Quali limiti all’autonomia contrattuale? Approdi definitivi della Suprema Corte
Sommario: 1. Premessa – 2. Il contenuto del “giudizio di meritevolezza”. Diversi approcci, diversi approdi – 3. La risposta del Giudice di legittimità al quesito della meritevolezza – 4. “Giudizio di conformità” e “giudizio di compatibilità” – 5. La “funzione economico-sociale” come controllo sulla “funzione economico-individuale”
1. Premessa
Quando l’operatore del diritto rivolge la sua indagine alla sentenza n. 22437/2018 delle Sezioni Unite[1], la sua attenzione viene immediatamente catalizzata dalla raggiunta tipicità del modello assicurativo on claims made basis[2], dalla sua evoluzione storica, dalla descrizione del suo atteggiarsi nella pratica negoziale, dalla disamina dei rimedi offerti dal nostro ordinamento ove la clausola “a richiesta fatta” travalichi i limiti posti all’autonomia negoziale. Tuttavia, se – strumentalizzando le parole delle Sezioni Unite – si volesse operare una «indagine a più ampio spettro» sulla portata della pronuncia, astraendola dallo schema contrattuale specifico che ha semplicemente offerto il destro alla Suprema Corte per esprimere il proprio orientamento, sarebbe chiaro che essa non è che un altro custode di principi generali oramai consolidati in seno alla giurisprudenza di legittimità. Allora, lungi dal costituire un novum nel panorama giurisprudenziale, la sentenza de qua abbraccia e trae origine da una distinzione, supinamente affermata a più riprese, tra i giudizi che informano l’art. 1322 cod. civ., norma che sancisce e limita, ad un tempo, quel concetto di “autonomia contrattuale” tanto caro ai paciscenti. In altri termini, se si riporta la sentenza sulla retta via di una funzione nomofilattica meno circostanziale, in materia di controlli offerti dalla disposizione menzionata, nulla cambia. Oggi come ieri, il sindacato dell’interprete sul contratto varia a seconda del contenuto che viene variamente affidato all’art. 1322 cod. civ., con l’unica differenza che oggi, rispetto a ieri, il principio di diritto più volte ribadito in punto di “causa concreta” deve far ragionare sul definitivo abbandono della nozione di causa come “funzione economico-sociale”. Non avrebbe alcun senso, diversamente, definire la causa come “sintesi degli interessi concreti perseguiti dalle parti” e, contestualmente, chiedere ai contraenti di funzionalizzarla ad uno scopo “sociale”.
2. Il contenuto del “giudizio di meritevolezza”. Diversi approcci, diversi approdi
Seguendo il disposto dell’art. 1322 cod. civ. l’autonomia contrattuale può spiegarsi lungo due linee direttrici: da un lato, ai sensi del primo comma, le parti hanno il potere di stipulare un contratto appartenente ad uno schema legale avente una disciplina particolare, cioè un “contratto tipico” al quale – tuttavia – possono apporre clausole anche derogatorie rispetto a quelle legali[3]; dall’altro, in forza del secondo comma, possono stipulare un contratto che non ha una disciplina legale particolare, cioè un “contratto atipico”, altrimenti detto “nuovo contratto”[4] o “contratto nuovo”[5]. Tuttavia, nel caso in cui le parti scelgano di avvalersi di schemi contrattuali atipici occorrerà che essi siano “meritevoli di tutela”.
Molto si è discusso sul cd. “giudizio di meritevolezza” previsto dalla disposizione de qua, taluni ritenendo che esso si risolva in un controllo sulla sussistenza di una causa e di una causa lecita, altri intendendolo come sindacato sulla utilità e “funzionalità” sociale degli interessi perseguiti, ancorché leciti.
Invero, a prescindere dalla possibilità di ricostruire o meno il giudizio di meritevolezza come sindacato sulla causa se, in subiecta materia, volesse ricercarsi un punto fermo e pressocché uniformemente condiviso, sarebbe il seguente: al di là dei limiti di volta in volta rintracciabili in singole disposizioni inderogabili, il controllo più penetrante dell’ordinamento sulle manifestazioni di autonomia contrattuale è, indubbiamente, affidato all’elemento causale. Infatti, l’ordinamento non consente accordi nei quali non sia rintracciabile, in concreto, una causa o accordi con causa illecita, al punto da negare, a tali manifestazioni di autonomia privata, ogni riconoscimento e rilevanza giuridica, sancendone ipso facto la nullità (art. 1418, comma 2, cod. civ., nonché artt. 1343 e 1344 cod. civ.). Dunque, sia che si intenda far corrispondere il giudizio di meritevolezza con l’indagine sulla causa del contratto, sia che si ritenga che la verifica degli interessi ex art. 1322, comma 2, cod. civ. sia ontologicamente distinta dal fenomeno causale, non può legittimamente revocarsi in dubbio che il controllo dell’ordinamento sul contratto – sia esso tipico o atipico – quale espressione di autonomia negoziale, debba necessariamente transitare attraverso l’indagine sulla “causa”, essendo ad essa strettamente connesso.
Pertanto, se il giudizio di meritevolezza viene ricostruito in stretta connessione con la definizione di causa[6], a seconda di come si intende quest’ultima, il controllo ex art. 1322, comma 2, cod. civ. si atteggia in maniera peculiare.
