Quella storiella di Aristotele del brocco dai morsi d’oro e dalla ricca gualdrappa
“…perciò è necessario che chi osserva la cattiva sorte di quegli uomini, la sfugga, e consideri che la felicità non nasce dal fatto di possedere molti beni, ma piuttosto da una qualche disposizione dell’anima; infatti, nessuno affermerebbe che il corpo è felice perché è adorno di una splendida veste, ma perché gode di buona salute ed è di eccellente costituzione, anche se non dispone di nessuna delle cose che abbiamo menzionate. Allo stesso modo si dice per l’anima; se è educata, allora bisogna chiamarla felice e con lei l’uomo che la possiede, e non colui che è splendidamente adorno di beni esteriori, senza però che egli valga nulla. Infatti non riteniamo che sia di autentico valore un cavallo che pur essendo un brocco, abbia morsi d’oro ed una ricca gualdrappa, ma lodiamo un cavallo di eccellente costituzione. Eppure, indipendentemente dalle cose già dette, accade che gli uomini di poco valore, quando hanno molti beni esterni, ritengono che queste loro ricchezze siano degne di maggior valore dei beni dell’anima; e proprio questa è di tutte le cose la più brutta. Poiché, come sarebbe ridicolo chi fosse peggiore dei suoi schiavi, alla stessa maniera bisogna considerare miseri coloro ai quali capita di attribuire alle loro ricchezze un valore maggiore della propria natura. E le cose stanno veramente così; perché come dice il proverbio, la sazietà genera superbia, e la mancanza di educazione, assieme alla ricchezza, genera ignoranza. Per quelli infatti che hanno una cattiva disposizione dell’anima, né la ricchezza, né la forza, né la bellezza, sono dei beni: ma quanto più queste prerogative abbondano, tanto più rovinano colui che le possiede, se sono presenti senza la saggezza”.
“Nessuno infatti dissentirebbe sul fatto che la ricchezza si genera dall’imparare e dal ricercare ciò di cui la filosofia rende capaci; cosicché, senza esitazione, si deve filosofare…”, Aristotele nel Protreptico.
Così per riflettere e filosofare, perché lo dice lo Stagirita: “senza esitazione, si deve filosofare”.
Si intuisce subito la vitalità di una prospettiva che non solo spesso oggi non ha modo di consolidarsi e di espandersi, ma viene messa persino in dubbio di modo che non si possa affermare che essa sia davvero raggiungibile.
Le ragioni sono all’apparenza assai solide.
Lasciarsi travolgere da uno spunto moralistico che spinge a formulare valutazioni di carattere etico non sembra appropriato, impensierisce, meglio lasciare questa funzione ad altri.
La reazione al principio sostiene il trionfo dell’arbitrio personalissimo disorientato dalla direzione indicata spesso da una bussola impazzita che il nostro caro Aristotele non avrebbe potuto nemmeno immaginare.
La natura dei vizi della “nostra cultura” ha la sua ragione d’essere.
E un monitoraggio continuo dei costumi trascina a volte nelle maglie di una discrezionalità mortificante, ma sufficientemente elastica, lasciando, come per il passato, campo aperto alla vivace speranza di un sentito ripensamento.
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