Quella parte del muro di Berlino che non è caduta
Dal 2009, vent’anni dopo la caduta del muro di Berlino, ci siamo occupati di Bielorussia e dei suoi rapporti incredibilmente stretti con gli Italiani.
Abbiamo realizzato un Centro, nato prima come associazione, abbiamo coinvolto professori universitari, ed abbiamo svolto tirocini per gli studenti dell’Università di Bari. Abbiamo operato sul campo, con presenza diretta in Bielorussia per ben sei anni.
Io sono andata personalmente sul luogo per 39 volte. Ho assistito all’evolversi della situazione politica, ho visto i sogni infranti dei giovani bielorussi disperdersi come boccioli all’apparire delle nebbie di ghiaccio delle notti bielorusse. Ho visto le luci dei loro occhi ed ho visto le tenebre di altri occhi.
Ma non abbiamo fatto politica, perché non occorreva fare politica, occorreva operare con semplicità rispettando la legge. E per rispettare la legge occorreva conoscere la legge, comprendere e capire la norma senza presunzioni e senza arroganza, solo con l’umiltà dello studioso. Eppure non era facile. Ora siamo in possesso di strumenti adeguati: lingua e fonti del diritto. Allora dovevamo apprendere anche quello. E lo dovevamo fare in un mondo in cui tutto veniva nascosto, perché lo straniero non era un soggetto affidabile o credibile nel mondo (ex) sovietico.
Eppure ci siamo riusciti.
Abbiamo ottenuto sei recepimenti di sentenze italiane, abbiamo ottenuto i recepimenti delle curatele speciali italiane, ed abbiamo ottenuto contratti di collaborazione per le singole famiglie italiane con le autorità Bielorusse in favore di singoli bambini. Abbiamo ottenuto l’aiuto e la collaborazione delle autorità Bielorusse. Il presidente dell’ordine degli avvocati della Bielorussia mi ha aiutato personalmente. E’ venuto con me quando andavo a parlare con i responsabili del settore dell’istruzione nei comitati governativi competenti. Non dimenticherò mai quelle giornate di impegno totale. Non dimenticherò mai la luce degli occhi dei Bielorussi: di tutti, nessuno escluso. Come non dimenticherò mai i tribunali Bielorussi. E neppure il volto e la prudente saggezza del vicepresidente del Tribunale Regionale di Moghilev.
Quello che non sono riuscita a superare è stato invece la diffidenza degli Italiani, la convinta sicurezza di doversi rapportare con clima di ritorsione e di minaccia latente e non solo. Quello che non sono riuscita a superare e contro il quale tutt’ora mi devo misurare e limita tutti i nostri orizzonti è il comportamento degli Italiani: “ non fare questo altrimenti non vedrai più i tuoi amati ragazzi” “ non fare quello perché altrimenti finisci in carcere ( in Bielorussia) oppure finiranno in carcere i bambini o i loro genitori o i loro affidatari in Bielorussia”. Sono affermazioni che variano solo nel tono: dal consiglio amichevole all’imposizione molto meno amichevole.
Le famiglie cedono molte volte. Quelle che invece hanno seguito i miei consigli mai hanno avuto problemi veri e propri o hanno visto i loro cari minacciati.
La spiegazione che viene data alle affermazioni minacciose? Semplicemente perchè i Bielorussi sono così. Spiegazione spiccia per trasferire un problema, una minaccia, una trappola su un terreno fertile per l’immaginazione e soprattutto lontano e sconosciuto. Proprio quello che noi con la nostra attività volevamo dissipare: lontananza, ignoranza e paura.
Tutt’ora invece questa triplice leva viene invocata per mettere a tacere chiunque tenti una strada diversa ma alla luce della legittimità e della legalità. Chiunque si impegni a sostenere il diritto illuminato dalla ragione e proponga vie non nuove, solo non percorse, al fine di migliorare e rendere possibili rapporti tra individui di nazionalità diversa superando ostacoli che prima era storicamente insuperabili, deve essere costretto al silenzio ed alla inoperosità. Questo perché deve prevalere logica ed interessi che hanno radici sconosciute e sulle quali non voglio indagare.
Certo negli Italiani è rimasto ben poco della civiltà giuridica dei loro padri. Lo vedo ogni giorno nei tribunali. Quanti sono gli Italiani che credono nella nostra legge, nella nostra giustizia, nella nostra capacità di far valere le nostre ragioni davanti al giudice? Molto pochi, se ci sono. Crediamo nelle raccomandazioni, nelle camarille, ed in tante altre cose, ma non nella giustizia. Allo stesso modo abbiamo dimenticato i principi di diritto romano, l’umanesimo, i filosofi del diritto a partire da Beccaria. Abbiamo chiuso occhi ed orecchi nei confronti dei nostri simili. Ci impediamo di riconoscere valori ed impegni che non siano consacrati dal potere o dall’influenza di chi ha potere. Come possiamo credere nell’esigenza di stabilire rapporti con un mondo che viene fuori dalla cortina di ferro del silenzio e dell’ostilità decennale, se non secolare, in forza di limpide relazioni dettate dalla conoscenza e dal rispetto del rispettivo diritto, se non abbiamo fiducia nella capacità della legge di renderci umani e liberi?
Come possiamo invocare la luce della legge, se siamo proprio noi nell’oscurità? Non è ingenuità, è convinzione che un sistema statale corretto ed onesto è l’unico in grado di dare a tutti la migliore qualità di vita. Sfido chiunque a provare il contrario.
Una parte del muro di Berlino non è mai caduta: quella che portiamo tutti dentro la nostra anima. Quella parte fatta di paura, ignoranza e lontananza. Ed anche fatta di arroganza e sopraffazione o anche solo cecità. Finchè non sconfiggeremo questo, il muro di Berlino avrà ancora solide fondamenta, e niente di quello che contestiamo al regime sovietico sarà davvero scomparso. Perché noi non siamo diversi, perché noi potremmo essere peggiori di quanto non abbiamo mai creduto o abbiamo preteso di credere.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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Avvocato, giornalista pubblicista, si occupa di diritto civile, difesa dei diritti fondamentali, diritto di famiglia, diritto internazionale, diritto tributario. Ha fondato un centro studi dedicato ai rapporti con l'Europa ex Urss. E' stato il primo avvocato italiano che ha ottenuto riconoscimenti di sentenze italiane in Bielorussia.
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