Per l’orientamento tradizionale, ancorato alla “teoria oggettiva della causa”[7], se la causa è la “funzione economico-sociale”[8] dei contratti tipici definita dal legislatore, il giudizio di meritevolezza corrisponde allora alla funzione economico-sociale dei contratti atipici valutata dal giudice. In quest’ottica, il giudizio de quo indirizza “in positivo” l’attività negoziale, anche e soprattutto atipica, verso fini generali eteronomi imposti dall’ordinamento.
Invero, la concezione della causa come “funzione economico-sociale”, non era affatto nuova alla dottrina giuridica[9] e, per di più, aveva trovato esplicita conferma proprio nella Relazione al codice civile del 1942. Proprio il Guardasigilli sottolineava che la causa avrebbe dovuto consentire di verificare se il risultato che i soggetti si propongono di perseguire sia ammesso dalla coscienza civile e politica, dall’economia nazionale, dal buon costume e dall’ordine pubblico. Ciò in quanto, si legge, l’ordine giuridico non appresta protezione al «mero capriccio individuale» ma a «funzioni utili» che abbiano una «rilevanza sociale» e, come tali, meritino di essere tutelate dal diritto. Seguendo tale orientamento, il secondo comma dell’art. 1322 cod. civ. obbligherebbe il giudice ad un controllo dell’interesse perseguito dai contraenti che sarebbe meritevole di tutela solo se “socialmente utile”. In tal modo, si dà vita ad una sorta di funzionalizzazione degli interessi privati che sarebbero protetti solo in quanto coincidenti con gli interessi dell’intera collettività e, dunque, con interessi pubblici.
Il più autorevole tra i fautori di tale concezione del giudizio di meritevolezza[10], condizionato da reminiscenze romanistiche, sosteneva che la libertà di dar vita a schemi atipici non va esaurita arbitrariamente, ma deve restare all’interno di determinate costruzioni tipiche dei traffici. L’ “interesse individuale sporadico” non può pertanto essere protetto perché solo le pretese sociali costanti che hanno già ricevuto una tipizzazione in chiave sociale meritano tutela giuridica, in quanto suscettibili di essere ordinate in modo regolare e fisso al fine di evitare uno stato di insicurezza giuridica, addirittura di anarchia, che non potrebbe non avere effetti negativi per il traffico negoziale. Una tale, quasi angosciosa, esigenza di ordine, ha costituito peraltro un facile veicolo per introdurre – surrettiziamente – fini eteronomi di cui il concetto di “utilità sociale” si è fatto portavoce. Non a caso, la relazione al Re individuava tra i criteri del giudizio di meritevolezza, oltre a quelli propri della liceità (conformità alle norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume), anche la «coscienza civile e politica», nonché «i principi ispiratori dell’economia nazionale», cioè del corporativismo, con una precisa e dichiarata intromissione delle finalità proprie del regime fascista nella sfera dell’autonomia contrattuale. È evidente allora che, così impostando i termini del problema, l’autonomia privata non sarebbe tutelata se non in quanto persegua finalità inquadrabili in quelle proprie dello Stato, non essendo più sufficiente il limite puramente negativo che la causa del negozio non sia illecita. In questa veste, l’interesse privato si dissolve in pubblico e il contraente diviene un funzionario dello Stato. Non a caso, del resto, la dottrina dell’epoca già sottolineava il tentativo in corso da parte del legislatore di penetrare all’interno dei diritti soggettivi in nome dell’interesse sociale, al punto che tali diritti, secondo taluni, ormai si atteggiavano – sul piano teorico-ricostruttivo – come semplici interessi legittimi, come potestà, come funzioni[11].
L’orientamento meno risalente, che inquadra la causa come “funzione economico-individuale” del contratto, si articola al suo interno in varie letture del giudizio di meritevolezza.
Tra di esse, secondo una prima tesi[12], il giudizio di meritevolezza coincide sostanzialmente con quello di liceità della causa, il quale postula, “in negativo”, che l’assetto degli interessi non sia contrario a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume (art. 1343 cod. civ.). Nell’ambito di questo orientamento, muovendo da una identificazione tra “meritevolezza” e “liceità”, si è arrivati a sostenere che lo stesso tentativo di assegnare un ruolo precettivo al giudizio di meritevolezza sia privo di riflessi pratici: i contratti definiti nulli per difetto di funzione o di utilità sociale sono, in realtà, contratti socialmente dannosi e, perciò, illeciti tout court. Seguendo tale dottrina, tuttavia, sembrerebbe realizzarsi una ambigua e sostanziale abrogazione tacita del secondo comma dell’art. 1322 cod. civ.
