Quando l’apparenza inganna, il diritto rimedia: la figura del falsus procurator

Quando l’apparenza inganna, il diritto rimedia: la figura del falsus procurator

Molto spesso, al fine di regolare l’assetto dei propri interessi, i consociati fanno ricorso agli strumenti giuridici che l’ordinamento predispone: tra questi, oltre alle obbligazioni, vi sono i contratti, i quali, talvolta, possono essere stipulati attraverso la figura del rappresentante.

L’istituto della rappresentanza trae origine dall’esigenza di far fronte alla crescente complessità delle realtà commerciali, come avviene, ad esempio, per un imprenditore, che, non riuscendo a gestire una molteplicità di affari, si fa rappresentare da altri soggetti.

Da ciò si comprende, dunque, che il fulcro del fenomeno rappresentativo sia quello della dualità, nel senso che, per la sua configurazione, è necessaria la presenza di due soggetti, il rappresentato e il rappresentante.

Quest’ultimo può agire per conto del primo in via diretta, o, anche indiretta, dando vita, per l’appunto, alla rappresentanza diretta e a quella indiretta: nel primo caso, a differenza del secondo, il rappresentante, non solo agisce nell’interesse del rappresentato, ma anche in suo nome, servendosi dello strumento della procura, ossia quel negozio unilaterale con cui un soggetto conferisce ad un altro il potere di spendere il suo nome.

La differenziazione tra queste due species, peraltro, diviene dirimente in punto di diritto per le seguenti ragioni: nella rappresentanza diretta, invero, gli effetti del negozio concluso con i terzi si producono direttamente nella sfera giuridica di chi si fa rappresentare; nella rappresentanza indiretta, si assiste ad una scissione tra parte formale e parte sostanziale, dal momento che gli effetti del negozio si imputeranno al rappresentante, che, successivamente, dovrà trasferire i diritti acquisiti al rappresentato.

Sulla scorta di quanto appena asserito, si può notare che, quello rappresentativo, è un fenomeno di grande complessità, in quanto, nel momento in cui gli si dà luogo, non ci si può limitare ad indagare sui rapporti che intercorrono tra rappresentante e rappresentato, ma bisogna anche verificare che cosa accada nei rapporti tra rappresentante e terzo, potendo venire in rilievo la cosiddetta rappresentanza apparente.

Difatti, non pochi problemi interpretativi sono sorti in relazione alla tutela dei terzi, laddove il rappresentante appaia solo all’esterno come tale, ma, in realtà, non è investito da da nessuna funzione da parte del rappresentato.

A tal fine, in vista dell’assenza di un referente normativo in materia, la dottrina e la giurisprudenza hanno elaborato tre principali requisiti per il verificarsi della rappresentanza apparente: in primis, vi deve essere la ricorrenza di circostanze obiettive che giustificano l’erroneo convincimento di chi invoca l’accertamento della situazione apparente, ossia il terzo; in secundis, l’erronea opinione di quest’ultimo di trovarsi dinanzi ad un fenomeno rappresentativo, la quale, tuttavia, non deve essere causata da una mancato atteggiamento diligente; in ultimo, una situazione di colpa in cui versa lo pseudo rappresentato, tesa a corroborare l’erroneo convincimento del terzo.

Un’applicazione pratica di tale fenomeno è la rappresentanza senza poteri esercitata dal falsus procurator, il quale spende il nome di altri senza averne la legittimazione.

Nello specifico, si distingue tra difetto di rappresentanza ed eccesso di rappresentanza: il primo si verifica quando il soggetto non abbia, e non abbia mai avuto, la legittimazione rappresentativa, in quanto mai conferita, conferita in modo invalido, o, conferita quando non consentito; il secondo si realizza quando il soggetto, in passato, abbia avuto, ma non abbia più, al momento del compimento dell’atto, tale legittimazione, poiché la procura è stata revocata o modificata, o, ancora, quando il soggetto sia, attualmente, fornito di legittimazione rappresentativa, ma quest’ultima non copra l’atto rappresentativo posto in essere.

Entrambe queste figure giuridiche determinano la non operatività, nel patrimonio del dominus, dell’atto compiuto dal falsus procurator, al quale il terzo contraente che abbia, senza sua colpa, confidato nella validità del contratto può richiedere il risarcimento del danno.

Inoltre, in entrambi i casi, unificati nella disciplina dell’art. 1398 c.c. si registra, come visto, un deficit di legittimazione rappresentativa, che pone tre ordini di questioni: la prima è data dalla sorte del contratto concluso dal falsus procurator; la seconda consiste nello scandagliare quale sia la funzione della ratifica dello stesso; la terza investe il tipo di responsabilità in cui incorre chi ha rappresentato senza averne i poteri.

In ordine alla prima questione, nel silenzio della legge, si sono annoverate due principali tesi: la prima, nettamente minoritaria, si mostra a favore della invalidità del contratto, sub specie di nullità o di annullabilità; la seconda, prevalente in giurisprudenza, opta per l’inefficacia dello stesso, dal momento che, mancando o difettando la procura, lo ritiene privo di effetti nei confronti, non solo del rappresentato, ma anche del rappresentante, avendo quest’ultimo compiuto il negozio del dominus.

A ciò deve aggiungersi che, pur essendo improduttivo di effetti reali ed obbligatori, il contratto, comunque, produce un vincolo nei confronti del terzo contraente, derivandone che, in assenza di pronuncia del dominus sulla ratifica, il medesimo non possa recedere dal contratto senza un accordo con il falsus procurator.

