Quadro normativo su inquinamento atmosferico e qualità dell’aria

Quadro normativo su inquinamento atmosferico e qualità dell’aria

Tra le tipologie di inquinamento ambientale, l’inquinamento atmosferico sussiste quando nell’aria sono presenti sostanze tali da modificare la naturale composizione dell’atmosfera terrestre.

Con riguardo alla salute umana, il particolato, il biossido di azoto e l’ozono troposferico sono attualmente considerati i principali inquinanti atmosferici, in quanto sono tali da indebolire gravemente il sistema respiratorio dell’uomo.

La lotta contro l’inquinamento atmosferico si articola in diverse politiche dell’Unione Europea, la quale, attraverso la legislazione e la cooperazione con le competenti autorità internazionali, nazionali e regionali, cerca di introdurre misure volte a ridurre le emissioni.

Nello specifico, a partire dal 2015, a seguito dell’Accordo di Parigi, la politica europea ha compiuto numerosi passi avanti in materia di energia e clima, attraverso un impegno a stabilizzare le emissioni di gas e a effetto serra a livello mondiale, sino all’obiettivo zero emissioni.

È questo, del resto, l’obiettivo principale della Legge europea sul clima, che ha trasformato l’impegno politico del Green Deal europeo per la neutralità climatica UE entro il 2050 in un obbligo giuridicamente vincolante.

A livello nazionale, invece, la lotta all’inquinamento atmosferico si articola in provvedimenti nazionali, regionali, provinciali e locali, nonché in specifici accordi di programma.

Ambito internazionale. Rispetto alla problematica legata alla qualità dell’aria, a livello internazionale i primi passi sono stati mossi nell’ambito della Conferenza di Rio de Janeiro del 1992, dove 174 Paesi hanno sottoscritto, per l’occasione, la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico; con tale Convenzione, in particolare, è stata istituita la Conferenza delle Parti (COP), che ancora oggi ha il compito di riunirsi una volta all’anno per esaminare lo stato di attuazione degli accordi.

Ciononostante, il problema dell’inquinamento lo si è cominciato a considerare più dettagliatamente solo a partire dalla COP 3 di Kyoto, sede in cui soprattutto i Paesi industrializzati – riconosciuti come principali responsabili – si sono assunti l’impegno di ridurre le loro emissioni di gas ad effetto serra, nel periodo 2008-2012, di almeno il 5 % rispetto ai livelli del 1990 (l’Italia ha invece sottoscritto un obiettivo di riduzione emissiva pari al 6,5%).

Entrato ufficialmente in vigore nel 2005 con la ratifica da parte della Russia e conclusosi nel 2012, il Protocollo di Kyoto è stato comunque prorogato – grazie all’accordo siglato in occasione della COP 18 di Doha – fino al 2020.

Già nel 2015, tuttavia, si è giunti alla stipula di un accordo ben più ambizioso: nel corso della COP 21 di Parigi, 195 Paesi si sono di fatto impegnati a mantenere l’aumento della temperatura media mondiale al di sotto dei 2 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali, cercando per di più di limitarlo a 1,5° C.

Nel panorama CEDU, pur in assenza di una espressa tutela dell’ambiente sano come diritto fondamentale dell’Uomo, la Corte di Strasburgo è da tempo propensa a interpretare in via estensiva le disposizioni della Convenzione – segnatamente l’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e famigliare) per tutelare situazioni soggettive legate alla salubrità dell’ambiente.

Ambito eurounitario. L’Unione Europea si occupa da decenni di lotta all’inquinamento atmosferico, a partire dall’adesione alla Convenzione sull’inquinamento atmosferico transfrontaliero a grande distanza (CLRTAP) della Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UNECE), siglata a Ginevra nel 1979 ed entrata in vigore nel 1983; destinata a contrastarel’inquinamento atmosferico da sostanze nocive per gli Stati dell’Europa, dell’Asia centrale, gli Stati Uniti e il Canada, è stata poi concretizzata in otto specifici protocolli.

Contestualmente, le istituzioni comunitarie hanno cominciato a varare i primi provvedimenti in materia di emissioni e inquinanti atmosferici.

A livello normativo, infatti, l’Unione ha adottato – e continua regolarmente ad aggiornare – una disciplina volta, anzitutto, a limitare le emissioni di alcuni inquinanti da fonti puntuali (veicoli, motocicli, macchinari, impianti industriali); per i veicoli e i beni mobili, in particolare, sono stati fissati dei valori limite che non possono essere mai superati.