Secondo una diversa tesi[13], ad oggi prevalente in seno alla giurisprudenza di legittimità[14], il giudizio di meritevolezza si identifica come “giudizio di compatibilità” con i principi costituzionali. Così ritenendo, peraltro, anche i contratti tipici devono passare attraverso la lente del giudizio in parola. In quest’ottica, il problema della causa, che investe il fondamento dell’autonomia contrattuale nell’attuale ordinamento, non può prescindere dalla scelta del legislatore nel senso della meritevolezza: non qualsiasi interesse giustifica il contratto, l’interesse che il contratto è diretto a realizzare deve essere meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico. Dunque, la causa non può ritenersi meritevole di tutela ove l’interesse perseguito non risulti conforme alle esigenze della comunità rilevanti secondo i parametri costituzionali della solidarietà sociale, della dignità umana e della utilità sociale e secondo la concezione sociale e solidaristica dell’ordinamento[15]. È proprio a tale orientamento che si riconnette la pronuncia delle Sezioni Unite del 2018 in materia di claims made[16].
In aggiunta, in un recente arresto[17], la Suprema Corte ha pure ritenuto che il giudizio di meritevolezza consenta addirittura al giudice di valutare l’equilibrio economico-giuridico definito dalle parti e, nel caso sottoposto al suo esame, in particolare la distribuzione dei rischi nell’ambito dei contratti di intermediazione finanziaria. In specie, si è ritenuto che, qualora si accerti che l’alea giuridica non abbia valenza bilaterale ma unilaterale, perché fa ricadere la totalità dei rischi potenziali su una sola parte, il contratto è nullo per difetto di meritevolezza. Invero, considerazioni analoghe si rinvengono anche nella pronuncia del Supremo Consesso del 2018, in modo aderente allo specifico contratto assicurativo sottoposto alla sua attenzione[18]. Anche sul punto, dunque, nell’ottica dei principi generali in materia di elemento causale, non vi è stato un revirement giurisprudenziale.
Ancora, volendo ricordare uno tra gli approdi del Giudice di legittimità, antesignano rispetto all’orientamento più recente, la pronuncia n. 1898 del 19/2/2000[19] già rilevava che l’immeritevolezza non è né inidoneità del tipo, né illiceità della causa, ma consegue alla violazione dei principi costituzionali (di volta in volta, si richiamano gli artt. 2, 4, 38, 41, 47 Cost.), in punto di solidarietà e non prevaricazione tra i contraenti e, quindi, di non arbitrario e irragionevole squilibrio delle prestazioni.
V’è però divergenza sulla sanzione, perché si ricorre alla inefficacia assoluta da antigiuridicità, o alla nullità, anche della singola clausola, ma non da illiceità, perché la legge sarebbe formalmente rispettata[20].
Infine, deve darsi conto anche di una tesi proposta da autorevole dottrina[21] secondo cui il giudizio di meritevolezza attiene al tipo contrattuale. Secondo tale orientamento, il controllo sulla meritevolezza consta di una fase preliminare in cui occorre verificare la conformità dell’atto alle norme inderogabili di natura cd. procedimentale e formale che attengono al riconoscimento dello strumento pattizio come strumento giuridico. Successivamente, bisogna valutare la sussistenza di una intenzione dei contraenti di giuridicizzare il rapporto instaurato. Ciò implica che il giudizio di meritevolezza potrà condurre a negare rilevanza giuridica ad una operazione atipica che persegue interessi futili di scarso o di nessun rilievo economico, non perché si tratti di un’operazione asociale e, dunque, in quanto tale non in linea con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico, ma perché è di per sé sintomo e indizio di una assenza di reale, seria e definitiva volontà giuridica delle parti. La meritevolezza, dunque, viene disancorata dalla nozione di causa, non essendo ad essa funzionalizzata, perché operante sul “tipo”. In tesi, il controllo operato dall’interprete è, dunque, un controllo bifasico, tuttavia, l’art. 1322, comma 2, cod. civ., attenendo solo alla prima delle suddette fasi. Questa, in particolare, viene definita “giudizio di meritevolezza in astratto”, mentre la seconda come “giudizio di liceità in concreto”. Attraverso la prima fase deve solo valutarsi se lo schema astratto è accettabile o inaccettabile sul piano giuridico, ovviamente restando esenti da tale indagine i contratti tipici. Il giudice deve, dunque, osservare lo schema astratto ideato dai contraenti e verificare se esso abbia un significato economico-sociale, in termini di scambio di utilità, ossia una propria funzione da svolgere, nel senso di essere idoneo ad assurgere a tipo normativo ed in questo senso, e non già con riferimento alla causa, cioè al concreto interesse dei contraenti, potrà parlarsi di “utilità sociale”, perché lo schema astratto sarà utilmente adottato dalla collettività. La meritevolezza è, dunque, certa in presenza di tipicità sociale, sempre che non si tratti di vicenda di cui l’ordinamento giuridico si disinteressi. Lo schema potrebbe, però, essere contrario a principi inderogabili, cosicché tutti i contratti su di esso modellati sarebbero illeciti. Il giudice dovrebbe allora dichiarare meritevole di tutela lo schema astratto, ma illecito in senso concreto il singolo contratto su di esso modellato. Ma potrebbe anche pensarsi ad un giudizio di immeritevolezza, che in tal caso altro non sarebbe se non un giudizio di illiceità in astratto e non in concreto, con una sorta di unificazione delle due distinte fasi (giudizio di meritevolezza in astratto e successivo giudizio di liceità in concreto).
