Quando richiedere l’equa riparazione per la lungaggine del processo fallimentare
Con l’introduzione della Legge Pinto (L. n. 89/2011) e delle sue successive modifiche si è voluto andare a tutelare tutti coloro che a causa di un lungo processo hanno subito un danno, attraverso la somministrazione di una cifra simbolica per ogni anno di ritardo ed a patto che il predetto danno sia dimostrato in concreto dalla parte interessata.
Per ottenere, pertanto, l’equa riprazione bisognerà, mediante l’ausilio di un avvocato, depositare presso la Corte di Appello competente un ricorso in cui verrà citato in giudizio il Ministero della Giustizia.
Purtuttavia, non tutti hanno diritto di proporre questo ricorso. Per tale ragione è bene elencare quelli che possiamo definire i presupposti per poter richiedere l’equa riparazione a seguito di una lungaggine nel procedimento fallimentare:
anzitutto, bisognerà dimostrare che la procedura fallimentare è stata superiore ai 6 anni (decreto sviluppo) attraverso la produzione di tutti gli atti del fallimento in copia autentica;
colui che vuole promuovere il ricorso non è un creditore qualunque, ma deve essersi effettivamente insinuato al passivo, ovvero essere il suo erede;
inoltre, il creditore insinuato deve effettivamente aver subito un danno patrimoniale e/o un danno non patrimoniale derivato della durata della causa. Danno che dovrà essere provato nella sua esistenza e nel suo ammontare (legittimazione ad agire)!
Ancora, il ricorso deve essere proposto entro 6 mesi dal giorno in cui la decisione è divenuta definitiva, altrimenti sarà rigettato senza essere esaminato.
Quindi, anzitutto ci si deve domandare “che tipo di pregiudizio ho avuto dalla lungaggine fallimentare? Questa lunga procedura mi ha causato un danno?”. Se la risposta dovesse essere positiva, non solo va individuato il danno effettivamente subito, ma si devono valutare i costi che si dovranno sostenere per ottenere l’equo indennizzo e se, di conseguenza, il gioco vale la candela.
Prima di depositare il ricorso, infatti, l’avvocato incaricato dovrà estrarre dal fascicolo fallimentare tutti gli atti in copia autentica, questo significa che la mera fotocopia non va bene, ma necessitano di essere timbrati e dichiarati uguali e conformi a quelli originali. Ciò significa che si dovrà affrontare un spesa non indifferente di marche da bollo (detto importo varia in base al numero di pagine richieste) solo per avere la copia di tutto l’iter fallimentare, una marca da bollo da Euro 27,00 per l’iscrizione a ruolo della causa, oltre al compenso dell’avvocato.
Dopo aver affrontato queste spese e depositato il ricorso nulla è certo, spetterà infatti al Giudice decidere se vi è legittimità ad agire; vi è, infatti, la concreta possibilità che il Giudice rigetti il ricorso, non ritenendo dagli elementi presenti nel ricorso e negli atti l’esistenza di un danno.
Dall’altra parte bisogna anche valutare i possibili benefici qualora venisse accolto. La legge prevede, infatti, che l’equo indennizzo non possa essere inferiore ad Euro 500,00 per ogni anno di ritardo, ovvero superiore ad Euro 1.500,00. L’esatto ammontare sarà, purtuttavia, stabilito dal Giudice competente in relazione agli atti ed alle prove depositate da entrambe le parti.
Si tratta, quindi, di valutare se effettivamente la lungaggine processuale ha creato un danno reale e di cui si può dare prova certa ed inconfutabile in un giudizio e se questo danno può essere in qualche modo riparato con l’instaurazione di un nuovo procedimento dispendioso.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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Alessandra Casale
Sono un Praticante Avvocato Abilitata del foro di Novara, nonchè consulente legale.
Mi sono Laureata nel dicembre 2015 presso l'Università Carlo Cattaneo - LIUC.
Nel mio lavoro mi dedico a tematiche quali la Privacy, l'Antiriciclaggio, il diritto societario, il diritto commerciale ed il diritto tributario; offro, infatti, consulenze in dette materie, ovvero aiuto le aziende a stare al passo con tutte le nuove normative.