Per gli impianti industriali, invece, sono state adottate norme volte alla prevenzione e alla riduzione dell’inquinamento proveniente da attività industriali; per il momento, tuttavia, la direttiva 75/2010/UE non si spinge oltre la formula de la migliore tecnica disponibile che non comporti costi eccessivi”: in questo modo, si intende offrire alle autorità locali, regionali e nazionali sufficiente flessibilità rispetto al rilascio delle autorizzazioni, consentendo inoltre loro di fissare condizioni limite di emissione che tengano anche conto di considerazioni economiche, sociali e ambientali locali.

A complemento di questa legislazione sulle emissioni da fonti puntuali, l’UE ha poi iniziato a fissare, tra il 1980 e il 1985, valori di concentrazione – chiamati ancora una volta “valori limite” (generando così confusione terminologica) – per l’anidride solforosa, le polveri, gli ossidi di piombo e di azoto.

Una legislazione che tra il 1996 e il 2002 è stata più volte rivista, aggiungendo peraltro nuovi inquinanti come il particolato (PM10 e PM2,5).

Del resto, l’attenzione comunitaria è andata concentrandosi senza dubbio sulle polveri sottili, vista la progressiva diminuzione delle concentrazioni di anidride solforosa e piombo nell’aria (specialmente grazie all’introduzione della benzina senza piombo, alla desolforazione dei gas di scarico delle centrali elettriche e alla riduzione dello zolfo nel carbone e in altri combustibili).

Data però l’impossibilità di rispettare, soprattutto negli agglomerati urbani, i valori limite per il PM10 fissati dalla direttiva quadro 96/62/CE sull’inquinamento atmosferico e dalle tre direttive derivate, si è poi preferito adottare una nuova direttiva unitaria 2008/50/CE sulla qualità dell’aria, che tra l’altro introduce per la prima volta un valore limite anche per il PM2.5, in vigore dal 2015.

Segnatamente, questa disciplina istituisce misure volte a: definire e stabilire obiettivi di qualità dell’aria ambiente al fine di evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi per la salute umana e per l’ambiente nel suo complesso; valutare la qualità dell’aria ambiente negli Stati membri sulla base di metodi e criteri comuni; ottenere informazioni sulla qualità dell’aria ambiente per contribuire alla lotta contro l’inquinamento dell’aria e gli effetti nocivi e per monitorare le tendenze a lungo termine e i miglioramenti ottenuti con l’applicazione delle misure nazionali e comunitarie; garantire che le informazioni sulla qualità dell’aria ambiente siano messe a disposizione del pubblico; mantenere la qualità dell’aria ambiente, laddove sia buona, e migliorarla negli altri casi; promuovere una maggiore cooperazione tra gli Stati membri nella lotta contro l’inquinamento atmosferico.

Ad oggi, quindi, la direttiva 2008/50/CE costituisce ancora l’apparato legislativo UE di riferimento in materia di inquinamento atmosferico e qualità dell’aria, nonostante lo stesso art. 32 ne prevedesse la revisione entro il 2013.

Tra le disposizioni più rilevanti del provvedimento in parola vi sono, in ogni caso, l’articolo 4, in forza del quale gli Stati membri sono obbligati a dividere l’intero territorio in zone e agglomerati – allo scopo di organizzare la misurazione dell’inquinamento atmosferico in funzione della contaminazione dell’aria esistente in ogni zona o agglomerato – e l’articolo 13, che fissa le soglie di allarme nonché i valori limite da non superare (soprattutto per quanto riguarda il biossido di zolfo e il biossido di azoto).

In aggiunta, la direttiva impone agli Stati membri di valutare costantemente la qualità dell’aria in relazione ai diversi inquinanti sopra menzionati, istituendo, a tal fine, stazioni di misurazione fisse (salvo per quelle zone in cui il livello degli inquinanti è talmente basso che sono sufficienti tecniche di modellizzazione per valutare la qualità dell’aria).

Ciascuno Stato è quindi tenuto a comunicare senza indugio il piano di qualità dell’aria – che può essere elaborato a livello regionale o nazionale, a seconda del grado di diffusione locale dell’inquinamento – alla Commissione, pur assumendosi l’intera responsabilità circa l’implementazione delle misure incluse.