3. La risposta del Giudice di legittimità al quesito della meritevolezza
Come anticipato, in seno alla giurisprudenza di legittimità prevale l’orientamento che identifica il giudizio di meritevolezza con il “giudizio di compatibilità” degli interessi perseguiti dalle parti con i principi costituzionali e, in particolare, con il principio di solidarietà ex art. 2 e di utilità sociale ex art. 41 Cost. La Corte di Cassazione, inoltre, per lo più riconnette il controllo ex art. 1322, comma 2, cod. civ. alla “causa concreta”, talché se l’interesse perseguito non risulta conforme ai parametri costituzionali e preordinati dell’ordinamento giuridico, esso non può ritenersi meritevole di tutela e deve dichiararsi – nullo o inefficace – per difetto di causa.
A titolo esemplificativo, nella pronuncia n. 7557 del 2011[22] si legge che «la causa concreta costituisce […] uno degli elementi essenziali del negozio, alla cui stregua va valutata la conformità alla legge dell’attività negoziale effettivamente posta in essere, in riscontro della liceità (ai sensi dell’art. 1343 c.c.) e, per i contratti atipici, della meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti ai sensi dell’art. 1322 cpv. c.c.»[23].
In particolare, da ultimo la Sezione Terza[24], rimettendo due questioni[25] in materia di clausole claims made alle Sezioni Unite, ha sottolineato che «La meritevolezza di cui all’art. 1322 c.c. […] non si esaurisce nella liceità del contratto, del suo oggetto o della sua causa. Essa è, piuttosto, un giudizio che investe non il contratto in sé, ma il risultato con esso perseguito, e tale risultato dovrà dirsi immeritevole quando sia contrario alla coscienza civile, alla economia, al buon costume o all’ordine pubblico, ossia ai principi di solidarietà, parità e non prevaricazione che il nostro ordinamento pone a fondamento dei rapporti privati». Inoltre, in un’ottica di ricostruzione del controllo de quo, la Sezione rimettente rilevava che il “diritto vivente” aveva ravvisato l’immeritevolezza di contratti o patti con lo scopo di: attribuire ad una delle parti un vantaggio ingiusto e sproporzionato, senza contropartita per l’altra[26]; porre uno dei contraenti in una posizione di indeterminata soggezione rispetto all’altra[27]; costringere una delle parti a tenere condotte contrastanti coi superiori doveri di solidarietà costituzionalmente imposti[28].
La risposta agli specifici quesiti fornita dalle Sezioni Unite[29], si scriveva in premessa, può essere disancorata dallo specifico tema delle polizze on claims made basis da cui ha tratto origine, acquisendo valenza generale sia in tema di “causa”, che di “giudizio di meritevolezza”. Nella specie, anche nel 2018, il Supremo Consesso resta in linea con quella giurisprudenza di legittimità che – già a partire dagli anni Novanta – identificava il giudizio di meritevolezza nel giudizio di compatibilità operato al cospetto dell’ordinamento giuridico nel suo complesso. Si legge, infatti, che «lo scrutinio di meritevolezza di cui al capoverso del citato art. 1322 c.c. […] guarda – come questa Corte ha in più di un’occasione evidenziato (tra le altre, Cass., 1° aprile 2011, n. 7557; Cass., 10 novembre 2015, n. 22950; Cass., S.U., 17 febbraio 2017, n. 4224) – alla complessità dell’ordinamento giuridico, da assumersi attraverso lo spettro delle norme costituzionali, in sinergia con quelle sovranazionali (nel loro porsi come vincolo cogente: art. 117, primo comma, Cost.) e segnatamente delle Carte dei diritti, le quali norme non imprimono all’autonomia privata una specifica ed estraniante funzionalizzazione, bensì ne favoriscono l’esercizio, ma non già in conflitto con la dignità della persona e l’utilità sociale (art. 2 e 41 Cost.), operando, dunque, in una prospettiva promozionale e di tutela».
Tuttavia, ancora una volta è più che necessario ribadire che la Suprema Corte non è affatto nuova a tale approdo, tanto che, già a metà degli anni Novanta, nella sentenza n. 9975/1995[30] erano state ritenute immeritevoli di tutela, ai sensi dell’art. 1322, comma 2, cod. civ., le «obbligazioni indefinite nel tempo per le quali l’ordinamento mostra un così palese disfavore», con ciò dimostrando di ancorare il giudizio di meritevolezza dei contratti atipici alla complessità dell’ordinamento giuridico. Sul punto, ed in via di maggior dettaglio, con la sentenza n. 14343 del 2009[31], si rilevava che nell’indagine sulla meritevolezza, preliminarmente, dovesse tenersi conto della struttura gerarchica propria delle fonti del diritto, in cui una posizione preminente hanno quelle norme che attengono ai valori inviolabili della persona umana ed il cui dettato non si esaurisce in formule meramente programmatiche, ma è dotato d’un valore precettivo che le rende direttamente applicabili anche ai rapporti intersoggettivi[32]. Con la sentenza de qua, dunque, la Corte ancorava l’autonomia negoziale – esplicantesi negli interessi perseguiti dalle parti – ai valori della Carta costituzionale, sia in relazione al loro riconoscimento che alla loro tutela: «I fondamenti costituzionali dell’autonomia negoziale offrono all’interprete le indispensabili coordinate, alle quali attingere per esprimere sui singoli e concreti atti di autonomia quei giudizi di valore che l’ordinamento affida loro. Ci si riferisce ai controlli di “meritevolezza di tutela degli interessi” (art. 1322 c.c.) e di “liceità” (spec. art. 1343 c.c.) che devono essere condotti, per quanto qui interessa, alla stregua dell’art. 2 Cost. il quale tutela i diritti inviolabili dell’uomo e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà».
