Quando le parole hanno un “peso”. Dalla parte delle donne (e della Costituzione)

Quando le parole hanno un “peso”. Dalla parte delle donne (e della Costituzione)

Le frequenti esternazioni di esponenti politici in ordine al ruolo assunto dalla donna-madre nella società odierna meritano di essere analizzate e giudicate.

A livello costituzionale, le previsioni dedicate ai diritti della figura femminile sono sette: l’art. 3, comma 1, l’art. 29, comma 2, l’art. 31, comma 2, l’art. 37, comma 1, l’art. 48, comma 1, l’art. 51, comma 1, e l’art. 117, comma 7; a tali norme, potrebbe essere accostato l’art. 30, comma 1, che in relazione al diritto-dovere di mantenere, educare ed istruire i figli manifesta un’analoga considerazione della veste della madre e di quella del padre.

Alla luce di tale quadro, non potrebbero mai sorgere dubbi circa il notevole interesse riservato dalla Costituzione alla donna.

Occorre invece chiedersi se a tale rilevanza quantitativa corrisponda un’identica attenzione sotto il profilo qualitativo.

La risposta è incerta, specialmente in rapporto al contesto storico attuale, dal quale emerge uno scenario totalmente diverso da quello delineato nella Carta costituzionale.

D’altro canto, la complessità della questione non costituisce una novità.

Le donne che entrarono a far parte dell’Assemblea Costituente rappresentarono un numero esiguo: dei 556 membri dell’Assemblea, solo 21 erano donne.

Tuttavia, tale circostanza non impedì ad esse di assolvere un ruolo incisivo, e talvolta, di vera e propria sorveglianza, nella stesura degli articoli relativi alla stessa.

A tale proposito, l’on. Maria Federici dichiarava che “la donna non avrebbe nella Costituzione il posto che di fatto vi ha, se non ci fosse stato alla Costituente quel gruppo di donne”.

I dibattiti dell’Assemblea Costituente rivelarono la difficoltà di collegare il riconoscimento della cittadinanza politica con quello dei diritti civili e politici.

Le numerose opposizioni nascevano da una consolidata convinzione di inferiorità della figura femminile.

Per l’on. Nilde Iotti era necessario attuare “un’opera di svecchiamento e di rinnovamento democratico” della famiglia, muovendosi in due direzioni.

In primo luogo, vi era il bisogno di sopprimere lo stato di inferiorità della donna.

In secondo luogo, vi era l’esigenza di ammettere il diritto al lavoro per tutti i cittadini senza distinzioni di esso, poiché “solo realizzando nella pratica” tale diritto, la donna consegue quell’indipendenza economica che le permette di non riscontrare più nel matrimonio “un espediente talora forzato per risolvere una situazione economica difficile”.

In tale sede, merita menzione il pensiero di Aldo Moro, il quale ravvisava la necessità di assicurare “la perfetta continuità della donna sia nella vita familiare che in quella sociale”; lo stesso deputato propose l’introduzione del termine “essenziale”, opponendosi alla volontà dell’on. La Pira, che qualificava come “prevalente” la funzione familiare della figura femminile, al fine di “risolvere la questione della superiorità di una missione di fronte all’altra”, ed evitare di ritenere che “la donna debba rimanere quanto più possibile nella sua funzione naturale, e che il resto della sua attività nella vita pubblica e lavorativa sia considerato come accessorio e non come essenziale”.

Se da un verso, l’ “essenzialità” non veniva tradotta come maggiore rilevanza della missione familiare rispetto al lavoro, dall’altro, lasciava trasparire un maggiore peso della donna in tale ambito.

In tali atteggiamenti, traspare una certa dose di ambiguità.

La stessa ambiguità che affiora nel XXI secolo: la donna è ancora prevalentemente inquadrata nell’ambito familiare, nella veste di moglie e madre.

Essere moglie e madre non reca alcun tipo di pregiudizio.

Rattrista – a parere di chi scrive – il semplice fatto che taluni rappresentanti politici si impegnino (verbalmente) a tutelare la figura femminile solo in qualità di compagna di vita o portatrice di prole.

Essa, invece, dovrebbe essere difesa e tutelata proprio per il suo “essere” donna.

Nel nome della Costituzione, e non della politica.

 

 

 

 

 


Riferimenti bibliografici
L. LEO, Famiglia ed eguaglianza: un legame da rivedere, in Cammino Diritto, n. 9, 2020.
L. LEO, Le pari opportunità nella Costituzione: i principali interventi legislativi a tutela delle donne, in Cammino Diritto, n. 3, 2021.

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Dott.ssa Luana Leo

La dottoressa Luana Leo è dottoranda di ricerca in "Teoria generale del processo" presso l'Università LUM Jean Monnet. È cultrice di Diritto pubblico generale e Diritto costituzionale nell'Università del Salento. Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso il medesimo ateneo discutendo una tesi in Diritto Processuale Civile dal titolo ”Famiglie al collasso: nuovi approcci alla gestione della crisi coniugale”. È co-autrice dell'opera "Il Presidente di tutti". Ha compiuto un percorso di perfezionamento in Diritto costituzionale presso l´Università di Firenze. Ha preso parte al Congresso annuale DPCE con una relazione intitolata ”La scalata delle ordinanze sindacali ”. Ha presentato una relazione intitolata ”La crisi del costituzionalismo italiano. Verso il tramonto?” al Global Summit ”The International Forum on the Future of Constitutionalism”. È stata borsista del Corso di Alta Formazione in Diritto costituzionale 2020 (“Tutela dell’ambiente: diritti e politiche”) presso l´Università del Piemonte Orientale. È autore di molteplici pubblicazioni sulle più importanti riviste scientifiche in materia. Si occupa principalmente di tematiche legate alla sfera familiare, ai diritti fondamentali, alle dinamiche istituzionali, al meretricio, alla figura della donna e dello straniero.

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