Sotto questo profilo, infatti, è lo stesso documento a fornire un lungo elenco di informazioni che devono essere contenute nel piano, indicando per di più i tipi di misure per la riduzione dell’inquinamento atmosferico che uno Stato membro potrebbe adottare.

Di converso, i commissari si limitano a formulare osservazioni o a suggerire l’adozione di determinate misure, ma la decisione circa il numero e l’ubicazione dei punti di campionamento resta in capo agli Stati nazionali, pur sempre nel rispetto di criteri della direttiva.

Dopotutto, ai sensi dell’articolo 193 TFUE, ogni Stato membro ha il diritto di mantenere o introdurre requisiti più severi per proteggere la salute umana o l’ambiente dall’inquinamento atmosferico.

Invero, le misure dell’UE costituiscono un livello minimo comune di protezione, che però non impediscono certo ai Paesi membri di combattere in modo ancor più efficace l’inquinamento atmosferico.

Venendo ai livelli di concentrazione di altre sostanze pericolose come biossido di zolfo, ossidi di azoto, composti organici volatili e ammoniaca, l’approvazione della direttiva 2001/81/CE ha conformato l’UE ai requisiti contemplati da uno degli otto protocolli alla Convenzione internazionale sull’inquinamento atmosferico transfrontaliero a grande distanza, il quale fissa limiti nazionali di emissione per l’Unione Europea nel suo complesso e per ciascuno dei suoi Stati membri.

Per il resto, la direttiva ha rimesso ai governi nazionali la scelta circa i mezzi per realizzare completamente le riduzioni delle emissioni, prevedendo soltanto l’obbligo di far pervenire ogni anno alla Commissione una comunicazione a riguardo.

Nel 2013, peraltro, la medesima Commissione ha osservato che nonostante un netto miglioramento, la qualità dell’aria in Europa non raggiungeva ancora gli obiettivi fissati; così, si è proceduto al varo della direttiva 2016/2284 che – nell’abrogare la precedente direttiva – ha esteso i limiti nazionali di emissione al 2020 e ne ha introdotti dei nuovi per il 2025, dando di fatto il via a quella nuova strategia in materia di qualità dell’aria che intende conseguire il pieno rispetto di tutta la normativa in vigore nonché ulteriori obiettivi a lungo termine per il 2030.

Orbene, proprio alla luce del Green Deal europeo, l’UE sta man mano procedendo a rivedere tutte le norme in materia di inquinamento ambientale, al fine di allinearle maggiormente alle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

A tal proposito, risale giusto allo scorso novembre la proposta della Commissione 572/2022 – in modifica della direttiva 50/2008 sulla qualità dell’aria – che prevede tutta una serie di nuove misure da adottare entro 2025, ma che entrerebbero comunque in vigore soltanto a partire dal 2030.

In questo momento, infatti, a destare preoccupazione sono anzitutto i livelli di polveri sottili, al punto che la Commissione si propone di ridurre il valore limite annuale per il particolato fine (PM2,5) di oltre la metà nel 2030, passando da 25 a 10 microgrammi per metro cubo.

Tutte volontà che non hanno però trovato, finora, il favore dell’Italia, e in particolare delle Regioni del Nord (Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna), che assieme a Confindustria, hanno osservato come tali misure «irragionevoli» e «assolutamente irraggiungibili» implicherebbero la chiusura del «75% per cento delle attività produttive» nella Pianura Padana, oltre a «impedire la circolazione dei tre quarti dei veicoli che oggi circolano nonché l’attività del «75% degli allevamenti e delle imprese agricole del territorio».

Al contrario, medici ed esperti di discipline che si occupano di ambiente e salute hanno accolto con favore le proposte della Commissione europea, tanto che hanno espressamente invitato le autorità di governo a evitare «ogni ulteriore flessibilità e deroga nell’attuazione di misure, anche radicali ove necessario, per la riduzione delle emissioni di inquinanti».

Da notare, ad ogni modo, che oltre alla revisione periodica degli standard di qualità dell’aria in base alle ultime evidenze scientifiche e cogli sviluppi tecnologici, la proposta dalla Commissione «garantirà che le persone che subiscono danni alla salute a causa dell’inquinamento atmosferico abbiano il diritto di essere risarcite in caso di violazione delle norme UE sulla qualità dell’aria».