Nel 2018[33], inoltre, tenuta salda la precedente prospettiva di stretta connessione tra interessi meritevoli e ordinamento giuridico, sub specie fonti sovraordinate del diritto, nazionali e sovranazionali, le Sezioni Unite non solo hanno dimostrato di allinearsi con quell’orientamento che ritiene sussistente una certa correlazione tra causa e giudizio di meritevolezza ma, addirittura, nell’arresto in materia di clausole claims made, si sono spinte ad assegnare direttamente alla causa del contratto l’indagine ex art. 1322, comma 2, cod. civ. La Corte sancisce che si tratta di una «verifica che transita attraverso la portata che assume la cd. “causa concreta” del contratto, ossia quella che ne rappresenta lo scopo pratico, la sintesi, cioè, degli interessi che lo stesso negozio è concretamente diretto a realizzare, quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato […] per apprezzare se, effettivamente, ne sia realizzata la funzione pratica, quale assicurazione adeguata allo scopo […], là dove l’emersione di un disequilibrio palese di detto assetto si presta ad essere interpretato come sintomo di carenza della causa in concreto dell’operazione economica», della meritevolezza degli interessi contrattuali. Ma, soprattutto, essa non appare costituzionalmente orientata. La libertà di iniziativa economica, che si realizza attraverso l’autonomia privata è, infatti, costituzionalmente tutelata purché non si svolga in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana (art. 41, comma 2, Cost.). È espressa in tal modo, chiaramente, la distinzione tra l’esercizio dell’attività economica immeritevole di tutela e l’esercizio illecito perché vietato dall’ordinamento.
Alla norma del codice sull’autonomia privata occorre, allora, dare un’interpretazione orientata in conformità della norma costituzionale e ravvisare come immeritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico gli interessi perseguiti dalle parti che contrastano con l’utilità sociale. Il contrasto con gli interessi generali della comunità rende, per ciò stesso, il contratto privo di una causa meritevole di tutela e ne importa la nullità (o, secondo altra tesi, l’inefficacia), pur in assenza della violazione di norme imperative, dell’ordine pubblico e del buon costume.
Fatte queste premesse, dunque, è evidente come in materia di controlli sull’autonomia contrattuale derivanti dall’art. 1322 cod. civ. le Sezioni Unite del 2018 non abbiano apportato alcuna novità[34]. L’unico mutamento è rinvenibile nell’aver sancito la non necessità del giudizio di meritevolezza ex art. 1322, comma 2, cod. civ., posti i recenti interventi del legislatore, al contrario di quanto ritenuto dalle Sezioni Unite del 2016 sullo stesso tema.
Per fare un parallelo sul punto, le Sezioni Unite n. 9140 del 2016[35] avevano inquadrato il modello assicurativo on claims made basis come contratto derogatorio rispetto al modello di cui all’art. 1917 cod. civ., tuttavia atipico e, dunque, involgente il giudizio di meritevolezza ex art. 1322, comma 2, cod. civ. Parimenti, anche le Sezioni Unite del 2018 hanno riportato il modello contrattuale de quo all’assicurazione della responsabilità civile e come deroga pattizia all’art. 1917, comma 1, cod. civ., purtuttavia, non ritenendo più il modello atipico all’esito delle scelte legislative degli ultimi anni che, in vari ambiti dell’assicurazione obbligatoria per responsabilità civile professionale, ha espressamente previsto dei modelli assicurativi claims made. Entrambe le pronunce, dunque, pongono in rilievo che il contratto contenente clausole di tal fatta si colloca entro l’ambito di derogabilità del sotto-tipo delineato dal primo comma dell’art. 1917 cod. civ., concesso dall’art. 1932 cod. civ., con l’unica differenza che se nel 2016 l’interprete doveva sindacare lo schema contrattuale concreto on claims made basis attraverso la lente del secondo comma dell’art. 1322 cod. civ., nel 2018 il controllo sull’atto di autonomia negoziale si arresta al solo giudizio di cui al primo comma, dovendosi ritenere superato positivamente il vaglio di meritevolezza del modello negoziale, come esito della stessa scelta del legislatore di tipizzarlo.
Nondimeno, in punto di definizione e contenuto dei due giudizi che informano l’art. 1322 cod. civ., le Sezioni Unite del 2018 si riportano agli stessi principi di diritto oramai da lungo tempo consolidati ed unanimemente riproposti dal Giudice di legittimità nei propri precedenti.
4. “Giudizio di conformità” e “giudizio di compatibilità”
All’esito di tale ricostruzione, dunque, è possibile – sulla scorta degli insegnamenti della Suprema Corte – ricavare la necessaria distinzione tra i due “test” di cui all’art. 1322 cod. civ. Ciò in virtù del fatto che, seppure i due giudizi condividano la stessa «tensione ispiratrice» il contenuto del giudizio di cui al primo comma della disposizione codicistica è decisamente più ampio del giudizio di meritevolezza che, ad oggi, la giurisprudenza di legittimità riconnette alla sola causa concreta.
