’art. 374 bis c.p. contiene la formula “salvo che il fatto costituisca più grave reato” che consente di ritenere la norma recessiva ove ricorra l’ipotesi considerata. Tuttavia, nel caso di specie, è proprio tale reato ad essere punito più gravemente; quindi la clausola si appalesa irrilevante.
Ciò non toglie che possa ravvisarsi tra i reati in esame una relazione riconducibile al criterio di specialità. Nel caso di cui all’art. 374 bis la falsa rappresentazione può essere resa da chiunque; nell’ipotesi di cui all’art. 481 c.p. proviene da soggetto qualificato. Le due fattispecie si sovrappongono n relazione alla rispettiva oggettività giuridica. La sentenza impugnata dev’essere annullata senza rinvio con riferimento all’art. 481 c.p., con l’eliminazione della pena di mesi due. Con riferimento a detto articolo, non può dirsi decorso il termine di prescrizione.
6. CONCLUSIONI
Nel caso di specie l’art. 481 c.p. viene assorbito dal reato di cui all’art. 374 bis c.p. per i motivi già specificati in narrativa.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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Maria Giovanna Bloise
Consulente Legale
Dott.ssa Maria Giovanna Bloise