Avranno inoltre il diritto di essere rappresentati da organizzazioni non governative nelle azioni collettive per il risarcimento dei danni. La proposta porterà anche maggiore chiarezza sull’accesso alla giustizia, sanzioni efficaci e una migliore informazione pubblica sulla qualità dell’aria» (COM 572/2022 def.).

Allo stesso tempo, peraltro, l’Unione Europea non mancherà di revisionare finanche la direttiva 2004/107/CE, concernente i livelli di concentrazione di arsenico, cadmio, mercurio, nickel e idrocarburi policiclici aromatici (agenti cancerogeni umani genotossici) nell’aria ambiente.

Più in generale, la strategia ambientale che prende il nome di Green Deal europeo prevede un approccio graduale verso la definizione degli attuali e futuri standard di qualità dell’aria dell’UE, stabilendo livelli intermedi per l’anno 2030 e sviluppando una prospettiva che favorisca la possibilità di un pieno allineamento con le linee guida dell’OMS sulla qualità dell’aria entro il 2050.

Nell’insieme, dunque, una riduzione dei livelli di emissioni comunque progressiva nel tempo, sebbene la realizzazione degli obiettivi a lungo termine debba pur sempre passare necessariamente dal raggiungimento di quelli intermedi: rispetto al 2005, questi prevedono la riduzione entro il 2030 di almeno il 55% degli impatti sulla salute dell’inquinamento atmosferico (quantificati in termini di riduzione dei decessi prematuri attribuibili all’esposizione) e del 25% di quelli sugli ecosistemi.

Obiettivi, insomma, che potranno essere perseguiti solo se si ridurranno ancora significativamente le emissioni di tutti i principali inquinanti.

La proposta di nuova direttiva, del resto, si inserisce a tutti gli effetti nel solco delle iniziative per contrastare in modo integrato l’inquinamento atmosferico e i cambiamenti climatici.

Da questo punto di vista sarà quindi fondamentale individuare strategie sinergiche nonché risorse su scala europea, nazionale, regionale e locale, accelerando al contempo l’implementazione delle politiche che influenzano settori chiave quali i trasporti, l’industria, l’energia e l’agricoltura.

Alcune di queste, d’altra parte, fanno già parte delle recenti iniziative intraprese nell’ambito del Green Deal europeo, come il citato Piano d’azione per l’inquinamento zero, la Legge europea sul clima, il pacchetto Fit for 55 con iniziative sull’efficienza energetica e le energie rinnovabili etc.

Ambito nazionale. Ai sensi dell’art. 2 Cost., la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Il principio in parola costituisce, quindi, il fondamento dei diritti umani, intesi anche nel loro carattere sociale.

È in questa prospettiva che l’art. 2 Cost. viene spesso invocato per rafforzare la tutela offerta da altri disposti costituzionali, come ad esempio quello di cui all’art. 32 Cost., che riconosce la salute come un diritto fondamentale dell’individuo, da garantire a tutti.

Letto in combinato disposto con l’art. 2 Cost., tale diritto acquisisce un carattere sociale, imponendo una tutela della salute dell’individuo, non più solo come singolo, ma anche come membro della comunità.

In altre parole, nel momento in cui, grazie all’art. 2 Cost., l’individuo viene riconosciuto anche come membro delle diverse formazioni sociali, è necessario tutelarlo anche come tale ovvero assicurargli una tutela della salute che si estenda anche all’ambiente in cui vive.

Un ambiente degradato può influire negativamente sullo stato di salute dell’individuo.

Ne consegue che il diritto alla salute deve essere interpretato in senso ampio, ricomprendendo in esso anche il diritto ad un ambiente salubre.

In detta prospettiva, la giurisprudenza ha parlato di un vero e proprio diritto ad un habitat naturale salubre, tutelato e garantito dalla Costituzione ai sensi del combinato disposto degli artt. 2 e 32 Cost: «L’ambiente è protetto come elemento determinativo della qualità della vita.

La sua protezione non persegue astratte finalità naturalistiche o estetizzanti, ma esprime l’esigenza di un “habitat” naturale nel quale l’uomo vive ed agisce e che è necessario alla collettività e, per essa, ai cittadini, secondo valori largamente sentiti; è imposta anzitutto da precetti costituzionali (artt. 9 e 32 Cost.), per cui esso assurge a valore primario ed assoluto» (Corte Cost., 30 dicembre 1987, n. 641).