Ai sensi del primo comma dell’art. 1322 cod. civ., «Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge». Dal canto del dettato normativo, è evidente che si tratti di un “giudizio negativo” in quanto i paciscenti possono sì definire liberamente il regolamento contrattuale, purché siano rispettati i “limiti negativi” imposti dalla legge. Pertanto, nel caso in cui le parti decidano di stipulare un contratto – sia esso tipico o atipico – il test da svolgere ex art. 1322, comma 1, cod. civ. è un “giudizio di conformità” del contenuto contrattuale alle norme imperative.
Ai sensi del secondo comma, invece, «Le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico». È questo il cosiddetto “giudizio di meritevolezza”, pensato come “giudizio positivo”, non di “conformità” ma di “compatibilità”, in quanto postula che gli interessi perseguiti dai contraenti siano compatibili con quelli che l’ordinamento giuridico ritiene meritevoli di tutela. Difatti, le norme di diritto regolano unicamente gli interessi giuridicamente rilevanti in relazione a determinati beni della vita. Solo ove lo scopo concreto delle parti sia compatibile con tali interessi, il contratto atipico risponderà positivamente all’esito del giudizio di meritevolezza.
Ciò implica che, dinanzi ad un contratto tipico l’interprete svolgerà esclusivamente il giudizio di conformità ex comma 1, e non anche il giudizio di compatibilità o ex comma 2, laddove infatti per le convenzioni tipiche la meritevolezza è in nuce, sì come manifestata dalla stessa opzione legislativa di disciplina. Per converso, dinanzi ad un contratto atipico l’interprete non potrà limitarsi al giudizio ex comma 1, ma dovrà – secondo espressa previsione di legge – svolgere anche il giudizio di meritevolezza.
I due test vanno tenuti chiaramente distinti, da un lato il “giudizio di conformità” e dall’altro il “giudizio di meritevolezza” perché, se entrambi in certa misura involgono l’indagine sulla causa concreta del contratto («condividono la medesima tensione ispiratrice», sancisce emblematicamente il Supremo Consesso), il giudizio di cui al primo comma non esaurisce in ciò il suo contenuto.
Entrambi, invero, guardano alla «complessità dell’ordinamento giuridico, da assumersi attraverso lo spettro delle norme costituzionali, in sinergia con quelle sovranazionali». Questo è il sindacato dell’interprete sulla causa concreta del contratto che, per giurisprudenza oramai consolidata, rappresenta la ragione pratica dell’affare, la sintesi degli interessi concreti perseguiti dalle parti che, ai sensi del secondo comma dell’art. 1322 cod. civ. deve concretizzarsi “in senso positivo” in interessi meritevoli mentre, ai sensi del primo comma, non può “in senso negativo” travalicare i limiti imposti dalla legge. Come si vede, in certa misura, i due giudizi corrispondono, ma il test ex art. 1322, comma 1, cod. civ. ha un contenuto più ampio rispetto alla sola indagine sulla causa concreta del contratto.
In altri termini: il giudizio di meritevolezza postula un’indagine sulla rispondenza degli interessi perseguiti dalle parti alla complessità dell’ordinamento giuridico, dunque, ove lo scopo pratico perseguito dai paciscenti, ossia la causa concreta dello specifico contratto atipico, sia incompatibile con tali parametri, il contratto è nullo per immeritevolezza. Per converso, il giudizio di cui al primo comma involge sì l’indagine sulla causa, ma prescrive anche che siano rispettate tutte le altre norme cd. “imperative”, id est: quelle norme non derogabili per via pattizia inter partes o, per usare le parole del legislatore del ’42, tutti gli altri «limiti imposti dalla legge».
D’altronde, se il legislatore avesse voluto far coincidere il giudizio di cui all’art. 1322, comma 1, cod. civ. con la sola indagine sulla sussistenza di una causa e di una causa lecita sarebbe stata sufficiente la previsione di cui all’art. 1418, comma 2, cod. civ.
5. La “funzione economico-sociale” come controllo sulla “funzione economico-individuale”
Ulteriore conseguenza del portato della pronuncia e del suo ancoraggio alla precedente giurisprudenza di legittimità, è il necessario superamento della concezione della causa come “funzione economico-sociale”. L’espressione, infatti, se ancora si attaglia al sindacato sulla causa che l’interprete deve svolgere dinanzi ad un contratto – sia esso tipico o atipico – non può più definire anche la nozione di “causa” tout court.
Non può più revocarsi in dubbio che la causa del contratto sia oramai identificata con la nozione di “causa concreta”, di ragione pratica dell’affare, di sintesi degli interessi concreti perseguiti dalle parti. Dinanzi a tale definizione, pertanto, occorre chiedersi se mai i paciscenti, nel perseguimento dei propri scopi, possano avere come obiettivo la funzionalizzazione di tali interessi all’utilità sociale. Oppure se, più correttamente, dovrebbe dirsi che lo scopo da essi perseguito non potrà mai identificarsi direttamente con un interesse sociale (quanto meno in via di approssimazione), mentre sarà il sindacato dell’interprete a dover valutare se lo scopo concretamente voluto sia compatibile con una qualche utilità sociale.
