Quando si configura il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi? E quando quello di atti persecutori?

Quando si configura il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi? E quando quello di atti persecutori?

Per comprendere quale reato si configura nell’ipotesi vengono poste in essere delle condotte illecite alla fine di un rapporto come ad esempio nell’ipotesi della fine del matrimonio oppure nel caso della relazione more uxorio tra conviventi occorre analizzare nello specifico le caratteristiche peculiari del reato di maltrattamenti in famiglia e del reato di atti persecutori.

L’art. 572 c.p.  dispone al primo comma “Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni”. Tale fattispecie incriminatrice tutela il benessere psicofisico dei componenti del nucleo familiare e para familiare e si consuma qualora in tali contesti si verifica una reiterata sofferenza morale, fisica e psicologica.

Si tratta di un reato proprio cioè può essere commesso da coloro che sono avvinti da un particolare vincolo nei confronti del soggetto passivo. Quest’ultimo può essere un familiare, convivente oppure la persona sottoposta all’autorità del soggetto agente o a lui affidata per le ragioni indicate nell’art. 572 c.p. Con la L. n. 69/2019 (Codice Rosso) il legislatore ha previsto, all’ultimo comma dell’articolo summenzionato, che se il minore di anni diciotto assiste ai maltrattamenti si considera persona offesa dal reato. Si tratta della cosiddetta violenza assistita e cioè il/la bambino/a può percepire direttamente qualsiasi forma di maltrattamento che si manifesta attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica oppure, indirettamente, quando ne è a conoscenza o avverte gli effetti.

La violenza assistita ha delle ripercussioni negative nella vita di qualunque bambino/a in quanto è dannosa perché rappresenta per il minore la normalità e la quotidianità dei rapporti familiari. La Cassazione Penale, Sezione VI, con la sentenza n. 4332/2014 ha affermato che “integrano il reato di maltrattamenti in danno dei figli minori anche condotte di reiterata violenza fisica o psicologica nei confronti dell’altro genitore quando i discendenti siano resi sistematici spettatori obbligati di tali comportamenti, in quanto tale atteggiamento integra anche una omissione connotata da deliberata e consapevole indifferenza e trascuratezza verso gli elementari bisogni effettivi ed esistenziali della prole”.

Il reato di cui all’art. 572 c.p. è un reato abituale caratterizzato da condotte di per sé lecite ma che assumono rilevanza penale per il loro protrarsi nel corso del tempo. Tale reato assorbe i reati di ingiuria, percosse, le lesioni personali lievi o lievissime quando sono colpose ed il reato di minaccia. Quando le lesioni sono volontarie, i due reati concorrono. Non sono assorbite, se volontarie, le lesioni gravi o gravissime e neanche la morte. Se invece quest’ultime sono conseguenza non volute e quindi non sussiste la coscienza e la volontà del soggetto agente, si applicano le circostanze aggravanti previste dal secondo comma dell’art. 572 c.p.

L’art. 612 bis c.p., invece, prevede al primo comma “salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia  o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”. Tale reato è stato inserito nel nostro Codice Penale per punire le condotte di minaccia o di molestia, qualora queste si verificano in modo reiterato al fine di intimorire la vittima e quindi siano lesive della libertà morale e psichica del soggetto passivo.

Il bene giuridico, oggetto di tutela, è costituito dalla libertà morale e personale. L’elemento oggettivo è costituito dalle condotte reiterate di minaccia o molestia che devono necessariamente causare almeno uno dei seguenti eventi: il perdurante e grave stato di ansia o paura della vittima, il fondato timore per la propria incolumità o per quella di persona legata affettivamente ed infine la costrizione ad alterare le proprie abitudini di vita.

Per la configurazione del reato di atti persecutori non è necessario che si verifichi lo stato patologico del soggetto passivo, ma è indispensabile che il soggetto agente ponga in essere condotte reiterate di minaccia e molestia, tali da causare un disagio, ovvero, i suddetti eventi devono essere accertati attraverso un’osservazione accurata di indizi comportamentali che si ricavano dal confronto dell’ante vita che la vittima conduceva e la post (successiva) vita della stessa a seguito delle condotte offensive del soggetto agente.

Si tratta di un reato di danno e di evento in quanto le condotte del soggetto agente devono avere delle ripercussioni/interferenze negative nella vita della vittima, tali da creare un’alterazione nell’equilibrio mentale della vittima.

Ciò che accomuna il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi ed il reato di atti persecutori è la reiterazione delle condotte, cioè devono verificarsi nel corso del tempo. Non si configura il reato di maltrattamenti in famiglia ma il reato di atti persecutori quando le condotte illecite sono poste in  essere da parte di uno dei conviventi more uxorio ai danni dell’altro dopo la cessazione della convivenza e quindi quando, conseguentemente, sono venute meno la comunanza di vita e di affetti, nonché, il rapporto di reciproco affidamento (Cassazione Penale, Sez. I, sentenza n. 43302/2021; Cassazione Penale, Sez. VI, sentenza n. 39532/2021).

Dunque, per distinguere quale reato si configura alla fine del matrimonio o della convivenza more uxorio, occorre fare attenzione se nonostante l’interruzione della convivenza ci sono dei rapporti stabili di frequentazione e di solidarietà dovuti alle comuni esigenze di accudimento e di educazione dei figli. In quest’ultimo caso sussiste il reato di cui all’art. 572 c.p. e cioè il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi. Ciò è stato stabilito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 30129/2021.

Quindi non tutti i casi di condotte vessatorie poste in essere da parte degli “ex” possono essere ricondotte nell’ambito della fattispecie di cui all’art. 612 bis c.p. ma è necessario analizzare ogni situazione a sé stante.


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