Anche le Sezioni Unite civili, peraltro, hanno avuto più volte occasione di riconoscere la configurabilità del diritto alla salute e la sua tutelabilità innanzi al giudice ordinario con riferimento a fatti di temuto inquinamento ambientale (n. 3164 del 1975, n. 1463 del 1979 e n. 5172 del 1979).

Per quanto attiene invece alla qualità dell’aria, la norma di riferimento in tema di è il d.lgs. n. 155/2010 “Attuazione della direttiva 2008/50/UE relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa”, che istituisce un quadro normativo unitario in materia di valutazione e di gestione della qualità dell’aria ambiente, abrogando il corpus normativo previgente in materia.

Tale decreto regolamenta i livelli in aria ambiente di sostanze quali il biossido di zolfo, il biossido di azoto, gli ossidi di azoto, il monossido di carbonio e il particolato.

Gli inquinanti atmosferici, nello specifico, sono regolati attraverso diversi tipi di soglie che si differenziano per tipo di bersaglio da proteggere (salute umana, vegetazione, ecosistemi) e per orizzonte temporale di conseguimento (breve o lungo termine).

Il provvedimento individua nelle Regioni le autorità competenti per la valutazione della qualità dell’aria e per la redazione dei Piani di Risanamento della qualità dell’aria, che devono individuare le misure per il raggiungimento degli standard previsti dalla legge.

Ebbene, l’attività di valutazione della qualità dell’aria si fonda sul concetto di zonizzazione: basandosi sui superamenti delle soglie di valutazione stabilite dal decreto (in riferimento ad un periodo di monitoraggio di almeno tre anni sui cinque precedenti), il territorio viene suddiviso in zone e agglomerati, cui corrispondono differenti modalità di misurazione dei livelli degli inquinanti atmosferici: misurazioni in siti fissi, misurazioni indicative e tecniche di modellazione.

Lo stesso decreto, in più, definisce la rete minima di misura, la quale richiede un numero minimo di stazioni di monitoraggio a seconda del tipo di inquinante e del numero di abitanti nella zona o agglomerato.

Ai fini della validità di tale monitoraggio, il decreto riporta poi gli obiettivi di qualità dei dati per le misurazioni in siti fissi, le misurazioni indicative e le tecniche di modellizzazione.

Infine, vengono indicati i metodi di riferimento per il campionamento e l’analisi degli inquinanti.

Le Regioni Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte, ad esempio, hanno da anni posto in atto misure e Piani della qualità dell’aria nonché definito e coordinato un insieme di azioni comuni attraverso la sottoscrizione di numerosi Accordi, fondamentali per rafforzare la sinergia tra le Regioni appartenenti al Bacino Padano in tema di riduzione dell’inquinamento atmosferico.

Le azioni più significative riguardano, segnatamente, l’adozione di provvedimenti volti a limitare la circolazione veicolare e l’introduzione di divieti relativi ai generatori di calore alimentati a biomassa.

Sempre in queste zone, peraltro, la citata direttiva 50/2008/CE è spesso oggetto di procedure di infrazione – o comunque di messa in mora – per violazione sistematica e continuata del limite giornaliero di PM2.5 e PM10, circostanza che ha difatti condotto queste Regioni ad approvare ulteriori pacchetti di misure straordinarie in materia di inquinamento atmosferico.

Rispetto agli altri agenti inquinanti, la normativa di riferimento è invece il d.lgs. n. 81/2018, che recepisce la direttiva 2016/2284/UE.

Per la più generica prevenzione e limitazione delle emissioni in atmosfera, infine, si applicano le disposizioni di cui alla Parte V del d.lgs. n. 152/2006 e s.m.i. (Testo unico ambientale), valide per qualsiasi tipologia di impianto o attività che produca emissioni in atmosfera: in questa sede vengono infatti stabiliti i valori di emissione, i metodi di campionamento e analisi delle emissioni, come pure i criteri per la valutazione della conformità dei valori misurati ai limiti di legge.

 

 

 

 

 


Sitografia
Cosa dice la normativa – Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto (arpa.veneto.it)

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Ilaria Baisi

Laureata cum laude in Giurisprudenza (percorso transnazionale), è attualmente dottoranda di ricerca in Diritto Amministrativo e dell'Ambiente presso l'Università degli Studi di Firenze. È allieva del seminario di Studi e Ricerche Parlamentari "Silvano Tosi" e nel 2022 ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense.

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