In altri termini: non è la causa concreta ad essere definibile come la “funzione economico-sociale” del contratto, ma è l’indagine dell’interprete a potersi configurare come controllo di rispondenza dell’interesse concretamente perseguito dalle parti all’utilità sociale. E allora, ex art. 1322, comma 2, cod. civ. l’indagine sulla causa consisterà in un sindacato di compatibilità della “funzione economico-individuale” perseguita dalle parti alla “funzione economico-sociale” ricavabile dalla complessità dell’ordinamento giuridico.
In conclusione, i contenuti della pronuncia n. 22437/18 vanno al di là della fattispecie concreta al vaglio delle Sezioni Unite, e ci permettono di ritenere la sentenza una mera conferma delle definizioni di “causa”, di “giudizio di meritevolezza”, di controlli sull’autonomia negoziale derivanti dai due test ex art. 1322, comma 1, cod. civ., nonché – allargando ulteriormente l’indagine – del ruolo della buona fede come corollario del principio di solidarietà ex art. 2 Cost. Dunque, il Supremo Consesso nel 2018 non fa altro che operare una disamina dei limiti dell’autonomia contrattuale articolandola a seconda della fase del rapporto e della natura delle norme che vengono in rilievo.
Ma si tratta di una storia già letta.
[1] Cass., Sez. U – , Sentenza n. 22437 del 24/9/2018 (Rv. 650461 – 01).
[2] Per un approfondimento sulle varie tipologie di claims, sia negli Stati di common law che di civil law, cfr. F. Ceserani, Origine e sviluppi della clausola claims made nei mercati internazionali, in Dir. econ. assic., 2007, 799 e ss.
[3] R. Sacco, Commento all’art. 1322, in P. Cendon (a cura di), Commentario al Codice Civile, Giuffrè, 2009, 99.
[4] G. De Nova, I nuovi contratti, Utet, 1994.
[5] A. Torrente – P. Schlesinger, in F. Anelli – C. Granelli (a cura di), Manuale di diritto privato, Giuffrè, 2013, 487.
[6] Per una completa ricostruzione storica degli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sulla nozione di “causa”, v. F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Edizioni Scientifiche Italiane, 2019, 813 e ss.
[7] P. Bonfante, Il contratto e la causa del contratto, in Rivista di diritto commerciale, 1908, II, 115 e ss.
[8] G. De Gennaro, I contratti misti, Cedam, 1934, 19 e ss.
[9] V. E. Betti, voce Causa del negozio giuridico, in Novissimo Digesto Italiano, III, Utet, 1957, 32 e ss.
[10] Ibidem.
[11] Cfr. F. Gazzoni, op. cit., 822.
[12] Cfr. V. Roppo, Il contratto, in G. Iudica – P. Zatti (a cura di), Trattato di diritto privato, Giuffrè, 2001, 424; G. Stolfi, Teoria del negozio giuridico, Cedam, 1961, 29.
[13] C.M. Bianca, Causa concreta del contratto e diritto effettivo, in Riv. dir. civ., 2014, 2, 251.
[14] La tesi de qua, invero, è il frutto dell’abbandono della “teoria della causa oggettiva” che identificava la causa del contratto tout court con lo schema legale tipico disciplinato dal legislatore e che, per lungo tempo, aveva dominato il panorama dottrinale e giurisprudenziale. Peraltro, malgrado le critiche che le sono state mosse, la “teoria della causa oggettiva” aveva – indubbiamente – segnato una svolta epocale, dovendo ad essa riconoscersi il merito di aver disancorato la causa del contratto dall’obbligazione, tanto che la giurisprudenza se ne allontanava in via definitiva, non senza fatica, solo con la celebre pronuncia della Corte di Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 10490 dell’8/5/2006 (Rv. 592154 – 01). Successivamente, in senso conforme, ex plurimis v. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 23941 del 12/11/2009 (Rv. 610016 – 01); Sez. 1 – , Sentenza n. 12069 del 16/5/2017 (Rv. 644443 – 01);
[15] C. M. Bianca, Diritto civile. Vol. III: Il contratto, Giuffrè, 2000, 459 e ss.
[16] Cass., Sez. U. – , Sentenza n. 22437 del 24/9/2018, cit.
[17] Cass., Sez. 1 – , Sentenza n. 19013 del 31/7/2017 (Rv. 645173 – 01).
[18] V. punti 19.5 e 19.6, Cass., Sez. U. – , Sentenza n. 22437 del 24/9/2018, cit.
[19] In tal senso, Cass., Sez. 1, Sentenza n. 1898 del 19/2/2000 (Rv. 534659 – 01) che, cassando con rinvio, rilevava: «Deve, quindi la Corte di merito accertare se nel caso in esame il rapporto tra la Banca ed il Salumificio risulti posto in essere in modo contrario a quanto giuridicamente (violazione di norme imperative o clausole generali) o eticamente (il c.d. buon costume) previsto o se, indipendentemente da ciò, gli interessi perseguiti non siano giuridicamente tutelabili sia in relazione allo specifico intento fraudolento di cui all’art. 1345 c.c., sia, per quanto generalmente sancito dall’art. 1322, secondo comma, c.c., con riferimento alla loro “non meritevolezza”».