Tuttavia, la situazione di incertezza per il terzo contraente può da questi essere rimossa attraverso la fissazione di un termine per il rappresentante, trascorso il quale, la ratifica si intende negata.

Posto che il negozio concluso dal falsus procurator con il terzo rappresenta una fattispecie perfetta, ma inefficace, la ratifica deve considerarsi, quindi, una “procura successiva.”

Per questo, così come per la procura, anche la ratifica deve rivestire la forma dell’atto ratificato, sia ad substantiam che ad probationem, tanto che la Cassazione ha chiarito che la ratifica di un contratto soggetto alla forma scritta stipulato dal falsus procurator non richiede che il dominus manifesti per iscritto espressamente la volontà di far proprio quel contratto, ma può essere anche implicita, a patto che risulti da un atto redatto per fini consequenziali alla stipulazione del negozio e che manifesti in modo non equivoco la volontà del dominus incompatibile con quella di rifiutare l’operato del rappresentante senza potere.

La ratifica, tra le altre cose, è ammissibile senza limiti di tempo, almeno fino a quando il falso rappresentante e il terzo non sciolgano, di comune accordo, il negozio rappresentativo o non sia scaduto il termine fissato dal terzo al preteso rappresentato per la ratifica.

Quanto all’efficacia dell’istituto in disamina, essa si ritiene sussistente quando lo pseudo rappresentato sia a conoscenza dell’atto compiuto dal falsus procurator, non dimenticando, però, che la categoria giuridica de qua non debba necessariamente contenere la menzione del negozio da ratificare, del motivo della ratifica, o, ancora, la dichiarazione espressa della volontà di ratificarlo, non essendo applicabile in materia l’art. 1444 c.c., in tema di convalida del negozio annullabile.

Infine, deve dirsi che l’istituto in parola ha efficacia retroattiva, cosicchè, nei rapporti tra dominus e terzo contraente, la rappresentanza deve intendersi conclusa ab inizio negli stessi termini dal primo accettati con la ratifica, ricordando, in ogni caso, che la retroattività appena citata non pregiudica la posizione dei terzi, aventi causa del dominus ratificante, che abbiano acquisito diritti incompatibili con l’atto compiuto dal falsus procurator.

Volendo, poi, affrontare l’ultima questione problematica, appare opportuno evidenziare che colui che ha contrattato come rappresentante, senza averne i poteri o eccedendo i limiti delle facoltà conferitegli, è responsabile del danno cagionato al terzo contraente per aver confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto.

Tale responsabilità si poggia su quattro presupposti: il primo è rappresentato dal fatto che quest’ultimo, spendendo il nome del rappresentato, abbia concluso con il terzo un contratto idoneo a produrre effetti, a seguito di ratifica; il secondo consiste nel fatto che il terzo non sia stato in colpa nel confidare nell’efficacia del contratto e, vien da sé che, diversamente, per il principio della compensazione di colpa, il terzo non può pretendere di essere risarcito del danno che ha causato per la propria negligenza, gravando l’onere della prova della colpa dello stesso sul falsus procurator; il terzo presupposto è da rintracciare nel dolo o nella colpa del falso rappresentante, essendo necessario che egli sia stato consapevole, al momento del compimento del negozio, di non essere titolare del relativo potere.

Al riguardo, la giurisprudenza si è espressa in senso contrario, ritenendo irrilevante accertare il dolo o la colpa del falsus procurator nel riconoscerne la responsabilità verso il terzo incolpevole, poiché solo di quest’ultimo ha rilievo la posizione soggettiva.

L’ultimo presupposto, poi, trova la sua ragion d’essere nella mancata ratifica dell’atto da parte del dominus.

Chiarite in questi termini le condizioni su cui si basa la responsabilità del falsus procurator, si può affermare con certezza che essa sia di tipo precontrattuale, sia per quanto statuito in ambito giurisprudenziale, sia per quanto stabilito in terreno normativo: invero, la giurisprudenza, dal suo canto, ha asserito che il fatto illecito che dà luogo alla responsabilità de qua consiste nella lesione della libertà contrattuale del terzo; la soluzione appena sottolineata è valorizzata dal dettato normativo che limita l’ambito dell’obbligazione risarcitoria del falso rappresentante all’interesse del terzo a non essere coinvolto in contrattazioni invalide o inefficaci.

Alla luce di quanto appena esaminato, è possibile tracciare, in conclusione, anche una distinzione tra le ipotesi di apparenza codificate e il caso del falsus procurator: le prime, quali l’erede apparente e il creditore apparente, rientrano nell’alveo dell’apparenza obiettiva; il secondo costituisce una non tipizzata applicazione del principio dell’apparenza colposa.

Tale differente approccio disciplinatorio è dato, secondo la dottrina, dall’oggetto dell’apparenza: nell’ipotesi del falsus procurator, esso trova fondamento nel rapporto tra chi rappresenta senza poteri e l’apparente rappresentato; nell’ipotesi, invece, dell’acquisto dell’erede apparente, o, nel caso del pagamento al creditore apparente, l’oggetto dell’apparenza è una situazione solitaria, che, riguarda, nel primo caso, tutt’al più, il rapporto con il de cuius e con gli atti mediante i quali quest’ultimo ha deciso, eventualmente, di disporre del proprio patrimonio dopo la sua morte, ma non certamente il rapporto con l’erede effettivo.


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