[20] Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19559 del 30/9/2015 (Rv. 637208 – 01): «Infatti, la valutazione di non meritevolezza dell’interesse perseguito dalle parti con un contratto atipico non comporta la nullità del contratto, ma semplicemente — come fatto palese dalla struttura stessa e dal tenore letterale della disposizione — l’esclusione del ricollegamento di ogni concreto effetto giuridico alla specifica autoregolamentazione negoziale intercorsa tra le parti, alla quale l’ordinamento resta appunto indifferente. Se tanto è vero, va esclusa, al di fuori delle argomentazioni e delle doglianze specificamente mosse dalle parti, una rilevabilità ufficiosa della sua carenza […] non integra, ai fini del secondo comma dell’art. 1322 cod. civ., un interesse meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, per contrasto con i principi generali ricavabili dagli artt. 47 e 38 della Costituzione circa la tutela del risparmio e l’incoraggiamento delle forme di previdenza anche privata, quello perseguito mediante un contratto atipico fondato sullo sfruttamento delle preoccupazioni previdenziali del cliente da parte degli operatori professionali mediante operazioni negoziali complesse di rischio e di unilaterale riattribuzione del proprio rischio d’impresa, in ordine alla gestione di fondi comuni comprendenti anche titoli di dubbia o problematica redditività nel proprio portafoglio, in capo a colui a cui il prodotto è stato espressamente presentato come rispondente alle sue esigenze di previdenza complementare, quale piano pensionistico a profilo di rischio molto basso e con possibilità di disinvestimento senza oneri in qualunque momento; pertanto, non è efficace per l’ordinamento il contratto atipico il quale, in dette circostanze, consista, tra l’altro, nella concessione di un mutuo, di durata ragguardevole, all’investitore destinato all’acquisto di prodotti finanziari della finanziatrice ed in un contestuale mandato alla banca ad acquistare detti prodotti anche in situazione di potenziale conflitto di interessi».
[21] F. Gazzoni, op. cit., 822 e ss.
[22] Cass., Sez. 3, Sentenza n. 7557 dell’1/4/2011 (Rv. 617752 – 01).
[23] Invero, già si esprimeva in tal senso Cass., Sez. 1, Sentenza n. 1898 del 19/2/2000, cit. In senso conforme, successivamente, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 65 del 10/1/2012 (Rv. 621372 – 01). Ribadito anche dalle Sezioni Unite in Cass., Sez. U. – , Sentenza n. 4222 del 17/2/2017 (Rv. 642541 – 01).
[24] Cass., Sez. 3, Ordinanza interlocutoria n. 1465 del 19/1/2018.
[25] Con l’ordinanza in commento, la Terza Sezione ha rimesso nuovamente alle Sezioni Unite una questione relativa alle note clausole “claims made” inerente a due aspetti estremamente rilevanti nel complessivo assetto del contratto di assicurazione: da un lato, l’ammissibilità di una definizione pattizia di “sinistro” e, dall’altro, la meritevolezza della clausola che esclude la risarcibilità delle richieste postume.
[26] Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19559 del 30/9/2015 (Rv. 637208 – 01).
[27] Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9975 del 20/9/1995 (Rv. 494090 – 01); Sez. 1, Sentenza n. 1898 del 19/2/2000, cit.; Sez. 5, Sentenza n. 12454 del 27/5/2009; Sez. 3, Sentenza n. 3080 dell’8/2/2013 (Rv. 625012 – 01); Sez. U. – , Sentenza n. 4222 del 17/2/2017, cit.
[28] Cass., Sez. 3, Sentenza n. 14343 del 19/6/2009 (Rv. 608475 – 01).
[29] Cass., Sez. U. – , Sentenza n. 22437 del 24/9/2018, cit.
[30] Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9975 del 20/9/1995, cit.
[31] Cass., Sez. 3, Sentenza n. 14343 del 19/6/2009, cit.
[32] In tal senso, si v. anche Cass., Sez. 3, Sentenza n. 15022 del 15/7/2005 (Rv. 584723 – 01); Sez. 3, Sentenze nn. 8828 e 8827 del 31/5/2003.
[33] Il riferimento va, ancora, a Cass., Sez. U. – , Sentenza n. 22437 del 24/9/2018, cit.
[34] Si rileva, ciò anche in punto di limiti sull’autonomia negoziale per il tramite del canone della buona fede.
[35] Cass., Sez. U., Sentenza n. 9140 del 6/5/2016 (Rv. 639703 – 01)
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Emanuela Zito
Dott.ssa Emanuela Zito
Ha conseguito la laurea magistrale in giurisprudenza nell'anno accademico 2017/2018 presso l'Università LUISS Guido Carli, con voto di laurea 110 e lode. Ha collaborato come volontaria con Libera Contro le Mafie presso la Cooperativa sociale "Terre Joniche".
Attualmente, sta svolgendo il tirocinio formativo ex art. 73 d.l. 69/2013 presso la Corte Suprema di Cassazione.